Will Reeve, giornalista di “Good Morning America”, è stato solo l’ultimo della serie. Si contano a decine, nell’impietosa melassa della viralità digitale, gli infortuni di manager, reporter, nuclei familiari e affetti stabili vari colti con la videocam nella… mutanda. Niente di erotico, solo ciò che l’altra metà dello schermo non dovrebbe o vorrebbe mostrare a chi si siede ormai da due mesi, con la schiena a pezzi, dall’altra parte del pc.
Basta un’angolazione sbagliata, un dettaglio trascurato e anche la più seria conversazione si trasforma in materiale da Paperissima. E così enumeriamo bambini urlanti che nemmeno Al Bano ai tempi d’oro, cani, gatti e affini con la predisposizione alla carriera televisiva, frasi scomposte e commenti fissati nel cloud “grazie” al microfono lasciato aperto.
La pandemia è una cosa seria, dannatamente seria, e forse anche per questo un sorriso serve a sollevare se non il fatturato, almeno il morale. Ne sanno qualcosa i coscritti da videocall, forzati a saltare da un meeting all’altro, a iscriversi a webinar che mai, proprio mai, avremmo minimamente considerato nella vita “normale”, a partecipare a improbabili appuntamenti virtuali con la speranza che un apecall faccia agganciare nuovi prospect o renderci simpatici con la collega del terzo piano.
È la dura convivenza tra iOS 13 e Covid 19, schedulata sul calendar come se fosse Antani, una improbabile normalità nei confronti della quale, forse, non troveremo mai un vaccino. Sotto la scrivania niente, o poco, a replicare il visconte dimezzato di Calvino: metà eroe ammirato e con l’altro mezzo dilaniato da un virus che cancella abitudini e comportamenti. Nulla al confronto della vera emergenza, quella negli ospedali e tra chi combatte la pandemia. Ma è un segno dei tempi sospesi che ci ha cambiato e ci cambierà, chissà se in meglio…
«Prendiamo un caffè e ne parliamo»: un invito che profuma di arabica e saudade, dimenticato da settimane e brutalmente sostituito dal «ci vediamo in call, ti mando l’invitation». Usiamo ogni giorno, incuranti della sicurezza nella trasmissione e gestione dei dati, tante piattaforme quante Tania Cagnotto in carriera, malediciamo la connessione che non va, i giga in esaurimento al pari del nostro sistema nervoso. Le frenesie di un tempo, come quella del taxi che non si trovava, lascia il passo a quella del doc in drive «che pure c’era, dove diavolo è finito?».
E poi la “vestizione”, come il toreador prima di entrare nell’arena. La cravatta? Ma dai, chi si mette la cravatta in salotto? E allora grande sfoggio di camicie aperte, girocollo che fanno tanto fitness e un filo di trucco per le pasdaran del non si può essere in disordine. Ma cosa dire dello sfondo, sul quale si accaniscono gli analisti della geopolitica da screenshot, pronti a evidenziare, cerchiare in rosso e spammare il libro scomodo, la foto con la persona che nella cornice proprio non dovrebbe esserci o la bomboniera inquietante della zia Maria?
Chi tiene all’immagine (privata) nell’era dell’immagine (pubblica) prima di inviare in rete le proprie immagini (condivise), alterna una call dal salotto e la successiva dallo studio, lasciando la cucina come ultima opzione con la più pietosa delle bugie («di là ci sono i ragazzi che fanno videolezione»). Eh sì, perché ormai le nostre case sono diventati veri e propri centri di produzione, con prenotazioni di sale, divieti perentori appesi con i post it e raccomandazioni al silenzio che neppure a un concerto di musica dodecafonica.
Ma il top del top si raggiunge con gli sfondi virtuali. Non contenti di quanto già virtuale sia in questa fase 1-2-3 la nostra vita, eccoci a scaricare backdrop aziendali che rievocano le minacce farneticanti dell’Isis, spiagge tropicali da pubblicità anni ’80 o ameni laghetti alpini. Materiale buono per psicologi, prima ancora che per critici cinematografici, anche per gli effetti disastrosi di profili a scomparsa, chroma key con l’aureola o effetti boreali che verranno utili per ricatti tailor made a vita.
Scherzi a parte, la videovita è davvero complicata. Tempi dilatati in appuntamenti spesso superflui, con chiamate, chat e messaggi h24, una pervicace predilezione per le videocall rispetto alle telefonate “normali”, aggrappandosi ad una relazione almeno tangibile agli occhi, perché quella fisica chissà come e quando sarà. Il lavoro ne risente? Saranno i prossimi bilanci, personali e aziendali, a fissare su un foglio (excel, sia chiaro) i danni da quarantena. Di certo i formicolii muscolari e gli occhi arrossati della sera sono una cartina di tornasole preoccupante. Ma il giorno dopo si ricomincia, con l’ansia di vedere l’agenda vuota per un paio d’ore. Magari mi iscrivo a un videocorso di formazione.