«Quando andiamo alle fiere a presentare i nostri software portiamo sempre qualcuno molto più grande di noi, anche se non è esperto di ciò che facciamo. Perché in Italia molti potenziali clienti non si fidano di un’azienda di trentenni e non si fermano allo stand se nel team che propone il prodotto non c’è una persona adulta». I due trentenni sono Marco Matarazzi e Andrea Sprega, ingegneri informatici, che dopo aver lavorato per un periodo nella Silicon Valley hanno deciso di riportare i loro cervelli in patria e investire in Umbria. Oggi lavorano a Gualdo Tadino, loro città di origine, in un open space all’americana (con una cucina piena di frutta e snack, una piccola palestra e ogni tipo di videogiochi) al primo piano di una palazzina che non tradisce innovazione ma come biglietto da visita a piano terra si presenta con una storica ferramenta di paese, con tanto di falciatrici da giardino e trapani a sconto.
«Sono partito da qui alla volta di San Francisco per un tirocinio in un’azienda dove lavorava un parente – spiega Marco, laureato in ingegneria a Perugia – e a un certo punto ho tirato dentro anche Andrea che stava finendo l’Università a Bologna: cercavano qualcuno che sapesse sviluppare e sistemare un App iOS su cui riscontravano una serie di problemi, in un massimo di 20 giorni… Andrea ne ha impiegati 10 e la settimana dopo ha ricevuto un biglietto per volare a San Francisco».
Da subito hanno iniziato a fantasticare sul rientro in Italia e, dopo un anno, l’azienda americana per cui lavoravano, la Vendini srl, gli offre la possibilità di farlo come consulenti da remoto. «Siamo tornati a casa e abbiamo detto: vediamo che succede». È successo che dopo 7 anni hanno un’azienda con 20 ingegneri informatici, 33 anni di media, nel cuore dell’Umbria. Tra di loro però, nemmeno una donna, le ragazze sono tutte assunte in altri reparti aziendali, dal marketing alle vendite, diversi dall’ingegneria del software. «Da quando abbiamo iniziato la nostra attività abbiamo ricevuto e scrutinato centinaia di curriculum ma tra questi solo 3 erano femminili», racconta Marco.
Nell’azienda di Marco Matarazzi e Andrea Sprega ci sono 20 ingegneri informatici, l’età media è di 33 anni. Accade nel cuore dell’Umbria a Gualdo Tadino, i dipendenti hanno tutti un contratto a tempo indeterminato, anche perché guai a farsi fuggire un ingegnere, le persone sono il vero patrimonio
La selezione del personale fa leva sulla collaborazione costruita con la facoltà di Ingegneria di Perugia e da qualche anno anche con il Politecnico di Ancona. «All’inizio per andare da Perugia a Gualdo Tadino alcuni colleghi impiegavano anche un’ora e un quarto, ma grazie alla nuova superstrada oggi bastano 35 minuti e così abbiamo allargato i nostri orizzonti di reclutamento. E di investimento». I due ingegneri e il loro piccolo esercito informatico hanno infatti sviluppato in azienda un software per la gestione a 360 gradi degli hotel che si chiama Slope. E le prospettive sono incoraggianti, con una crescita di fatturato che raddoppia ogni anno. Ma i nuovi professionisti del digitale, che contratti hanno?
«Tutti a tempo indeterminato, con contratto industria-metalmeccanici», ci dice Marco. Cioè lo stesso contratto delle tute blu di Terni? «Sembra impossibile ma è così. In effetti in quel contratto si parla di spogliatoi, vestiti da lavoro e dispositivi anti infortunistica. Servirebbe un aggiornamento ma ad oggi è quello che più si avvicina all’attività di sviluppo software. Manca sicuramente quel che riguarda il remote e lo smart working, perché da noi non si timbra un cartellino, si può lavorare quanto si vuole e da dove serve, per esempio da una conferenza a Londra o da casa, l’importante è il risultato».
Anche perché guai a farsi sfuggire un ingegnere, le persone sono il vero patrimonio: «Se di notte un malintenzionato entrasse con una mazza da baseball dentro l’ufficio, al massimo distruggerebbe qualche computer, facendo un danno riparabile e limitato. Questo perché nel nostro business non ci sono macchinari insostituibili, le uniche risorse insostituibili sono le persone, la loro testa e la passione che ci mettono ogni giorno. Portare altrove una risorsa umana è il vero danno che si può fare a un’azienda moderna»