Entro la prossima settimana. Questa è la previsione per il picco dei contagi da coronavirus, almeno secondo quanto dice Ranieri Guerra, direttore vicario dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ai microfoni di Circo Massimo, su Radio Capital. Quella che viene, insomma, sarà «la settimana decisiva».
A indirizzare verso questa lettura sono alcune considerazioni. La velocità di trasmissione del virus è in leggera diminuzione e «in alcune regioni siamo vicini al punto di caduta della curva».
Di conseguenza è in questi giorni che dovrebbero potersi vedere gli effetti delle misure (drastiche) «messe in atto dal governo 15/20 giorni fa». Al declino dei contagi seguirà, dopo qualche giorno, anche quello dei decessi. «La mortalità segue un andamento ritardato nel tempo». Si vede la fine? Meglio mettere le mani avanti: Guerra precisa che, al momento, «dire qualcosa di preciso significa dire una stupidaggine». Serve aspettare, confrontare i dati e analizzare con cura. Quello che è certo è che le stime che circolavano nei giorni precedenti all’entrata in vigore del decreto Cura Italia erano fin troppo ottimistiche. Il picco era atteso per il 18 marzo, cioè una settimana fa.
Come puntualizza il virologo Fabrizio Pregliasco, contattato da Linkiesta, «quello cui si assiste è un rallentamento della velocità dei contagi, che però continuano a crescere». Non si tratta di un «calo». Ogni considerazione sui picchi, comunque, «è soltanto un dato aggregato» che riguarda tutto il Paese. Ci saranno «più picchi, a seconda delle zone, in momenti diversi. A Lodi è arrivato, forse anche a Bergamo». In futuro ci saranno quelli del Piemonte e delle Marche. «A cascata quelli delle regioni del Sud», che avranno – si spera – numeri più bassi «grazie al fatto che si sono prese in tempo misure di contenimento».
Provvedimenti che anche secondo Guerra si sono rivelati «profondamente giusti», presi a suo avviso «anche con una certa tempestività». Forse «con qualche ritardo all’inizio, ma è comprensibile che la macchina burocratica e amministrativa abbia impiegato del tempo a digerire dati di un’epidemia che ha caratteristiche che cambiano giornalmente». In ogni caso, bisogna restare in guardia: «La battaglia non è vinta».
A suo avviso circa l’80% delle persone contagiate «non se ne accorge neanche». I pazienti gravi sono tanti ma le risorse messe in campo «sono state rafforzate» e il sistema sanitario ancora tiene «rispetto ad altri Paesi, e tiene bene». È una preoccupazione importante: non basta fermare il contagio in Italia e spianare la fatidica curva. Per evitare i “contagi di ritorno”, cioè il ritorno del virus importato da visitatori o cittadini italiani ora residenti all’estero, è importante mantenere elevati i controlli.