Tanto rumore per nullaL’accordo di Malta sui migranti mostra (ancora) l’ipocrisia dell’Europa

È stato definito un primo passo nella gestione dei migranti a livello europeo. Ma in realtà è molto lontano dall’essere tale: perché i Paesi aderenti sono pochi, perché si riferisce solo ai migranti salvati dalle Ong (pochissimi), e perché alcuni Stati vorrebbero selezionare chi ricevere e chi no

Anne CHAON / AFP

Il vertice di Malta di settembre era stato definito un primo passo della politica europea in tema di gestione dei migranti. Tuttavia, sin dall’inizio si è avuto il dubbio che il passo fosse molto corto, e non solo perché la bozza dell’accordo si riferisce a un meccanismo temporaneo e su base volontaria. Dopo quanto emerso dalla riunione del consiglio europeo dei ministri degli Interni a Bruxelles, nei giorni scorsi, può affermarsi quel primo passo rischia in concreto di non portare ad alcun avanzamento.

Innanzitutto, a Bruxelles non era prevista la firma definitiva del pre-accordo di Malta. Come chiarito dal ministro dell’Interno italiano, Luciana Lamorgese, in quella sede è stato soltanto presentato il progetto messo a punto: alcuni Paesi «hanno dato la loro condivisione, perché, ogni volta che abbiamo avuto degli sbarchi, già immediatamente hanno dato disponibilità (…). Altri Paesi, in via generale hanno espresso un parere positivo, però molto poi viene rimandato a delle riunioni tecniche, che ci saranno prossimamente (…). Certo è che è un percorso che si chiuderà non immediatamente, richiede degli approfondimenti». Quindi, la strada da fare prima di parlare di un effettivo “primo passo” è ancora lunga.

Del resto, era noto sin dall’inizio che non sarebbero stati molti gli aderenti all’intesa: l’incontro di Bruxelles ha confermato che il gruppo dei “volenterosi” è limitato a Paesi quali Portogallo, Lussemburgo e Irlanda, oltre a Francia, Germania e Italia, presenti a Malta, e alla Finlandia che ha la presidenza di turno. L’auspicio è che pure altri Paesi accettino il principio di solidarietà condivisa nella ripartizione dei migranti sancito a Malta, ma al momento non c’è alcuna certezza. L’accordo prevede delle quote obbligatorie, che verranno stabilite quando poi avremo un quadro preciso di tutti i gli Stati che aderiranno, quando sapremo esattamente quanti Paesi avranno firmato”, ha detto Lamorgese. Ma meno saranno, maggiore sarà il numero di migranti da accogliere per ogni singolo aderente, con i problemi conseguenti.

Qualora la Francia selezionasse gli stranieri da accettare, dato che i rimpatri restano a carico degli Stati destinatari della ripartizione, un ulteriore paletto ostacolerebbe la messa a punto di una stabile collaborazione per la gestione degli arrivi dei migranti

Si aggiunga che il numero limitato dei partecipanti non favorisce la solidità dell’accordo, alla quale di certo non concorre la dichiarazione del ministro dell’Interno tedesco, Horst Seehofer: la Germania abbandonerebbe l’eventuale meccanismo temporaneo di ricollocamento dei migranti salvati nel Mediterraneo nel caso vi fosse “un servizio taxi tra l’Italia e la Libia” e se le persone da accogliere diventassero “migliaia”. Ciò renderebbe necessario quantificare puntualmente l’incremento del flusso migratorio idoneo a vanificare l’intesa, e tale quantificazione dovrebbe essere concordata tra i Paesi aderenti, traducendosi così nell’ennesimo paletto alla collaborazione fra gli stessi.

Peraltro, ulteriori elementi potrebbero rendere più complessa la definizione di un accordo conclusivo: ad esempio, Bulgaria, Cipro e Grecia hanno rilevato che negli ultimi mesi l’attenzione è stata focalizzata principalmente sulla rotta migratoria del Mediterraneo centrale, mentre la rotta del Mediterraneo orientale non è stata affrontata adeguatamente, nonostante gli arrivi in quell’area tendano ad aumentare. Non a caso, esperti come Matteo Villa dell’Ispi si erano chiesti sin dall’inizio perché il vertice di settembre fosse stato circoscritto agli arrivi in Italia e Malta, quando flussi ben maggiori riguardano Grecia e Spagna. Inoltre, lo stesso Villa aveva pure già rilevato che la redistribuzione avrebbe riguardato esclusivamente i migranti salvati in mare – da ONG, mezzi militari e navi commerciali – e quindi «l’8% del totale degli sbarchi in Italia», cioè una quota irrisoria.

Lamorgese ha reso noto che si sta cercando di fare in modo «che le procedure di rimpatrio vengano veramente verificate con un accordo a livello Ue, perché così ogni Stato è più forte». Ma ciò non pare equivalente alla responsabilità in via diretta dei rimpatri da parte dell’Unione Europea, di cui si era parlato inizialmente. Peraltro, il presidente francese Macron aveva affermato, prima del vertice di Malta, che avrebbe accolto solo i migranti giunti da Paesi con cui la Francia ha accordi di rimpatrio, così da renderne possibile il rientro nei luoghi di origine, se non aventi diritto al permesso di soggiorno. Qualora la Francia selezionasse gli stranieri da accettare, dato che i rimpatri restano a carico degli Stati destinatari della ripartizione, un ulteriore paletto – oltre a quelli sopra evidenziati – ostacolerebbe la messa a punto di una stabile collaborazione per la gestione degli arrivi dei migranti.

Dopo l’incontro di Malta, il ministro Lamorgese aveva dichiarato che «gli accordi con la Libia li teniamo in piedi, la guardia costiera libica sta facendo un buon lavoro»

Dopo l’incontro di Malta, il ministro Lamorgese aveva dichiarato che «gli accordi con la Libia li teniamo in piedi, la guardia costiera libica sta facendo un buon lavoro». A Bruxelles questo profilo non sembra sia stato trattato: ciò è singolare, specie dopo quanto recentemente emerso sul caso Bija e, quindi, sugli «accordi per trattenere oltremare migranti e profughi in transito in quel Paese in guerra».

Se a livello europeo l’intesa non procede come inizialmente era stato auspicato, a livello nazionale il ministro degli Esteri Di Maio continua a vantare il fatto che, grazie al cosiddetto decreto rimpatri, in 4 mesi saranno portate a termine le istruttorie per le richieste di asilo e i non aventi diritto all’asilo verranno rimandati in patria: peccato il ministro ometta di dire che, fino a quando non saranno raggiunti accordi con i “Paesi sicuri” individuati nel decreto, i rimpatri non potranno aumentare e gli stranieri non aventi diritto al permesso di soggiorno andranno a incrementare il numero degli irregolari nei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr), in condizioni precarie.

La questione della migrazione è ben lungi dall’essere affrontata come meriterebbe: si evitino almeno – a ogni livello – facili entusiasmi e infondate promesse.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter