Finora il coronavirus ha causato 2.700.000 casi di contagio certificati in tutto il mondo, con 185mila decessi ufficiali: è presente da mesi tra la popolazione umana, gli scienziati lo studiano da settimane e sperimentano cure e vaccini. Eppure ci sono ancora alcuni aspetti sconosciuti e inquietanti e riguardano il comportamento del virus nell’organismo e gli effetti che provoca.
Come scrive il Washington Post, una serie di studi condotti su casi di pazienti americani hanno rilevato la formazione di numerosi – e spesso letali – coaguli nel sangue. Secondo il quotidiano, il personale sanitario si era preparato ad affrontare «un virus respiratorio, anche se molto contagioso e letale, per il quale non ci sono né vaccino né cure specifiche», e invece hanno incontrato un patogeno in grado di danneggiare «anche i reni, il cuore, l’intestino, il fegato e il cervello». Questo ha cambiato il quadro.
Quello dei trombi, aspetto che era rimasto marginale negli studi cinesi e italiani, può avere conseguenze gravissime, causando ictus e infarti. Ma non solo: i medici hanno incontrato casi paradossali, con pazienti con livelli di ossigeno bassissimi – che dovrebbero provocare incoscienza, o addirittura la morte – che parlavano al telefono senza problemi. O donne incinte asintomatiche in arresto cardiaco. E ancora, pazienti che mostravano sintomi moderati, peggiorare nel giro di poco. A rendere tutto più complicato, non mancano casi (come quello descritto sul New England Journal of Medicine) che sembra andare nella direzione opposta, con un paziente colpito dalla diminuzione della capacità di coagulazione.
Il legame tra coronavirus e sangue, con tutte le anomalie che comporta, sembra indiscutibile. Si trovano numerosi grumi nelle autopsie, possono viaggiare per il corpo e raggiungere il cervello o causare blocchi della circolazione – con la necessità di amputazioni. I livelli sono altissimi. Come spiega Lewis Kaplan, a capo dell’American Society of Critical Care Medicine, che cura molti casi con complicazioni nella coagulazione, «non abbiamo mai visto una cosa del genere». Si formano anche in pazienti trattati con l’eparina. I grumi hanno perfino inceppato le macchine per la dialisi. Un problema che «vediamo ma di cui non capiamo la ragione» e che, con molta probabilità può essere la ragione principale per l’alto numero di decessi a casa.
Secondo Helen W. Boucher, specialista di malattie infettive al Tufts Medical Center «è un problema più evidente per i medici americani a causa della demografia della popolazione, caratterizzata da una alta percentuale di persone obese e con problemi al cuore», oltre al fatto che gli strumenti delle terapie intensive statunitensi, aggiunge, sono più sofisticate.
Ma capire se si tratti di un effetto diretto del virus, che attacca i vasi sanguigni, o di una iper-reazione del sistema immunitario è ancora difficile. «Forse», aggiunge Harlan Krumholz, uno dei più importanti cardiologi del mondo, specialista allo al New Haven Hospital Center, «l’organismo è impegnato nella lotta contro l’agente patogeno che consuma i fattori della coagulazione ematica, cosa che può condurre alla trombosi, ma anche al suo opposto».
Stando alle statistiche, la causa principale dei decessi dei pazienti Covid è l’insufficienza respiratoria, ma le complicanze cardiovascolari vengono subito dopo. Secondo quanto dice a Business Insider il dottor Alex Spyropoulos, esperto alla Northwell Health di New York, «è proprio la situazione cardiovascolare che va tenuta sotto osservazione nei pazienti Covid in terapia intensiva» anche perché non sarebbe la prima volta. «Anche in alcuni pazienti affetti dal virus della febbre suina, l’H1N1, o dalla SARS, si sono verificate condizioni simili». Capirne le cause porterà anche a elaborare rimedi specifici. Ma, nonostante le migliaia di contagi e le settimane di lavoro, servono ancora studi più chiari e valutazioni più ampie.