Qualche anno fa, leggendo un’intervista che Rita Levi Montalcini diede a Paolo Giordano, fui molto colpito dalla lucidità di visone di alcuni concetti espressi, che oggi, osservando i risultati della quarta edizione della Mappa dell’Intolleranza, mi tornano alla mente nella loro integrità. La neurobiologa italiana, premio Nobel nel 1986, spiegava che il cervello umano è fatto di due cervelli: uno arcaico localizzato nell’ippocampo che controlla tutte le emozioni e che non si evolve da tre milioni di anni e non differisce molto tra l’homo sapiens e i mammiferi inferiori. L’altro, quello cognitivo, molto più giovane, nato con il linguaggio, in 150.000 anni ha avuto uno sviluppo straordinario, specialmente grazie alla cultura. Tutte le grandi tragedie, la Shoah, le guerre, il nazismo, il razzismo ecc., secondo la scienziata, derivano dalla prevalenza della componente emotiva su quella cognitiva. Ricordo che affermò che bisognerebbe spiegare ai giovani la faccenda dei due cervelli poiché i giovani di oggi si illudono di essere pensanti. «Il linguaggio e la comunicazione – diceva – danno loro l’illusione di stare ragionando. Ma il cervello arcaico, maligno, è anche molto astuto e maschera la propria azione dietro il linguaggio, mimando quella del cervello cognitivo».
Qual è la migliore cartina al tornasole del nostro linguaggio comune al giorno d’oggi se non i social? Cosa diciamo? Come ci esprimiamo? È quello che analizza da qualche anno Vox, Osservatorio Italiano sui diritti, in collaborazione con l’Università Statale di Milano, l’Università di Bari, La Sapienza di Roma e il Dipartimento di sociologia dell’Università Cattolica di Milano. All’inizio del progetto, che è partito quattro anni fa, ci dice la ricerca, l’Italia era profondamente diversa da quella attuale poiché gli odiatori, che pur già esistevano, erano nascosti, protetti e resi forti dall’anonimato che appunto la Rete garantisce. Si accanivano soprattutto contro le donne e contro le persone omosessuali. L’edizione odierna mostra invece un Paese di hater cattivi e carichi di rabbia che si accaniscono soprattutto contro migranti, ebrei, musulmani, e contro le donne, tronfi e orgogliosi del proprio diritto di odiare, mutuati dal linguaggio comune della politica. Un “odiatore” su tre si scatena contro “lo straniero”. È interessante notare come l’antisemitismo, che era inesistente fino al 2017, oggi è uno dei protagonisti. Quasi il 60% dei tweet pone al centro la terna migranti/ ebrei/ musulmani. Tra questi, la percentuale di tweet che contengono un tasso di aggressività alto, anzi altissimo, è la stragrande maggioranza.
Vogliamo rimanere ostaggi di questa visione del mondo? Oppure vogliamo assumerci le nostre responsabilità ciascuno nella propria sfera di conoscenze, competenze e influenze?
Devo essere io a ricordarvi che le categorie verso le quali sono indirizzati i messaggi di odio, rappresentano la nostra preoccupazione e la paura per il “diverso”? E che tutto ciò si definisce, ahinoi, come un chiaro segno del nostro razzismo? Cioè di una di quelle tragedie che secondo il Premio Nobel Rita Levi Montalcini rientrano nel regno di quella canaglia del cervello arcaico che tiene sotto scacco la nostra dimensione cognitiva illudendoci di stare ragionando? Le domande che dobbiamo urgentemente porci sono: vogliamo rimanere ostaggi di questa visione del mondo? Vogliamo scansarci di lato facendo come se nulla fosse, facendo come se questo mondo in continua evoluzione possa autoesplicarsi e autorisolversi? Oppure vogliamo assumerci le nostre responsabilità ciascuno nella propria sfera di conoscenze, competenze e influenze?
La Mappa dell’Intolleranza ci restituisce alcune evidenze del clima che si respira nel nostro Paese. Una riguarda l’impatto che il racconto e il linguaggio della nostra politica hanno sulla diffusione dei discorsi d’odio individuati tra ciò che non si riesce a capire e inconsciamente si teme, oppure che viene considerato “debole” o “contaminato”: quindi le donne, le persone non eterosessuali, le persone disabili o di culture o di religioni o di etnie non maggioritarie che vengono di volta in volta disprezzate, ridicolizzate, umiliate e aggrediti e persino stuprate a parole che sempre più spesso diventano fatti. L’altra evidenza è il ruolo dei social media che sono sempre più la corsia preferenziale per questi messaggi. Twitter in special modo in quanto, pur non essendo il social maggiormente utilizzato, ma consentendo il retweet e sotto la bandiera dell’hashtag, dà l’idea di appartenere ad una comunità virtuale continuamente in relazione. Dunque, cosa fare? Puntare sull’educazione. Tutti dobbiamo continuare a studiare e ad educarci al principio del costante miglioramento. Dobbiamo tornare a mettere l’uomo al centro di tutti i sistemi e con lui i valori universali che lo abitano. Dobbiamo fare in modo che ogni persona guidata da questi valori universali a sua volta si faccia carico di interessi collettivi contribuendo a generare amore, rispetto e gratitudine. Generare un senso di gratitudine nell’altro è oggi la sfida della nuova economia e dunque della nostra nuova società.