Prima di dire quello che penso ricalco ciò che pensano gli altri. Tra un paio di settimane Knopf manda in orbita White, l’ultimo libro di Bret Easton Ellis. Didascalia per illetterati. Bret Easton Ellis è lo scrittore statunitense più incisivo degli Ottanta-Novanta-Duemila. Esordio divinizzato dalla precocità – era il 1985, aveva 21 anni, era Less Than Zero – libro fondamentale – American Psycho, era il 1991, da cui il film con Christian Bale – imperiale creatività – Glamorama, Lunar Park– fino a dieci anni fa, quando BEE ha pubblicato Imperial Bedrooms, il romanzo di una stella cadente. Nel frattempo, si è messo a scrivere un po’ di sceneggiature per il cinema. Ora. White. L’ex scrittore prodigio, a 55 anni – li ha fatti lo scorso 7 marzo – pubblica una raccolta di saggi. Ottimo titolo, comunque.
Anche l’abstract che cinge White è riuscito: “Dobbiamo essere tutti uguali, avere le stesse reazioni di fronte a qualsiasi opera d’arte, movimento, idea; se rifiuti di unirti al coro dell’approvazione pubblica sei etichettato come un razzista e un misogino. Questo è quello che accade alla cultura quando non si occupa più di arte”. Visione estetica preminente a quella etica – da bovini buonisti. Attacco frontale al ‘politicamente corretto’. Chi non la pensa così? Niente di nuovo sotto il sole letterario.
Come di norma, alcune riviste hanno già avuto il libro di BEE e ne hanno scritto. Bookforum ha pubblicato un lungo pensiero di Andrea Long Chu, Psycho Analysis. Bret Easton Ellis rages against the decline of American culture. Nonostante il titolo, il pezzo è una roboante stroncatura. BEE, di fatto, è accusato di essere un piagnone, di fare arte sulla nostalgia degli anni Ottanta – luccicanti, cocainomani, devotamente ‘bianchi’ – di non avere più altro da dire (e chi decide cosa c’è da dire?). “La tesi di White è che la cultura americana è entrata in un periodo di declino irreversibile e che i social media e i millennial siano da biasimare. Questo è ridicolo, non perché non sia vero che i social media non abbiano cambiato il mondo in modo tremendo, ma perché si tratta di affermazioni radicate in una visione nostalgica e infantile del nostro tempo”, scrive il rabbioso recensore. “Come la sua eroina, Joan Didion, Ellis crede che lo stile sia tutto: peccato aver speso un libro per raccontare un concetto così misero”. Secondo l’arguto giornalista, Bret Easton Ellis si è trasformato in Patrick Bateman, cruento antieroe di American Psycho: “Entrambi ricchi. Entrambi ammiratori di Donald Trump. Entrambi spesso a cena in ristoranti di lusso. Entrambi frustrati”. D’altronde, lo rimarca BEE nel libro: “Bateman è la figura immaginaria che incarna la versione peggiore di me stesso, il mio incubo, qualcuno che odiavo ma che, nella sua impotente inquietudine, mi era prossimo, simpatico”.