Il nostro premier fa la faccia feroce in videoconferenza con le capitali europee, probabilmente a ragione. Minaccia gli alleati che l’Italia farà da sola, brrr che paura, ma è come se sentisse mancargli il terreno sotto i piedi, non solo per l’enormità dell’impresa, complicatissima per chiunque, figuriamoci per l’avvocaticchio del popolo, ma perché avverte che tra Roma e Francoforte, dove per Roma si intende il Quirinale e per Francoforte la Banca Centrale Europea, passando da Rignano e da via Bellerio, si sta apparecchiando la Ricostruzione-che-verrà con un capotavola da individuare in base a dove si vorrà sedere Mario Draghi.
Conte lo sa e non può far altro che provare a governare con decenza l’emergenza sanitaria e di ordine pubblico di queste settimane, giocando di sponda con il Partito democratico che lo ha incoronato leader fortissimo di tutti i progressisti, anche se in questo stato di eccezionale bisogno per il paese il premier ha trovato il tempo di sporgere denuncia contro ignoti del suo stesso governo per individuare chi ha fatto circolare il decreto del 7 marzo.
Con i leader europei, intanto, si è dato tempo due settimane per formulare le proposte comuni contro la crisi economica, con i falchi del nord da una parte, la Germania in mezzo e l’Italia, la Spagna e, per ora, la Francia dall’altra.
Qualsiasi cosa decideranno i leader europei sarà sempre un intervento più timido rispetto all’agenda Draghi presentata ieri sul Financial Times, senza dimenticare che nessun italiano è più credibile dell’ex presidente della Banca Centrale anche solo per immaginare un aumento senza limiti del debito pubblico degli Stati e di cancellazione di quello dei privati. La soluzione di Draghi è globale, costi quel che costi, e se l’impatto del virus sull’economia sarà quello che temono gli analisti più pessimisti la sua proposta è certamente la più appetibile.
Ma è molto interessante anche il cosiddetto Piano Bridge presentato da un gruppo di economisti e giuristi, e presieduto dall’ex alto dirigente del Tesoro Fabrizio Pagani: è un programma oneroso e ambizioso, ma di estrema semplicità specie se comparato alle infinite pastoie del decreto Cura Italia. Il Piano Bridge consiste banalmente in una «straordinaria e ingente erogazione di credito, con garanzia dello Stato, agli operatori economici».
Per consentire la ripresa, sostengono i promotori del piano, bisogna mettere le imprese grandi, medie e piccole, le partite Iva, i professionisti, le cooperative e il Terzo Settore nella condizione di superare il periodo più grave dell’emergenza, individuato in tre mesi, con dei prestiti da parte delle banche garantiti dallo Stato e di importo pari a massimo tre mesi di fatturato del 2019. Semplice: guadagnavi tot, non lo guadagni più, le banche ti prestano l’ammontare equivalente e lo Stato garantisce, mentre tu azienda o individuo, senza bisogno di presentare garanzie reali o fideiussioni personali, senza burocrazia canaglia e con l’unico vincolo di mantenere i livelli occupazionali, non paghi un euro di interessi e cominci a rimborsare in cento rate a partire dal 2022. Bingo.
Una proposta seria, attuabile, intelligente che pecca solo di ottimismo sulla tempistica della soluzione della crisi umanitaria e sanitaria, tre mesi, ma che se non fosse troppo distante dalla realtà sarebbe certamente in grado di fornire agli italiani la liquidità necessaria per ripartire e per riportare il prodotto interno lordo ai livelli del 2019, a patto che il resto del mondo non vada a carte quarantotto.
È probabile che esistano altri progetti analoghi al Bridge, altrettanto brillanti. Ciò che manca è sempre la stessa cosa: una leadership politica in grado di immaginare soluzioni alternative a quelle canoniche, possibilmente non riconducibili ad aprire le porte del nostro paese ai regimi autoritari dell’est in cambio di nulla e nemmeno a perdere tempo col denunciare le manine che diffondono via Whatsapp le bozze di decreto.