Andremo a cena insieme ma divisi da una parete trasparente, in plastica. O meglio, in plexiglass, il nuovo oggetto indispensabile per affrontare la Fase 2: «Mai vista una situazione simile, è un prodotto che ha sempre avuto dei consumi moderati e le aziende non erano pronte per un’esplosione simile delle richieste» spiega Angelo Bonsignori, direttore generale della Federazione gomma plastica di Confindustria.
Il nome tecnico del plexiglass è polimetilmetacrilato, una plastica considerata “nobile” e quindi relativamente costosa: è più trasparente del vetro, non si frantuma ed è riciclabile al 100%. «In termini di quantità, il plexiglass vale nel mercato delle plastiche solo il 2-3 per cento, in quanto è un materiale pregiato e per questo poco richiesto. Adesso le richieste arrivano dalle farmacia, dai supermercati per proteggere le casse e molto presto ci aspettiamo ordini anche dalle compagnie aeree».
Come accaduto per mascherine, amuchina e guanti, rischia di diventare introvabile, e sarebbe un problema: niente plexiglass, niente cene in ambienti chiusi, niente cinema, niente bar. «La questione della reperibilità della materia prima è aggravata dal problema della capienza delle linee di produzione; le nostre, per esempio, sono impegnate fino ad agosto e non possono essere sovraccaricate più di così. Nella stessa situazione si trovano perfino le multinazionali concorrenti con sede all’estero», spiega a Linkiesta Antonella Annunziata, amministratore delegato di Madreperla, il più grande produttore italiano di lastre in plexiglass.
L’azienda sforna 7 mila tonnellate di materiale ogni anno, per un prezzo in tempi normali che oscilla dai 50 ai 70 euro al metro quadro.
Le maggiori società del plexiglass sono in Europa: dalla multinazionale Perspex, alla tedesca Rohm, al momento alle prese con le richieste dei mercati interni e quindi incapaci di esportare materiale.
La soluzione per andare incontro alla domanda potrebbe essere convertire aziende esistenti, ma non è facilissimo: «È impensabile una conversione immediata. Ci vogliono almeno 2-3 anni per trasformare una fabbrica e produrre plexiglass: i macchinari sono molto costosi e i procedimenti devono seguire linee scientifiche ben precise», aggiunge Annunziata.
Per non parlare della burocrazia molto specifica da rispettare: una lastra da applicare in un taxi ha bisogno di un marchio di omologazione europeo e delle caratteristiche conformi alle prescrizioni emanate dal ministero delle Infrastrutture e dei trasporti.
In più, il costo del materiale grezzo per le aziende e quello finito per i clienti sono a rischio speculazioni. Anche per gli altri materiali utilizzati per realizzare divisori e lastre parafiato si è verificato un rincaro dei prezzi. Il costo del policarbonato compatto è salito da 20 a 32 euro al metro quadro e l’aumento del prezzo di acquisto al fornitore determina un aumento anche del prezzo finale.
Per i clienti che invece si stanno attrezzando per la ripartenza, il valore di una lastra, di una barriera, un parafiati o un paraventi, è gestito liberamente dal venditore. «L’ultima volta che mi sono confrontato con alcuni autisti di taxi e ncc (noleggio con conducente), il prezzo per un divisorio (compreso il montaggio) era arrivato anche a 2 mila euro» afferma Massimo Longo, rappresentate della categoria taxi della Uiltrasporti.
«Un costo insostenibile in questo momento, soprattutto in vista del calo delle corsa, diminuite di circa il 90 per cento. Un primo passo è stato fatto con il decreto Cura Italia e il fondo da due milioni di euro per i tassisti che devono affrontare questa spesa, ma non è ancora sufficiente in quanto le agevolazioni prevedono un contributo non superiore al 50% del costo di ciascun dispositivo installato».
Il sindacato Ugl (Unione Generale del Lavoro) segnala inoltre che a Roma circa una vettura su tre è fornita di divisorio, mentre gli altri autisti si sono forniti di cellophane per dividere in due lo spazio all’interno della macchina.
Il boom del settore, per il momento, ha coinvolto solo in parte il mercato delle visiere protettive, visto che ancora non è chiaro se siano più o meno efficaci delle mascherine tradizionali.
Secondo gli studi di simulazione del Centro Nazionale per le Informazioni Biotecnologiche, i possibili pro dell’utilizzo delle visiere sono molti: ridurrebbero l’esposizione al patogeno attraverso grandi goccioline (droplet) del 96% a una distanza di circa 46 centimetri e del 92% a una distanza di circa 15 cm.
Sono inoltre di facile produzione (ci sono aziende che già le realizzano, altre che si possono convertire senza problemi, e poi ci sono le stampanti 3D) e quindi un possibile bene che le stesse aziende italiane possono fabbricare.