Se puoi sognare di diventare il brand più potente al mondo, puoi farlo. A modo suo, Bob Iger ha declinato la massima di Walt Disney: if you can dream it, you can do it. Ha trasformato l’azienda di Topolino nel più grande operatore cinetelevisivo del mondo. Solo nel 2019 ha prodotto un terzo dei ricavi del box office Usa. Quando è diventato amministratore delegato nel marzo del 2005, l’azienda aveva 29 miliardi di capitalizzazione sul mercato. Oggi ne ha 223. In quindici anni di gestione le azioni della multinazionale sono aumentate del 492%, e i profitti del 335% (2,13 miliardi nel 2019) e il fatturato nel primo trimestre fiscale del 2020 è aumentato del 36% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso (20,86 miliardi di dollari contro 15,30 miliardi).
Dopo quindici anni il 68enne lascia il ruolo di ceo e una pesante eredità: grazie alla sua aggressiva campagna di acquisizioni dei concorrenti, Disney ha comprato metà dell’immaginario occidentale: dai jedi di Star Wars ai supereroi fumettosi della Marvel, dalla Pixar alla 21st Century Fox. Ma anche il canale sportivo Espn e la piattaforma di streaming Hulu. Una strategia irripetibile, solo perché non sono rimasti più rivali così grandi da far paura. Al successore di Iger, Bob Chapek, direttore dal 2015 dei parchi a tema Disney, si chiede solo di non rovinare il giocattolo. Non è la prima volta che Topolino partorisce una montagna così grande, ma nessuno vuole smettere.
Iger aveva annunciato quattro volte il ritiro e per quattro volte gli azionisti lo hanno pregato di non lasciare. L’ultima volta nel 2018. Ora è arrivato il giusto compromesso per gestire una transizione indolore e attuare l’ultima imponente acquisizione: la 21st Century Fox comprata a Rupert Murdoch nel 2019 per 71 miliardi di dollari. Per i prossimi 22 mesi, fino a quando non scadrà il suo contratto il 31 dicembre del 2021, Iger supervisionerà il lavoro di Chapek e rimarrà presidente esecutivo della multinazionale. Ma si occuperà soprattutto dello sviluppo creativo dei nuovi prodotti. Il più importante è la piattaforma Disney+ che promettere di non fare prigionieri nella guerra a Netflix ed Hbo. Quando è stato lanciato il 12 novembre del 2019, in un solo giorno ha raccolto 10 milioni di abbonati. Ora è arrivato a 28,6 milioni. Secondo le ultime stime entro il 2024 potrebbe raggiungere una quota tra i 60 e 90 milioni di iscritti. Le previsioni sembrano troppo ottimistiche perché negli Stati Uniti il picco sembra raggiunto. E anche all’estero dovrà vedersela con Netflix che di abbonati ne ha 167 milioni. In Italia Disney + arriverà il 24 marzo.
Con l’addio di Iger finisce un’era iniziata con tanti timori nel 2005, quando il suo predecessore Michael Eisner fu licenziato perché voleva rimanere al comando della compagnia. Appena arrivato, il nuovo amministratore delegato ha piazzato subito il primo colpo: convincere Steve Jobs a vendere la sua Pixar per 7,4 miliardi di dollari. Per anni la casa cinematografica d’animazione di “Toy Story” e “Alla ricerca di Nemo” aveva tolto fette di mercato alla Disney sempre più a corto d’idee nella transizione al digitale tra il 2004 e 2005 con flop al botteghino come “Mucche alla riscossa” o il dimenticabile “Chicken Little”. Prima dell’arrivo di Iger la multinazionale di Burbank aveva provato una timida partnership per distribuire i film Pixar che non aveva portato molto successo. Il ceo fu criticato dagli azionisti per il prezzo troppo alto dell’acquisto, ma la scelta si è rivelata vincente per gli incassi di una casa di produzione che sarebbe stata comunque venduta a qualcuno dopo il ritorno di Jobs ad Apple.
