Fan del DragoneChe cosa dimenticano i nuovi ammiratori della Cina

Pechino non ha uno stato sociale. Il sistema sanitario è costoso e lo è anche quello scolastico. Ecco perché servirebbe una svolta socialdemocratica, anche per far funzionare meglio l’economia cinese

NOEL CELIS / AFP

Si hanno quelli che della Cina ammirano l’efficienza con cui è stato debellato il coronavirus insieme gli aiuti sanitari che riceviamo. Si hanno quelli che sostengono che la Cina, nonostante abbia (forse) debellato il coronavirus, resta una autocrazia dalla quale non è saggio accettare gli aiuti sanitari. Si hanno, infine, quelli che ammirano la Cina sulla spinta mai sopita delle proprie passioni giovanili.

Tutto bene per quanto concerne le passioni, ma sulla Cina che cosa avrà mai da dire la “triste scienza“,  la vecchia etichetta dell’economia?

Gli ammiratori della Cina – cum o ex coronavirus debellato – dimenticano che il Regno di Mezzo non ha lo “stato sociale”. Solitamente gli ammiratori della Cina sono quelli che intravvedono nel coronavirus il tanto atteso becchino del “neo liberismo”. Come si concili l’ammirazione per la Cina e il rigetto del neo liberismo non è dato capire, dal momento che la Cina non ha uno stato sociale che gli ammiratori della Cina vogliono difendere, anzi allargare, in Europa.

I detrattori della Cina – cum o ex corona virus debellato – non apprezzano abbastanza l’assenza di stato sociale nel Regno di Mezzo. I neo liberisti sono, infatti, dal punto di vista della dottrina, scettici sulla eguaglianza materiale, che in Cina è ben lontana dall’esserci. I neo liberisti sono però decisi assertori della libertà politica e dei diritti, che in Cina non si intravvedono.

E rieccoci alla “triste scienza”. L’economia cinese ha come caratteristica la gran crescita degli investimenti e delle esportazioni a scapito dei consumi. Questo è il tratto tipico di ogni economia in via di sviluppo. Solitamente per diventare sviluppate le economie passano da una crescita trainata dagli investimenti e dalle esportazioni a una trainata dai consumi privati. Fintanto che la Cina non sceglie i consumi interni ecco che deve stimolare – con la spesa o con il credito – una politica di enormi investimenti domestici, e di scaricare all’estero la modesta domanda interna attraverso le esportazioni.

Ma i consumi crescono stabilmente se le famiglie non hanno timore. Le famiglie cinesi risparmiano molto per far studiare i figli e casomai si rompessero una gamba, il sistema sanitario cinese è costoso e lo è anche quello scolastico. I cinesi risparmiano in vista degli eventi futuri, laddove questi sono molto costosi. Se questi eventi diventassero meno costosi – le assicurazioni e lo stato sociale riducono l’onere degli eventi negativi, perché si divide con gli altri la probabilità che si manifestino gli eventi negativi – i cinesi risparmierebbero di meno e quindi consumerebbero di più. Tecnicamente, verrebbe meno il risparmio “precauzionale”.

Le caratteristiche “semi socialiste” della Cina – il partito unico, insieme a una forte presenza dello stato in economia sono le caratteristiche “socialiste”, che però diventano “semi” per l’assenza dello stato sociale – sono state forse utili fino a oggi, ma per il domani forse servirebbero delle caratteristiche “socialdemocratiche”: meno investimenti e più “stato sociale”. Un sistema socialdemocratico però deve finanziarsi e lo fa soprattutto – la parte residua, di molto minore, è l’emissione di titoli del Tesoro – con le imposte.

Si può contro argomentare su quanto appena esposto. Che la Cina sia o meno un Paese semi socialista forse non è così rilevante. In Asia, la rivoluzione aveva come “vero” obiettivo non il comunismo, ma lo sviluppo economico insieme all’autodeterminazione nazionale.

Il sistema fiscale cinese ad oggi è “regressivo”, perché prevalgono di gran lunga le imposte indirette (quelle sui consumi) su quelle dirette (quelle sui redditi), mentre sono insufficienti quelle contributive (quelle che finanziano le pensioni). Le imposte raccolte con questa ripartizione sono modeste e insufficienti per finanziare uno “stato sociale” all’europea – la sanità, l’educazione, e le pensioni per tutti.

Gli Stati Uniti hanno un livello di imposizione fiscale inferiore a quello della gran parte dei Paesi europei. Ma non in confronto con la Cina. Gli Stati Uniti hanno una raccolta fiscale, quella attraverso le imposte dirette sul reddito, in rapporto al Pil intorno al dieci per cento, mentre la Cina arriva a fatica a meno del due per cento di imposte dirette in rapporto al Pil. Le entrate fiscali dirette finanziano nei Paesi Ocse un quarto delle spese dello stato, in Cina circa il cinque per cento. In assenza di un elevato livello delle imposte dirette in Cina, sono, come prima si ricordava, quelle indirette e i contributi a pesare percentualmente di più.

Gli ammiratori della Cina dovrebbero per coerenza dividere il proprio giudizio in quello volto ad apprezzare l’efficienza nel mettere in opera le infrastrutture – una caratteristica dei sistemi totalitari, quindi non “cinese”, perché questi regimi non condividono il potere con la società civile, e quindi vanno spediti al dunque – e in quello volto a volere un modello socialdemocratico.

I detrattori della Cina dovrebbero per coerenza dividere il proprio giudizio in quello volto ad apprezzare la mancanza di “mollezze” egualitarie, e in quello volto a volere le libertà politiche (il pluripartitismo) e civili (la libertà religiosa).

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