L’epopea del disgelo nell’Unione Sovietica di Krusciov, raccontata da una collezione d’arte racchiusa in 112 pagine. Esce in questi giorni, presso l’editore Maretti, il catalogo “Piccola Russia. La collezione di arte russa e sovietica di Laura e Giuseppe Boffa”, a cura del figlio Massimo Boffa. Le opere raccolte dai due italiani, giornalisti inviati a Mosca rispettivamente per l’Unità e Noi donne, raccontano molto dell’esperienza di vita della coppia che visse la stagione riformatrice di Nikita Krusciov, condividendone valori e ragioni politiche e culturali.
Furono anni riformatori quelli tra il 1953 e il 1968 e la denuncia degli errori dello stalinismo durante il XX Congresso del Partito Comunista (1956) fu il primo segno di una nuova stagione nella politica sovietica, destinata a concludersi troppo presto. Giuseppe Boffa fu convinto sostenitore dei princìpi del tempo, convinto della necessità di una riforma della società sovietica. Concreta personificazione delle sue idee politiche furono riformatori come Alexsandr Dubcek, eroe della Primavera di Praga del 1968, e Michael Gorbaciov, nella cui segreteria negli anni Ottanta rivide uno slancio dei tempi di Krusciov. I suoi volumi “Storia dell’Unione Sovietica” (1976-1979) e “Dall’Urss alla Russia” (1995) fotografano lle sue idee politiche. Boffa ha riletto e interpretato il passato sovietico e la contemporaneità, soprattutto l’evoluzione verso lo stato russo guidato da Boris Eltsin. Insieme con moglie Laura, ha collezionato diverse opere, grazie ai rapporti di amicizia instaurati con artisti ed esponenti della società culturale moscovita, in particolare durante la seconda permanenza tra il 1962 e il 1964.
Come una madeleine, questa collezione rilegge la grande storia russa con nostalgia in tutte le sue opere, rievocando spesso la Mosca fatta di isbe che spariscono «dalla sera alla mattina» ormai scomparsa.
Nella collezione sono rappresentati diversi periodi della storia artistica russa. C’è il periodo classico, quello che va dagli anni Venti agli anni Quaranta che vede i vari Pavel Kuznetsov, Petr Sokolov e Dimitrij Mitrokin alle prese con uno stile sempre più sperimentale. Ci sono i “sestidesjatuiki”, gli artisti degli anni Sessanta capaci di rappresentare al meglio il contesto culturale del tempo, basato su una rinnovata libertà dai princìpi ideologici sovietici. A questo periodo appartengono Vjaceslav Kalinin, Boris Birger e Oskar Rabin.
All’interno della collezione un posto importante lo occupa Alexsandr Tysler, artista simbolo dell’epoca, nei cui quadri emergono figure poetiche libere da valori politici che riprendono personaggi mitici dell’immaginario russo ed ebraico. I rapporti di amicizia con artisti sovietici hanno permesso alla collezione Boffa di arricchirsi di opere di nuovi artisti. Un esempio è Nicolaj Andronov, uno dei maggiori esponenti dello stile “severo” in voga in URSS nella seconda metà degli anni Sessanta, che si rifaceva esplicitamente alle grandi icone religiose della storia russa. Come una madeleine, questa collezione rilegge la grande storia russa con nostalgia, rievocando spesso la Mosca fatta di isbe che spariscono «dalla sera alla mattina», come diceva Laura Boffa. E a questo mondo ormai dissolto che si riferiva probabilmente Giuseppe Boffa quando, ripercorrendo i tempi del disgelo sovietico, parlava del suo “mal di Russia”.