Mercoledì della scorsa settimana, Project Veritas, l’organizzazione senza scopo di lucro statunitense fondata nel 2010 dall’attivista James O’Keefe, ha reso pubblica un’intervista in cui un ex dipendente di Google rivela di aver consegnato alla divisione Antitrust del Dipartimento di Giustizia americano circa 950 pagine di documenti contenenti le prove che la multinazionale americana mette in atto delle politiche ben precise per pilotare ciò che le persone devono o non devono trovare sul web, suggerendo, ad esempio, sul motore di ricerca e nei servizi del gruppo, alcuni link piuttosto che altri.
Impiegato come ingegnere informatico senior presso Google per otto anni, Zachary Vorhies – che definisce la propria situazione da “David e Google”, facendo una chiara allusione a uno degli episodi più famosi della Bibbia, simbolo della fede e del coraggio che trionfano sulla bruta violenza, quello del pastorello Davide che, armato di una semplice fionda, uccide Golia, il temibile gigante dei Filistei in guerra con il popolo di Israele – ha detto di aver deciso di farsi avanti dopo aver realizzato che qualcosa di “oscuro e nefasto” stava succedendo nella compagnia. Cioè che stavano progettando di scolpire il mondo delle informazioni in modo da poter creare la propria versione di ciò che è oggettivamente vero.
“I realized that they were going to not only tamper with the elections, but use that tampering with the elections to essentially overthrow the United States.” Non solo per manomettere le elezioni Usa del 2020, ma anche per usare questa manomissione per sovvertire gli Stati Uniti nella loro essenza.
A Google stavano progettando di scolpire il mondo delle informazioni in modo da poter creare la propria versione di ciò che è oggettivamente vero
L’ex dipendente di Google ha dichiarato a Project Veritas di avere impiegato un anno a raccogliere i documenti che dimostrano il sistema politicamente distorto usato da Google e l’esistenza di una sorta di “lista nera” in cui sono censiti i siti web e giornalistici che la compagnia ritiene indesiderati. Tra questi, molti sono di destra ma non tutti.
Sembra invece che quelli con idee anti-Trump, come il Wall Street Journal, la CNN e Fox News in primis, invece vengano sistematicamente potenziati. Il motivo ufficiale è che questi sarebbero i media con maggiore sensibilità e attenzione verso la verifica delle fake news. Certamente non abbiamo motivo di non credervi, ma non abbiamo neanche motivo di credere che siano le uniche o che in altre aree politiche non ve ne siano di altrettanto autorevoli.
Secondo le dichiarazioni di Vorhies è “chiaro” che Google ha un orientamento politico, e che la compagnia tecnologica “sta giocando su entrambi i lati. Da una parte dice di essere una piattaforma che ospita contenuti di cui non è responsabile, dall’altra invece agisce come un vero e proprio editore in quanto è lei a dettare le linee editoriali di questo o quel sito o di questo o quel giornale, semplicemente valorizzando o penalizzando questo o quel contenuto.
Del tema dell’”ingiustizia algoritmica” nelle classifiche di ricerca, Vorhies aveva già parlato con Project Veritas in modo anonimo nel giugno scorso. Con gli elementi aggiuntivi presentati in questa intervista video conferma la sua idea che Google non sia una fonte oggettiva di notizie e informazioni. Elementi che aggiungono carne al fuoco per tutti coloro che credono che Google non dica la verità quando afferma di operare in modo trasparente sul web, soprattutto nell’ambito politico e delle idee lontane dal cosiddetto pensiero unico dominante.
È ufficiale l’esistenza di una sorta di “lista nera” in cui sono censiti i siti web e giornalistici che la compagnia ritiene indesiderati. Tra questi, molti sono di destra ma non tutti.
Ma acuiscono ancora di più l’urgenza di dare risposte a tutte quelle domande oramai non più nuove sulla responsabilità e sulla trasparenza quando si trattano gli algoritmi black box. Più che ad accusare Google, questi documenti devono servire a evidenziare la necessità di aggiungere nuove e diverse prospettive durante la progettazione e lo sviluppo di tutti quei prodotti e quei servizi tecnologici che come Google vengono utilizzati da un numero impressionante di persone in ogni momento delle nostre vite. Considerando che l’Intelligenza Artificiale tocca sempre più tutti gli aspetti della nostra vita quotidiana e considerando soprattutto gli aspetti delle nostre esistenze che questa pervasività mette in gioco, ci risulterà oltremodo evidente quanto l’equità negli algoritmi sia la nuova frontiera dei nostri diritti umani.
E noi? Cosa possiamo fare noi piccoli e impotenti utilizzatori di Google e fruitori dei servizi gratuiti dei social media (il gratis non esiste, soprattutto nel mondo di Google e dei social media ricordatevelo, pagate con i vostri dati personali)?
Possiamo intanto usarli di meno, e chi ce la fa addirittura potrebbe chiudere i propri profili social. Si vive bene anche senza, lo sapevate?
Per le ricerche possiamo usare motori di ricerca alternativi, come Qwant o Duck.
E poi possiamo cercare di stare meno con gli occhi incollati allo smartphone, o con il culo piantato davanti al computer. E cercare di uscire, di vivere, di interagire direttamente con gli altri, di pensare con la nostra testa, di fare le cose che negli ultimi cinque anni il costante uso ed abuso di internet in tutte le sue forme ci ha impedito di fare.
Robert Epstein, uno psicologo che ha trascorso anni a ricercare l’influenza di Google sui suoi utenti, ha pubblicato una ricerca che mostra che semplicemente decidendo la sequenza dei migliori risultati di ricerca, l’azienda può influenzare gli elettori indecisi.
Epstein ha stabilito che questo ha portato a 2,6 milioni di voti che si sono spostati nelle elezioni presidenziali del 2016 per l’oppositore di Trump, l’ex Segretario di Stato Hillary Clinton. Ha avvertito che nel 2020, se aziende come Google e Facebook sosterranno tutte lo stesso candidato, saranno in grado di spostare 15 milioni di voti, ben oltre il margine con cui la maggior parte dei presidenti hanno vinto le elezioni presidenziali americane.
Trump ha riferito di aver lavorato su un ordine esecutivo per affrontare la censura politicamente di parte da parte delle società di social media.
Un altro dipendente ha ammesso che “gli algoritmi non si scrivono da soli, li scriviamo noi per far sì che lavorino come vogliamo”. C’è una certa idee secondo cui Google, Facebook e Twitter si occupino solo di censurare le opinioni conservatrici. Forse non è del tutto vero ma nemmeno così sbagliato. Sappiamo quanto le idee del neoliberismo portino le multinazionali a schierarsi da una parte, piuttosto che dall’altra, con il timore che seguire la tendenza minoritaria possa causare una perdita di consenso e dunque di ricavi.
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