Una volta, alle elementari, mi sono buttata dalla finestra. Frequentavo una scuola dentro un parco pubblico, ogni classe era una casetta, quindi mi buttai dal piano terra e non mi feci praticamente niente, che era un po’ lo scopo del gioco: non volevo morire perché Luca, il bambino di cui ero cotta e che ogni tanto cerco ancora su Facebook, mi aveva tirato su la gonna per guardarmi le mutande (come faceva in continuazione); volevo solo dimostrare ai miei amichetti che ero in grado di saltare dal davanzale.
Non ero in grado, ovviamente (mai stata atletica). Mi sbucciai le ginocchia, piansi moltissimo, e mi presi giustamente della cretina da maestre e genitori. Oggi finirei sulla prima pagina del Carlino: Bambina grassa tenta il suicidio esasperata dal bullismo dei compagni.
Quand’ero una bambina grassa ero molto più magra di ora, com’è ovvio. Altrettanto ovvio è che me ne importasse assai più di adesso: che altri pensieri hai, da giovane, se non aderire ai canoni estetici?
Tra le molte cose per cui ringrazio ogni giorno il destino di non avermi dato una gioventù da svolgersi in questo secolo, c’è che noi non avevamo la dittatura della suscettibilità, e le parole per dirla.
Se qualcuno ci avesse parlato di fat shaming, avremmo tradotto ricalcando, e pensato si trattasse della (giusta) vergogna di chi ingrassava, mica della condanna morale per chi osa svergognare le trippe.
Se un altro bambino ti diceva «cicciona», nessuno lo accusava di bullismo, e tu potevi scegliere se dimagrire o imparare a sbrogliartela con gli screanzati (io ho sempre trovato molto più comoda la seconda opzione).
Ieri, dopo un decennio di ciccione chiamate curvy, di “formoso è bello” detto di gente che pesa 120 chili e ha probabilmente il colesterolo a 900, di “ogni corpo è bello a modo suo” (la dittatura della gente che ha preso un caritatevole 18 all’esame di estetica), ho scoperto un’importante distinzione fin qui assente dal dibattito.
Nancy Pelosi – democratica americana: una dei buoni – intervistata lunedì sera sulla Cnn da Anderson Cooper – figlio d’una Vanderbilt nonché gay nonché neopadre: uno dei buonissimi – ha risposto a una domanda su Trump che, in conferenza stampa, aveva detto che lui prende l’idrossiclorochina.
Premessa: secondo alcuni, l’idrossiclorochina, fin qui usata come terapia antimalarica, sarebbe utile a combattere il virus. Non ci sono conferme ufficiali, essendo la medicina in tempi di coronavirus come la Hollywood sintetizzata dallo sceneggiatore William Goldman: nessuno sa niente.
Altra premessa: secondo uno studio uscito domenica, noi persone formose saremmo più a rischio virus, specie se abbiamo un deficit di vitamina D. Vai a saper se è vero (nessuno sa niente, figuriamoci quelli laureati in saper qualcosa), fatto sta che, a domanda di Cooper, Pelosi ha detto che Trump farebbe meglio a non abbandonarsi a terapie sperimentali, appartenendo oltretutto a categorie a rischio sia per età (ha sei anni meno di lei) sia per obesità.
Come per il colesterolo, esistono due tipi di fat shaming: quello cattivo, fatto da chiunque contro noialtre personcine perbene e presentabili e con diritto universale a mangiare troppo; e quello buono, fatto da noialtre personcine presentabili ai danni d’un universalmente riconosciuto impresentabile quale Trump (anche sull’aspetto di Weinstein sono state dette non poche malvagità: se sei impresentabile, i custodi della suscettibilità collettiva faranno un’eccezione).
Visto il video, ho immediatamente pensato con un moto di tenerezza a Trump, e alla sua infantile determinazione nel percepirsi altro da ciò che è, quindi anche magro e bello. Ci sarà rimasto malissimo, povero. Certo che è un bullo, ma abbiamo visto tutti abbastanza film da sapere che il bambino cattivo è innanzitutto una vittima, è uno con cui nessuno voleva giocare, o al quale il papà non voleva abbastanza bene: se fossimo davvero buoni come vogliamo rappresentarci, la suscettibilità di Trump è la prima che dovremmo proteggere.
Poi sono andata a guardare i commenti sui social. I più interessanti non erano quelli, prevedibili, delle obese (scusate: curvy) che facevano presente che tutto quel ridere dell’obesità di Trump le feriva, e insomma dovreste tenere presente anche i grassi buoni che vi leggono, quando irridete i grassi cattivi.
I più interessanti erano quelli che ci spiegavano, appunto, che quello di Nancy Pelosi era colesterolo buono: mica l’ha insultato, è un termine clinico. Ho immaginato cosa avrebbero commentato le stesse persone se Trump avesse detto di un’avversaria politica «è obesa», e – come la me settenne, o come i Mastandrea e Cortellesi genitori nel film Figli – ho pensato che fosse meglio sottrarsi al dibattito buttandosi dalla finestra.