Vocazione sospettosaIl Pd è ossessionato che qualcuno possa far saltare Conte (invece di esserne felice)

Ogni intervista, ogni dichiarazione, ogni tweet, di Renzi o di Bonomi o di chiunque altro, innervosisce il Nazareno che però è ben consapevole dell’incapacità del premier di gestire la ripartenza. E, allora, fioccano le prese di posizione altisonanti che agitano lo spauracchio delle elezioni, in modo da scoraggiare chi vorrebbe staccare la spina

Non si spiegano certe uscite del Partito democratico senza ricorrere alla psicologia, che d’altronde è una componente fondamentale della politica. E dunque questo nervosismo di fondo che pervade le prese di posizione di autorevoli dirigenti dem va spiegato con l’ossessione che da qualche parte ci sia chi manovra contro il governo Conte: anzi, da più parti, pronte a saldarsi al momento buono.

Si vive nel sospetto, al Nazareno, malgrado l’ostentata immagine paciosa (a dire la verità anch’essa più ombrosa dopo la malattia) del leader Nicola Zingaretti; ministri e sottosegretari lo celano dietro un grande attivismo di governo; e così i dirigenti locali e gli amministratori.

Ma se uno legge un’intervista come quella di Goffredo Bettini al Corriere della Sera capisce che l’aria non è tranquilla, altrimenti non si spiegherebbe il ricorso a una sorta di anatema («Non c’è spazio politico né morale per trame contro il governo») dove si scomoda la categoria della moralità per bollare un legittimo, in democrazia, desiderio di cambiare governo. Ma il nervo scoperto è quello delle “trame”, termine che non casualmente ricalca gli “agguati” paventati dall’appello di intellettuali di sinistra sul sito del Manifesto, neanche fosse in pericolo la democrazia minacciata da generali felloni in odore di golpe.

Trame, agguati: ma con chi ce l’hanno? Con tutti e con nessuno. Avvertono, soprattutto quegli eredi della tradizione comunista allenati da sempre a fiutare pericoli e nemici, un rumore di sciabole ogni qualvolta esca un’intervista di Matteo Renzi, o, negli ultimi giorni, di Carlo Bonomi, e persino un affare oscuro come l’attacco di Nino Di Matteo al ministro Bonafede (vicenda che si sta cercando di spegnere) viene letto come un attacco al governo Conte.

Il quale Conte sembra aver ripreso qualche quotazione, al Nazareno, dopo evidenti segni di imbarazzo per le sue non esaltanti performance televisive e di modalità di governo: ma alla fine per i Democratici egli continua a essere il garante del migliore degli assetti politici possibili. In fondo il Pd è al governo, seppure arrivatoci proprio con una manovra di palazzo.

Il nervosismo del Partito democratico ha però anche un’altra spiegazione. Che riguarda non tanto la gestione della fase 2, tanto più se, come sembra, gli italiani dovessero davvero compiere un altro capolavoro di compostezza e serietà dinanzi alle mille dabbenaggini del governo. No, le preoccupazioni riguardano l’economia. Il come affrontare la ricostruzione di pezzi importanti del Paese.

Da questo punto di vista, il Pd deve fare i conti con una ripresa di protagonismo degli industriali che chiedono, con Bonomi, un ruolo centrale nella ripresa economica e produttiva; e dall’altra con la spinta contraria, assistenzialista a gogo, dei Cinque stelle. In questa tenaglia il neostatalismo integrale del gruppo dirigente del Pd rischia di non farcela.

Lo spostamento a sinistra dell’asse politico-culturale in politica economica rischia non solo di non essere compreso dalla parte più moderna e attiva del Paese, almeno nei termini in cui l’ha sintetizzata ancora Bettini («Non si può continuare a essere subalterni a un capitalismo cieco e disumano») ma di risultare minoritario nella stesso governo – non è detto infatti che quella frase bettiniana sia gradita a un dem di governo come Roberto Gualtieri.

E, sul piano economico, il timore è che l’avvocato Giuseppe Conte potrebbe essere travolto, specie se come molti prevedono in autunno dovesse arrivare una gelata senza precedenti, aprendo la strada a un governo tecnico, strumento buono per cacciare Berlusconi nel 2011 ma non adesso.

Ecco perché, ad ogni stormir di fronda, il Nazareno (che trova qui una sponda nel Quirinale) agita lo spauracchio delle elezioni. Un’arma peraltro abbastanza spuntata, date tutte le difficoltà tecniche e politiche di una chiamata del popolo alle urne nei prossimi mesi. Non resta che blindare il quadro politico dunque, con tutte le ansie e i nervosismi che questa scelta inevitabilmente comporta. Con il rischio però di trasmettere al Paese un’insicurezza e una tensione che esso davvero non merita.

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