Anche cinque anni dopo, il ceo Disney ha declinato a modo suo un altro detto, questa volta quello attribuito a Cesare: «Se non riesci a battere il tuo nemico, unisciti a lui». Invece di unirsi al nascente nemico Marvel l’ha comprata per 4 miliardi nel 2009 per entrare di prepotenza nel mercato dei contenuti dedicati ai giovani maschi. Il momento era perfetto: Marvel aveva appena iniziato a realizzare una serie di film spensierati pensati per il grande pubblico sui supereroi creati da Stan Lee. «Questo tesoro di oltre 5mila personaggi offre a Disney la possibilità di fare ciò che facciamo meglio» annunciò Iger al momento dell’acquisizione. Il ceo Disney ha avallato e ampliato una pianificazione decennale per drogare in tre fasi il mercato cinematografico creando un fenomeno collettivo di massa: la saga degli Avengers. Tra sequel e spin off dedicati ad Iron Man, Thor, Hulk, Captain America, Spider Man e altri eroi, la Disney ha realizzato il franchise più redditizio nella storia del cinema: oltre 28 miliardi di dollari in dieci anni. Escluso il merchandising. Anche allora, Iger fu criticato per l’acquisizione, ma già nell’agosto del 2014 l’azzardo era stato ripagato. La Disney aveva recuperato la spesa sostenuta grazie al botteghino dei primi cinecomic Marvel.
Non c’è due senza tre. Nel 2012 Iger realizzò l’all in per diventare il monopolista dei box office: l’acquisto per 4 miliardi di dollari della casa cinematografica di George Lucas (Lucasfilm). A facilitare il lungo negoziato è stato il rapporto privilegiato tra Lucas e Iger. I due si conoscevano dagli anni ’90 quando il ceo Disney lavorava per il canale statunitense Abc e produsse per due stagioni una serie tv su Indiana Jones, contro il parere dei suoi superiori. E così di azzardo in azzardo, Iger ha ottenuto i diritti per produrre i sequel di Guerre Stellari e Indiana Jones. Anche gli incassi sono stati stellari: con la nuova trilogia degli Jedi conclusasi a dicembre del 2019, la Disney ha incassato quasi 4,5 miliardi di dollari. Solo l’anno scorso la multinazionale di Topolino ha prodotto l’80% dei migliori successi al botteghino e nell’ultima decade solo nel 2011 e 2013 non ha dominato la classifica dei dieci film più venduti negli Stati Uniti. E con l’acquisto di marzo 2019 della 21st Century Fox, ora Disney possiede tutte le case di produzione che hanno prodotto nove dei dieci film più visti della storia del cinema: Avengers: Endgame, Avatar, Titanic, Star Wars: Il risveglio della Forza, Avengers: Infinity War, Jurassic World, Il re leone, The Avengers, Frozen II – Il segreto di Arendelle. Unica eccezione: Fast & Furious 7 della Universal.
Anche per questo il ceo Disney è entrato nella lista delle 100 persone più influenti secondo la rivista Time. Mentre a gennaio è stato inserito nella Hall of fame della televisione statunitense. E dire che come ricorda nella sua autobiografia “The Ride of a Lifetime” (La corsa della vita) Iger aveva iniziato nel lontano 1974 come assistente di produzione per qualsiasi programma andasse in onda negli studi di Manhattan della Abc, di cui poi è diventato presidente nel 1993. Il primo stipendio era di 700 dollari al mese. Ora secondo la rivista Forbes ha un patrimonio di circa 690 milioni di dollari, molto più ricco dell’erede di Walt Disney, Abigail.
Alcuni maligni sostengono che tra i motivi dell’addio ci sia la sensazione della fine di un’epoca d’oro irripetibile. Nel 2016 secondo la società di consulenza Brand Finance che classifica i principali marchi del mondo, il primo brand del pianeta era Disney. Ora è in decima posizione. Le saghe di Avengers e Star Wars hanno finito la loro spinta propulsiva. Tra sequel spin off e reboot il rischio di saturare il mercato e annoiare il pubblico è dietro l’angolo. Com’è accaduto per la Pixar e Marvel, tra gli analisti c’è chi si chiede quando Disney recupererà i 71 miliardi spesi per acquistare la 21st Century Fox, visto che i film prodotti dalla divisione cinematografica sono andati maluccio al botteghino come i flop “Il richiamo della Foresta” con Harrison Ford e il disastroso cinecomic degli X-Men “Darx Phoenix”. Infine è tutta da giocare la grande partita dello streaming/ondemand. Motivi sufficienti per lasciare all’apice e lasciare al settimo amministratore delegato della Disney, l’onere di confrontarsi col passato.