Giovedì il governo americano ha avviato il primo esperimento su ampia scala di “Helicopter money” consegnando un assegno da 1.200 dollari alla quasi totalità della popolazione americana, come parte del pacchetto di stimoli anticrisi pari a circa il 10% del Pil varato dall’amministrazione Trump. Helicopter money è una espressione coniata dall’economista Milton Friedman nel 1969 per indicare una distribuzione diretta di denaro ai cittadini. «Lanciando moneta direttamente dall’elicottero», la Banca centrale supera le difficoltà legate alla trasmissione della politica monetaria attraverso le banche private, andando a stimolare direttamente i consumi e, dunque, la crescita del reddito.
Anche in Europa l’Helicopter money potrebbe usata per superare l’attuale impasse sugli Eurobond, immettendo nel sistema economico moneta fresca per sostenere le spese sanitarie e favorire la ripresa economica.
Economisti di orientamenti diversi, da Ben Bernanke a Nouriel Roubini o da J. Bradford DeLong, Yanis Varoufakis, Guido Tabellini, Olivier Blanchard, fino a Jean Pisani-Ferry hanno sostenuto questa idea nel contesto dell’attuale crisi, proponendone versioni diverse che vanno dal finanziamento monetario della spesa pubblica al conferimento diretto di moneta ai cittadini.
Per richiamare immagini e tecnologie a noi più vicine, oggi potremmo chiamare quest’ultima forma di politica monetaria “Digital Drone Money” (Ddm).
Diversamente dagli stimulus check del presidente americano Trump, la Ddm dovrebbe, secondo noi, costituire un circuito monetario vero e proprio disegnato per supportare in prima battuta i consumi essenziali dei cittadini meno abbienti e, secondariamente, alimentare il gettito fiscale e gli investimenti pubblici, senza aumentare il deficit e anzi raccogliendo risorse necessarie a diminuire il debito pubblico.
Il piano che proponiamo prevede la costituzione di un @euro (non una moneta parallela ma un euro completamente digitale, sulla falsa riga di quanto proposto in Svezia con la e-krona) registrato sui conti della Banca centrale europea a favore dei circa 340 milioni di cittadini dell’eurozona, al quale viene collegata un’app per effettuare pagamenti con smartphone e da computer. L’accredito verrebbe rinnovato mensilmente dalla Bce.
Si tratterrebbe di aprire un nuovo canale di politica monetaria diretto: la Bce avrebbe il potere di variare l’erogazione, iniettando Ddm in misura maggiore o minore. Le imprese non riceverebbero Ddm ma avrebbero benefici indiretti dai maggiori consumi dei cittadini e anche da un più basso livello dei tassi d’interesse che si creerebbe come effetto secondario della creazione di liquidità.
Il Ddm non costituirebbe per i cittadini un conto corrente vero e proprio. Non pagherebbe interessi, non avrebbe costi di gestione e non si potrebbe accumulare (potrebbe essere prevista una penalizzazione per chi non lo spende con una riduzione dell’erogazione il mese successivo).
Non si potrebbero fare trasferimenti da un conto bancario personale al conto Bce e viceversa. Questo risponderebbe all’esigenza delle banche di non essere disintermediate dalla BCE, la quale, naturalmente, non deve mai entrare in concorrenza diretta con le banche commerciali.
L’erogazione della Ddm da parte della Bce avrebbe effetti immediati sulla domanda aggregata. È vero che il cittadino potrebbe decidere di mantenere invariati i suoi consumi, compensando la spesa di Ddm con una minore spesa dai suoi redditi correnti. Indirettamente ciò indurrebbe comunque un aumento sulla liquidità (i depositi bancari aumenterebbero) inducendo effetti positivi anche sui tassi d’interesse bancari. L’effetto sarebbe comunque positivo.
Ma quali criteri adotterebbe la Bce per determinare quanto versare a ogni cittadino? A nostro avviso, per non invadere un campo che non le compete (quello delle politiche fiscali),la Bce dovrebbe dare a tutti i cittadini la stessa somma (supponiamo, ad esempio, 300 euro a testa).
Spetterebbe, poi, ai singoli Stati decidere come tassare questo reddito aggiuntivo goduto dai cittadini. Ogni governo potrebbe recuperare in dichiarazione dei redditi la Ddm, secondo i regimi di tassazione nazionali, ma con un’aliquota marginale fino al 100% per quelle persone che hanno redditi e patrimoni oltre una certa soglia e non hanno avuto alcun ammanco di reddito a causa dell’emergenza.
In ogni caso ogni Stato nazionale ricaverebbe un gettito fiscale sui redditi aggiuntivi erogati dalla Bce. Ma non si tratterebbe di un finanziamento monetario del deficit in quanto ricavato dal reddito goduto dai cittadini.
Lo Stato potrebbe usare gli introiti così acquisiti in tre modi:
1) Rafforzare la redistribuzione a favore di alcune categorie particolarmente colpite dalla crisi
2) Effettuare spese pubbliche necessarie per fronteggiare la crisi sanitaria oppure investimenti utili alla ripresa economica
3) Ridurre il suo debito pubblico ricomprando titoli sul mercato o direttamente dalla Bce.
Un esempio numerico può aiutare a chiarire la logica del circuito attivato dalla Ddm. Ammettiamo che la Bce dia un Ddm di 300 euro mensili a tutti i cittadini (bambini inclusi) dell’eurozona. Sono circa 1.200 miliardi annui (pari a circa il 10% del Pil dell’eurozona, analogo, dunque alla manovra in deficit attuata dal governo americano). Agli italiani andrebbero 212 miliardi di euro. Una famiglia di 4 persone riceverebbe 1.200 euro mensili.
