L’impattoTutti i danni che il coronavirus farà al mondo del lavoro (sono tanti)

Potrebbero saltare 25 milioni di posti in tutto il mondo, soprattutto nei settori più colpiti come turismo e trasporti aerei. Si salva la sanità e per qualche mese anche il mondo del digitale

(FILES) In this file photo A Boeing 747 commercial plane of KLM airline lands at Shipol airport behind spectators watching the European Athletics Championships at the Olympic stadium in Amsterdam on July 6, 2016. - Dutch national airline KLM said Friday it will cut up to 2,000 jobs as it battled the impact of the new coronavirus outbreak, and announced other cost-cutting measures. (Photo by FABRICE COFFRINI / AFP)

Quando tutto questo sarà finito, potrebbero essere saltati 25 milioni di posti di lavoro in tutto il mondo. E chi il lavoro riesce a tenerlo perderà a livello globale 3.400 miliardi di dollari di reddito in ore tagliate e stipendi diminuiti. Sono le stime – al ribasso, va detto – dell’Ilo (International Labor Organization), agenzia dell’Onu che promuove il miglioramento delle condizioni dei lavoratori, e che ha fatto una prognosi dell’impatto economico che avrà il coronavirus. Al confronto, la crisi del 2008-2009, con tutti gli strascichi, aveva lasciato a casa 22 milioni di persone.

Ma ci sono spiragli. Se tutti i governi riescono a prendere le giuste misure di contenimento della crisi, lavorando in modo coordinato promuovendo politiche coerenti non solo a livello nazionale, ma anche globale, allora la stima delle perdite potrà essere ridotta in maniera sensibile: 5,3 milioni di disoccupati. Non un disastro, ma una pessima notizia.

«Adesso ci sono Stati, molti di questi europei, che stanno già pompando soldi nelle loro economie per non farle bloccare, cercando di mantenere il numero dei lavori o il livello degli stipendi. Ed è ottimo», commenta Guy Ryder, direttore generale dell’Ilo. Ma «sarebbe sempre meglio che i Paesi agiscano insieme: l’impatto delle loro azioni sarà più grande».

Un invito che suona come un appello, anche di fronte alle mancate intese tra i leader europei sulle misure più adatte da mettere in campo, mentre la previsione dei danni somiglia già a una conta.

Al primo posto dei settori più colpiti c’è, come si può intuire, quello del turismo e dei viaggi. Le compagnie aeree, le prime a subire le conseguenze delle misure di contenimento, hanno già quantificato un danno globale di 250 miliardi. Circa 60 operatori hanno smesso di volare, in attesa di tempi migliori. Ryanair, la maggiore in Europa per numero di passeggeri, starà a terra ad aprile e a maggio.

«Abbiamo bisogno di un aiuto importante e in fretta», ha dichiarato Alexandre de Juniac, direttore generale dell’International Air Transport Association (Iata). Senza un aiuto degli Stati, ha aggiunto, almeno la metà delle compagnie rischia il fallimento nelle prossime settimane. Alcuni di questi hanno già risposto, come gli Stati Uniti, che hanno messo sul piatto un pacchetto di 58 miliardi di aiuti. Secodo gli esperti, il settore potrebbe riprendersi addirittura entro Natale. In Europa invece il quadro, già segnato da eccesso di capacità in tempi normali, è più preoccupante: Scandinavian Airlines, Air Canada e Norwegian Air hanno annunciato che taglieranno, in tutto, 20mila dipendenti

A ruota viene il settore alberghiero. Grandi catene come Marriot, Hilton e Hyatt stanno già congedando decine di migliaia di dipendenti. E Scandic Hotels, il più grande gruppo alberghiero svedese, ha già annunciato che farà a meno di 2mila lavoratori. È la diretta conseguenza del blocco dei movimenti delle persone. Tavoli vuoti, prenotazioni saltate, consumi ridotti. Secondo Confcommercio i danni da coronavirus soltanto per l’economia di ristoranti e alberghi è di 23 miliardi, una correzione in negativo delle prime stime, che prevedevano una perdita in tutto il settore dei consumi di 18 miliardi. E un punto di pil.

Del resto i segnali sono negativi anche dai mercati stranieri: dagli Stati Uniti le ultime stime dei disoccupati (26 marzo) del Labor Department si aggirano intorno ai 3,3 milioni. Una cifra pazzesca, «che supera anche il concetto di record», ha dichiarato un’analista di Schmidt Futures. E che giustifica tutte le misure prese finora dal governo. In questo stop forzato, secondo i calcoli di Moody’s, potrebbero essere colpiti circa 27 milioni di americani, cioè il 18% del totale della forza lavoro. Tutti impiegati nei settori più vulnerabili

E nemmeno in Germania c’è da sorridere: il sistema tedesco, per evitare la disoccupazione, ha già messo in campo il “Kurzarbeit” durante la crisi del 2008-9, con cui ha permesso alle aziende una grande flessibilità nei salari e negli orari, evitando però i licenziamenti. Si prevede che lo farà di nuovo, anche se le stime restano negative: spariranno 1,6 milioni di lavori full time, e ci saranno sei milioni di impiegati part time. Deutsche Bank conclude che nell’area euro il tasso di disoccupazione si aggirerà tra il 13 e il 19% (per la crisi del 2008 si era arrivati al 12%).

Non tutto andrà male. Alcuni settori riusciranno a resistere: quali? Secondo alcuni esperti, saranno abbastanza al sicuro i lavoratori dell’Information Technology, della sanità, della telefonia. E anche l’e-commerce e il food retail dovrebbero essere ben posizionati. Ma attenzione: scommettere sul virus per immaginare l’arrivo della tanto sospirata transizione al digitale potrebbe rivelarsi controproducente. Certo, le aziende del tech californiane hanno cominciato ad assumere nelle ultime settimane, ma se l’economia si ferma, nemmeno quella del tech può sopravvivere troppo a lungo. Come ha dichiarato Schmidt-Klau, dell’Ilo, «Anche quella è un settore di servizi. E se non ci sono servizi da fornire, allora non sarà necessario nemmeno il supporto IT». Potrà durare di più, ma solo per qualche mese.

X