Le ricerche sono avviate da tempo, alcune sono già passate alla fase di test sugli esseri umani, altre sono ancora impegnate nei test preclinici su laboratorio e animali. Ma la corsa globale per il vaccino è cominciata da settimane, con alcuni risultati promettenti. Ma attenzione: anche se si troverà un rimedio al virus, si dovrà comunque aspettare. Almeno 12-18 mesi. Sono i tempi tecnici richiesti per la sperimentazione, cui deve seguire quello della (eventuale) produzione e della distribuzione.
I test seguono una procedura consolidata, chiara, il cui obiettivo è ottenere un farmaco efficace e sicuro. Il primo passo è in laboratorio: qui si dispone il preparato, che può contenere il microorganismo in forma attenuata o inattivata, o solo alcune componenti. Nel caso del vaccino dell’azienda biotecnologica americana Moderna, c’è solo l’Rna – una tecnica innovativa. Seguono i primi esperimenti, prima in vitro e poi in vivo, cioè sulle cavie. Servono a valutare l’efficacia, la tolleranza, una prima risposta immunitaria, il livello di tossicità.
Se le indicazioni sono incoraggianti, si procede. Con il permesso delle autorità competenti (Aifa in Italia, Ema in Europa, FDA in America) si passa ai test clinici, a loro volta divisi in tre fasi.
Come spiega Aldo Morrone, infettivologo e direttore scientifico dell’Istituto San Gallicano di Roma, nella Fase 1 il ritrovato viene testato su un gruppo ristretto (qualche decina) di esseri umani, tutti volontari, spesso in buona salute. L’obiettivo è valutare il grado di tollerabilità, calcolando le reazioni immunitarie e gli effetti collaterali.
La fase 2 allarga la platea: vengono coinvolte centinaia di persone (già questo rende evidente che i tempi, per la somministrazione e i controlli, si allungano) si sperimentano dosaggi differenti e si monitorano gli effetti tossici e l’immunogenicità. Più aumentano le persone, più si allargano le differenze genetiche, etniche, di sesso. Questo contribuisce a creare un vaccino efficace per la maggioranza della popolazione mondiale.
Infine, la fase tre: si arriva a somministrare il vaccino a migliaia di persone (con le tempistiche che ne conseguono): è un test su larga scala, spesso condotto in più centri di ricerca. Se i test sono in linea con gli obiettivi e gli standard, allora si può procedere alla registrazione – previa autorizzazione delle agenzie – e alla produzione per il commercio.
Sono misure necessarie, anche di fronte a una pandemia di proporzioni immani come quella provocata dal SARS-Cov-2, per garantire un farmaco efficace e valido. Al momento, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, sono 40 le sperimentazioni in atto in tutto il mondo. Non tutte allo stesso livello.
Tra quelle più promettenti figura appunto la ricerca di Moderna: è innovativa per la tecnica, che non prevede l’utilizzo del virus né in forma attenuata né in forma inattivata, ma solo del suo Rna. Per usare una metafora, se il vaccino è come dare la foto segnaletica del virus al sistema immunitario, quello di Moderna è una serie di istruzioni per disegnare la foto segnaletica. Funzionerà?
Al momento è stata avviata dal 17 marzo la Fase 1, già utilizzando dosaggi differenti, mentre si lavora già ai preparati per la Fase 2, che dovrebbe iniziare in tarda primavera. Mentre la Fase 3, addirittura, in estate o in autunno. Nonostante i tempi accelerati (e anche in modo insolito) Anche se dovesse andare tutto bene (e ce lo si augura) non si potrà avere una produzione di massa prima di un anno da ora.
Lo stesso vale per il vaccino contemporaneo sperimentato in Cina: messo a punto dalla CanSino Biological Inc. e dall’Istituto di Biotecnologia di Pechino. La sperimentazione iniziale, cominciata poche ore dopo quella di Moderna, prevede un test su 108 persone tra i 18 e i 60 anni, divisi i tre gruppi dal dosaggio differente e, soprattutto, tutti residenti a Wuhan. Una corsa contro il tempo che ha anche il sapore della competizione tra sistemi, quasi una nuova guerra fredda.
Molto si è parlato, poi, del “vaccino di Bill Gates”. La preparazione è stata sviluppata dalla casa farmaceutica INOVIO Pharmacuticals ed è, come quello di Moderna, già entrato nella Fase 1 della sperimentazione clinica: 40 volontari, sani (della città di Philadelphia), che hanno ricevuto la prima iniezione. Il farmaco, INOV-4800 sarà somministrato di nuovo dopo due settimane e si valuterà la sua efficacia.
Tra gli altri candidati figurano Johnson & Johnson, che avrebbe individuato il suo preparato a fine marzo e prevede di cominciare la Fase 1 a settembre. In ritardo sugli altri, forse. Ma ha già impegnato diversi miliardi, con il progetto di avere almeno un miliardo di dosi entro la fine del 2021.
Insieme, c’è la francese Sanofi, che ha deciso di collaborare con la Translate Bio, una impresa di biotech del Massachussets seguendo una variante, allo stesso modo innovativa, adottata da Moderna, cioè l’impiego del Rna. I tempi sono più lenti (comincerà i test nel 2021), ma Sanofi ha una potenzialità produttiva molto alta.
E ancora: l’americana Pzifer, insieme ala tedesca BionNTech (collaborazione già proficua per un vaccino contro l’influenza) cominceranno le loro sperimentazioni a fine aprile. A Pittsburgh è stato messo a punto il vaccino “su cerotto”, con una tecnologia basata sui microaghi che inietterebbe il virus in forma depotenziata a una distanza sufficiente per essere sopraffatto dal sistema immunitario. Il PittCoVacc, così è stato chiamato, ha generato nei topi una grande quantità di anticorpi contro il Sars-CoV-2 in due settimane dall’applicazione del cerotto.
Infine, c’è il vaccino dell’Università del Queensland, in Australia. Si tratta di un progetto innovativo perché mira a ridurre i tempi in maniera sensibile. Addirittura, si parla di sei mesi. Un approccio facilitato dai fondi extra garantiti dallo Stato, che vuole semplificare la pipeline della sperimentazione mantenendo la sicurezza del preparato. La Fase 1 comincerà a metà 2020. E forse si avrà un vaccino all’inizio del 2021. Poi, come per tutti, verranno i tempi lunghi della produzione e della commercializzazione.