Nel caso in cui la sua situazione economica patrimoniale superi una certa soglia di imponibile, il tax rate marginale potrebbe arrivare fino al 100%. La famiglia che sa già di non aver diritto ad alcun trasferimento dovrebbe poter decidere di versare automaticamente il Ddm a uno speciale fondo, dal quale poi lo Stato preleverebbe senza ulteriori oneri e adempimenti per il contribuente. È chiaro che per single o coppie che abbiano perso totalmente il lavoro in seguito alla crisi occorrono misure aggiuntive che andrebbero finanziate su base nazionale.
Ammettiamo che ogni Stato tassi in modo progressivo e incameri fino a un massimo del 50% come gettito fiscale. Lo Stato Italiano potrebbe ricavare, dunque, 106 miliardi di gettito aggiuntivo. Una parte del gettito ricavato dal Ddm, mettiamo 1/3 pari a 35 miliardi, potrebbe servire a interventi straordinari per la sanità pubblica, altri 35 miliardi potrebbero andare a sostenere categorie in particolare stato di necessità, e 35 miliardi potrebbero essere utilizzati per ricomprare titoli del debito pubblico a breve scadenza, riducendo il debito pubblico di circa il 2%.
In alternativa, una parte del gettito fiscale potrebbe andare a un fondo europeo, gestito da BEI e Commissione, per effettuare investimenti o redistribuire risorse a livello europeo. Queste ultime due misure (conferimento a Fondo europeo e riduzione dello stock di debito pubblico) dovrebbero essere decise a livello europeo e non lasciate alla discrezionalità degli Stati; potrebbero tuttavia essere tarate sulla base delle condizioni finanziarie effettive di ciascun Paese.
L’impatto sul Pil Europeo sarebbe importante e tale da rispondere all’attuale emergenza: assumendo che tutta la moneta venga spesa per consumi e investimenti e con un moltiplicatore di 1,2 l’impatto sul Pil dell’eurozona sarebbe di circa 1.500 miliardi ovvero un + 12% (che naturalmente va calcolato partendo dal punto di caduta del Pil nel 2020).
Ma forse in una fase come questa il moltiplicatore (che sembrerebbe avere un andamento anticiclico) potrebbe anche essere più elevato. Naturalmente questo impatto positivo richiederebbe anche una riattivazione degli scambi e della produzione che deve essere organizzata e coordinata, tenendo conto delle necessarie misure sanitarie.
Certo, il piano è di natura potenzialmente inflazionistica. Ogni anno immette una quantità di moneta che è pari a circa il 10% del Pil dell’Eurozona e la riassorbe soltanto in parte. Come evitare che questo, a lungo andare, produca spinte inflazionistiche?
Ci sembra che ci possano essere varie soluzioni:
1) La creazione di Ddm viene ridotta man mano che la crisi finisce e l’economia torna a crescere;
2) La creazione di Ddm viene compensata con la distruzione di base monetaria attraverso canali tradizionali a disposizione della Bce
3) La creazione di Ddm viene compensata con un aumento della quota del gettito fiscale che viene obbligatoriamente investita nel riacquisto dei titoli in possesso della Bce.
Al di là dei dettagli che possono essere maggiormente studiati e adattati alle condizioni dei singoli paesi, la filosofia del Ddm ci sembra molto promettente. Essa rafforza la politica monetaria senza violare i trattati e senza minare l’indipendenza della Bce che rimarrebbe padrona di variare la creazione di liquidità a sua discrezione.
Allo stesso tempo essa darebbe spazi di manovra ulteriori alle politiche fiscali nazionali, senza necessità di aumentare il debito pubblico e senza richiedere alcuna condivisione di oneri e rischi presenti e futuri. La solidità finanziaria dell’Unione europea ne uscirebbe ulteriormente rafforzata.
Ma il Ddm, ci sembra, presenta un ulteriore vantaggio. Contrastando una retorica che vuole le istituzioni europee come schiave degli interessi finanziari e per questo inclini a imporre massicce dosi di austerità a danno dei lavoratori e delle fasce più deboli della popolazione, il Ddm parte proprio offrendo un sostegno diretto e non momentaneo ai loro redditi.
Il nuovo canale di trasmissione della politica monetaria passerebbe, dunque, dalle tasche dei cittadini, prima che dalle riserve delle banche. Le banche continuerebbero a fare indisturbate il loro mestiere. Ma la politica monetaria acquisterebbe uno strumento in più per esercitare il suo ruolo di stimolo e di stabilizzazione macroeconomica.
Un ultimo punto è da sottolineare. Il piano, così come da noi proposto, non intacca e, anzi, rafforza la sovranità nazionale: allo stesso tempo esso offre ampi margini di coordinamento della politica monetaria e fiscale a livello europeo. Esso può anche generare risorse da impiegare per la modernizzazione e la crescita inclusiva e sostenibile di tutto il continente.
Ci sembra che se vogliamo rilanciare le possibilità di sopravvivenza e di crescita del progetto europeo occorra, prima di tutto, dare a tutti i cittadini dell’Unione risposte concrete ai loro problemi e prospettive di un futuro migliore. Questa crisi è una grande occasione che non deve essere sprecata.
Sebastiano Nerozzi è Professore Associato presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Giorgio Ricchiuti è Professore Associato presso l’Università degli Studi di Firenze e fellow del Complexity Lab in Economics