I 200 anni de “L’infinito”, la poesia di Leopardi che tutti ci invidiano (anche i russi)

I famosi versi de “E il naufragar m‘è dolce in questo mare” sono stati tradotti, tra gli altri, anche dalla russa Anna Achmatova e da Rainer Maria Rilke. Se tale è l’amore per la poesia leopardiana, è perché tutti cerchiamo una risposta alla stessa domanda: capire il senso del nostro esistere

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Quest’anno, si sa, sono i 200 anni dell’Infinito di Giacomo Leopardi, la poesia più celebre del ‘canone’ italiano. Quest’anno il fato mi ha assegnato un corso di letteratura italiana per universitari stranieri, in terra nostra per i progetti Erasmus. Ho quattro studenti: due russe, che provengono dalla prestigiosa università di Mosca, e studiano cose letterarie, e due tedesche. Mentre insegno come è possibile vedere l’infinito dietro una siepe, una russa, edotta al mio amore per la poesia del suo paese, mi ricorda che anche Anna Achmatova ha tradotto L’infinito di Leopardi. Al che, blocco tutto e mi inalbero di gioia.

In effetti, annoto. In alcune lettere – che leggo in: Anna Achmatova, Io sono la vostra voce…, Edizioni Studio Tesi, 1990 – la Achmatova accenna al suo lavoro traduttivo. “Noi vivremo semplicemente come Lear e Cordelia in una cameretta e tradurremo Leopardi e Tagore e crederemo l’uno nell’altro”, scrive Anna al poeta e complice Anatolij Najman, il 31 marzo del 1964, da Mosca. Che immagine stupenda: la traduzione serve ad avere fiducia l’uno nell’altro, a cedere all’isolamento, a concedere l’amare. Un anno e mezzo dopo, Anna ricorda a Iosif Brodskij: “Con Tolja [Anatolij Najman] stiamo terminando la traduzione di Leopardi”.

Il lavoro di Anna Achmatova dentro Leopardi dura il getto dei suoi ultimi anni, anni importanti. Fine 1964: alla Achmatova, ultima rappresentante della grande poesia russa, è concesso il viaggio in Europa; prima in Italia, dove le viene conferito l’Etna-Taormina, poi all’Università di Oxford, a ritirare una laurea in onore e a incontrare l’amico – e amante velleitario – Isaiah Berlin. Nell’autunno del 1965 è pubblica l’ultima raccolta della Achmatova, La corsa del tempo; lei morirà il 5 marzo del 1966. Il libretto con le traduzioni di Leopardi, che funge quasi da testamento, è pubblico nel 1967. “Nella raccolta, con una tiratura di trentamila copie, furono tradotte 24 poesie, che circolarono ampiamente in Urss… Si può affermare che il grande merito della raccolta di traduzioni del 1967 è consistito nel saper attualizzare l’opera poetica di Leopardi, rinnovandone e amplificandone la fortuna anche grazie a scelte stilistiche e traduttive” (Marco Sabbatini in Contributi italiani al XV Congresso Internazionale degli Slavisti, Firenze University Press, 2013).

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