“È ancora okay avere figli” considerato il futuro cupo che gli stiamo preparando? Questa la domanda scomoda che la politica americana Alexandria Ocasio-Cortez si è posta pubblicamente lo scorso 28 febbraio, sulla base di motivazioni principalmente ecologiste.
L’interrogativo ha sollevato un vespaio di critiche, tutte volte ad associare la congresswoman a poco auspicabili scenari distopici dal sapore post-malthusiano. In molti, infatti, hanno immediatamente pensato a possibili politiche del figlio unico, come quella adottata in Cina, con la conseguente molteplice violazione di diritti umani, delle donne in particolare. Eppure, nonostante lo sciame di critiche, le affermazioni della Ocasio-Cortez hanno avuto molta eco e raccolto anche consensi, sintomo di una realtà emergente e inevitabile: la politica, volente o nolente, deve cambiare il suo approccio nei confronti della demografia.
Allo stato dell’arte, infatti, la maggior parte dei governi mondiali ha una posizione ben definita circa il rapporto tra potere e popolazione: una nazione necessita di crescere in termini numerici per poter continuare ad essere efficiente, produttiva e competitiva! È questa la ricetta più diffusa che imprime alle attuali politiche statunitense, italiana e di molti altri paesi uno stampo pronatalista. In altre parole, molti governi spingono, in maniera più o meno efficace, i propri cittadini a figliare, tramite incentivi e propaganda, nella convinzione che il più grande problema del secolo XXI sia lo svuotamento delle culle nei Paesi più ricchi.
Il pronatalismo, in quanto ideologia diffusa, che sovente schiaccia la donna ad un ruolo esclusivamente genitoriale, racconta di come la libertà in materia riproduttiva sia costantemente “violata” dai governi per scopi altri. Data la premessa, i pronatalisti ritengono legittimo indurre con ogni mezzo i propri cittadini alla prolificità per ragioni economiche, e devono mettere alla gogna mediatica chi suggerisce famiglie meno numerose per motivi ecologici. Ocasio-Cortez, infatti, proprio di questo è stata accusata da un ampio coro.
I paradossi emersi da questo polverone dovrebbero far riflettere su alcuni elementi essenziali nel dibattito in materia di politiche demografiche. In primis, il numero di cittadini presenti su di un territorio non è mai politicamente neutrale e porta con sé implicazioni ad ampio raggio. In secondo luogo, l’opinione pubblica è ancora convinta che l’ambiente sia un elemento di sfondo nella vita delle persone e che non sia, invece, la condizione di possibilità della vita, dell’economia e del benessere. Perciò, a detta di molti, per l’economia si può sacrificare un po’ di libertà individuale, ma per l’ambiente è puro idealismo se non blasfemia.
In un mondo con quasi otto miliardi di esseri umani (7,7 per l’esattezza) e che si appresta ad ospitarne dieci a fine secolo, il vero problema non sarà la denatalità di alcune nazioni. I punti critici saranno gli squilibri nella ripartizione delle risorse a livello globale, i contrasti culturali legati a migrazioni senza precedenti, la depauperazione sempre più accelerata degli ecosistemi e il cambiamento climatico
In un mondo con quasi otto miliardi di esseri umani (7,7 per l’esattezza) e che si appresta ad ospitarne dieci a fine secolo, il vero problema non sarà la denatalità di alcune nazioni. I punti critici saranno gli squilibri nella ripartizione delle risorse a livello globale, i contrasti culturali legati a migrazioni senza precedenti, la depauperazione sempre più accelerata degli ecosistemi e il cambiamento climatico. Tutti punti nevralgici, tra di loro interconnessi, che potranno solo essere aggravati se la politica, al posto di fornire gli strumenti per il family planning laddove necessario, cercherà ostinatamente di persuadere le persone a riprodursi in nome della ragion di Stato.
Così, al di là delle opinioni specifiche della Cortez, quello che occorre prendere sul serio è un appello alla razionalità politica che si basi sul connubio tra diritto, conoscenza e desiderio di un futuro migliore del presente.
Oggi più che mai rallentare ulteriormente la crescita demografica fino a invertire la tendenza su scala globale è una necessità che può (e dunque deve) essere soddisfatta senza violare la libertà degli individui. In tantissime aree del mondo significherebbe poter ampliare i diritti e le libertà. Nel secolo XXI parlare di giustizia demografica non significa immaginare poco rassicuranti distopie, bensì garantire a tutti il supporto medico, l’accesso ai contraccettivi, l’educazione sessuale e, soprattutto, l’uguaglianza di genere, come proposto all’ultimo congresso dell’Associazione Luca Coscioni su iniziativa di Michele Usuelli.
Questi dovrebbero essere gli obiettivi di politiche finalmente adeguate sia da un punto di vista dei diritti umani, costitutivamente transnazionali, sia da quello delle responsabilità ambientali, precondizione di qualunque diritto. Eppure, per quanto il pronatalismo sembri scarsamente efficace nel convincere le masse, eventi come il Congresso Mondiale delle Famiglie catalizzano l’attenzione e distraggono da ragionamenti concreti e di lungo periodo sul futuro demografico italiano, europeo e mondiale. Il fatto che una personalità politica in vista come Ocasio-Cortez prenda parola sul tabù della sovrappopolazione è segno di un cambiamento di paradigma tanto importante da non poter essere lasciato cadere nel vuoto.