Fiducia liquidaIn politica la credibilità è tutto, ma ormai non ce l’ha più (quasi) nessuno

È il fondamento delle società democratiche, il collante tra i cittadini e i leader. Il risultato della sua erosione è l’avvento dei condottieri, cioè del populismo

Brendan Smialowski / AFP
Brendan Smialowski / AFP

Non si è mai parlato tanto di credibilità e politica. Da qualche anno nel dibattito pubblico e sulla stampa italiana c’è stata una vera e propria esplosione dei termini credibilità e credibile.

Considerando i criteri con cui i media selezionano e presentano le notizie, non stupisce che questa fortuna del termine coincida con un problema: c’è una crisi di credibilità della politica, che alcuni giudicano addirittura irreversibile. E non è solo un problema italiano. (…)

La mancanza o la perdita di credibilità di un leader o di un gruppo politico è un problema? A prima vista è sicuramente così. Ancor più: la perdita di credibilità implica dei costi molto pesanti non solo per chi ne è direttamente investito, ma, più in generale, per il sistema democratico e per l’intera collettività. (…)

Non mancano tuttavia esempi, nel passato ma ancor più in anni recenti, di politici che sono riusciti a superare gravi crisi di credibilità. Incidenti, gaffe, scandali, casi lampanti di incompetenza o di malafede sono stati superati senza grandi conseguenze.

Abilità di questi soggetti o assuefazione e distrazione del pubblico? Sta forse emergendo un nuovo clima politico in cui la credibilità non è più così importante?

Per rispondere a queste domande occorre chiedersi: che cosa è davvero la credibilità? E cosa significa essere credibili? La credibilità – secondo la risposta dei dizionari – è la possibilità che qualcuno (o qualcosa) venga creduto.

È considerato credibile chi è onesto, coerente, sincero, chi mantiene le promesse, chi è fedele agli impegni presi, chi non tradisce. Questa risposta è la stessa che ha dato Aristotele nella “Retorica”, quando sostiene che crediamo più facilmente alle persone oneste e, aggiunge, ancor più nelle questioni che non comportano certezza, ma opinabilità. (…)

Questa idea, seppur ragionevole e condivisibile, in realtà è solo parzialmente giusta. Infatti la credibilità non è solo una disposizione personale, una qualità morale della persona, ma è qualcosa che viene attribuito, viene riconosciuto dagli altri. Anche se evidentemente non può prescindere dalle qualità personali – che ne costituiscono la base e il fondamento – la credibilità è una relazione, un rapporto.

Non si è mai credibili in generale e in astratto, ma per qualcuno. Può trattarsi di poche persone o di milioni di persone, ma qualcuno e non tutti. Credibilità e fiducia sono le due facce di una stessa relazione sociale.

La credibilità è la relazione vista dalla parte dell’emittente, di colui che si propone come credibile e che si chiede: «Che cosa devo fare per essere creduto?». La fiducia è invece la stessa relazione vista dalla prospettiva del ricevente, che si chiede: «Posso credergli? mi posso fidare?».

Che la credibilità sia una relazione è attestato da molte prove. Indubbiamente credere in se stesso è un requisito fondamentale per un leader politico poiché chi crede in se stesso risulta anche più credibile agli occhi degli altri.

Tuttavia si può creare un divario, fin quasi una frattura, tra l’immagine di sé che un individuo cerca di costruire attraverso determinate azioni e segni comunicativi e la credibilità che gli altri sono disposti a riconoscergli.

In secondo luogo, chi appare credibile per alcuni non lo è per altri o, almeno, non lo è per le stesse ragioni, nella stessa forma e misura. Gli esempi possono essere innumerevoli, ma il caso più evidente è costituito dalla credibilità dei leader carismatici.

Per i loro seguaci essi rappresentano delle personalità eccezionali, dotate di qualità quasi sovrumane; per gli altri sono spesso degli esaltati, dei pazzi o dei criminali. (…)

In terzo luogo, poiché la credibilità non è (solo) una qualità personale, espressione immediata di un’autorevolezza naturale e spontanea, ma una pretesa che viene avanzata e contrattata nelle relazioni sociali, allora occorre anche riconoscere che essa è sempre in qualche modo costruita, è sempre il prodotto di un’intenzione e di un’attenzione di chi vuole apparire credibile.

In tal senso, ognuno di noi – e, ancor più, chi agisce politicamente – tende a intensificare, a enfatizzare e anche a manipolare i segni della propria credibilità, quelli che possono farci apparire più credibili. (…)

La credibilità è dunque una scommessa. Una scommessa rischiosa. Ciò vale in ogni relazione, ma in particolar modo nel campo politico. E ancor più nel contesto attuale, in cui le appartenenze e i riferimenti politici appaiono più contingenti e aleatori, cambiano continuamente, devono essere sempre riaffermati e reinventati.

Gli attuali processi di disintermediazione politica – con la crisi dei partiti e dei corpi intermedi che sostanziavano la partecipazione e creavano delle cinghie di trasmissione con vasti settori della società – hanno reso più problematico e contingente questo rapporto.

Che non può più essere dato per acquisito e garantito una volta per tutte, ma deve essere rinforzato, contrattato e rinegoziato quotidianamente. (…)

La credibilità politica si alimenta in due tipi di relazioni: il rapporto verticale tra i leader e i cittadini e il rapporto orizzontale di solidarietà che si crea in comunità di persone che credono nelle stesse cose e sono orientate allo stesso fine.

Oggi, in una fase di stanchezza e confusione della vita politica, soprattutto nelle democrazie occidentali, la ricerca di una rinnovata credibilità-fiducia torna a percorrere una di queste due strade, che a volte si intersecano: il bisogno di condottieri e la voglia di comunità.

Non per nulla questi due temi sono al centro del dibattito attuale sul populismo e il fallimento (o tradimento) delle élite politiche. (…) Nel capitolo conclusivo indagheremo dunque perché oggi stia riemergendo il bisogno di condottieri e la voglia di comunità, i possibili rischi di questo ritorno, ma anche le ragioni per cui la democrazia non può fare a meno di grandi leader (ma quali leader?) e della forza della comunità (ma quali comunità?).

da “La credibilità politica. Radici, forme, prospettive di un concetto inattuale”, di Guido Gili e Massimiliano Panarari, Marsilio, 2020 (12,5 euro)

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