La dama di ParigiAnne Hidalgo, la sindaca rieletta grazie al disastro di Macron e al voto dei verdi

Nella capitale francese i socialisti vincono anche grazie alla loro figura meno legata al partito, paradosso di un’elezione segnata dalla pandemia, dai colpi di scena e dalla nuova tendenza green che attraversa la politica transalpina. Ritratto della “regina” che ha riconquistato il Comune contro ogni pronostico

JOEL SAGET / AFP

«Entro i prossimi tre anni farò un bagno nella Senna davanti a dei testimoni, per provare che la Senna è diventato un fiume pulito». Così Jacques Chirac, da sindaco di Parigi, prometteva nel 1990 di rendere la città più pulita e accogliente per i suoi abitanti, smentendo finalmente il cliché secondo cui la capitale sarebbe sporca e inquinata.

Nessuno ha visto Chirac tuffarsi nel fiume della capitale, né da sindaco né da presidente della Repubblica, ma tutti gli riconoscono di aver capito che il tema ambientalista e la riappropriazione degli spazi pubblici sarebbero diventati centrali nella politica cittadina. E questo è uno dei motivi dietro al secondo mandato di Anne Hidalgo, rieletta con circa il 50%, secondo le prime stime pubblicate in serata.

«Hidalgo vince per due motivi: la sua capacità di rappresentare una parte minoritaria ma influente della città, molto a suo agio con le politiche anti-automobili messe in campo dalla sua giunta; l’abbandono del campo da parte degli avversari, divisi e incapaci di presentare un fronte unito» riassume a Linkiesta un eletto del centrodestra locale.

I due motivi si intrecciano, e tengono insieme il piano nazionale e quello locale. Anne Hidalgo conosce benissimo Parigi, pur non essendoci nata: nasce in Spagna nel 1959, e si trasferisce con la famiglia 3 anni dopo a Lione, dove cresce e studia. Nella capitale arriva soltanto a 24 anni, per cominciare a lavorare al ministero del Lavoro come ispettore nella città di Chevilly-Larue, uno dei comuni satellite di Parigi.

Segue una lunga carriere al ministero del Lavoro, prima come funzionaria, poi come membro del gabinetto dei ministri durante il governo Jospin dal 1997 al 2001. In realtà, la sua storia in politica comincia grazie a Bertrand Delanoë, sindaco socialista di Parigi dal 2001 al 2014, di cui diventa première adjointe (l’assessore più importante, una sorta di vice-sindaco) e braccio destro.

Tredici anni in una delle giunte più apprezzate da parte dei parigini non sono pochi, e le permettono, dicono i detrattori, di vivere di rendita per i primi anni del suo primo mandato, assolutamente in continuità con quello di Delanoë. 

Eppure a Parigi di Hidalgo non si è mai parlato particolarmente bene. A leggere i ritratti pubblicati dalla stampa francese durante il suo mandato, i libri di inchiesta sulla sua incapacità amministrativa e anche il gradimento rilevato dagli istituti di sondaggi, Anne Hidalgo sembrava un sindaco impopolare, a tratti detestato, soprattutto dalla destra (il Figaro ha condotto moltissime campagne contro la sua politica) che definisce i suoi metodi «brutali» quando non «autoritari».

La guerra alle auto è diventata presto un tratto distintivo del mandato di Anne Hidalgo: gli spazi dedicati alle bici si sono moltiplicati su tutti i grandi assi di circolazione interna alla città, e parte del centro è stato pedonalizzato, in particolare la rive droite della Senna, chiuso alle macchine per quasi 4 chilometri, dal bassin de l’Arsenal fino al Louvre.

Un’attenzione che ha anticipato un tema poi esploso durante la crisi del coronavirus: la vivibilità della città, l’attenzione agli spazi pubblici e il ricorso a una mobilità diversa, non basata sull’automobile ma sul circuito integrato tra metropolitane, autobus, scooter elettrici, monopattini e biciclette in sharing.

«Sicuramente la sua avversione per le auto ha pagato anche perché si inserisce in un cambio di mentalità abbastanza evidente da parte dei parigini: il presidente Georges Pompidou negli anni Settanta aveva presentato un progetto per costruire un’autostrada che tagliasse in due la città e consentisse di ammirare Notre Dame dalla propria macchina. Un’idea che oggi sarebbe considerata folle, ma che fa capire come l’avversione per le auto sia un carattere relativamente recente, e cavalcato in primo luogo da Delanoë, il predecessore di Hidalgo», racconta Alessandro Giacone, storico dell’Università di Bologna e profondo conoscitore della realtà parigina su cui ha scritto “Les Grands Paris de Paul Delouvrier”.

Questo tipo di politica ha chiaramente i suoi perdenti, i cosiddetti “franciliens”, gli abitanti della regione parigina che abitano nei comuni satellite della città e che ogni giorno vi si recano per lavorare. Non sempre è possibile raggiungere il centro dalla periferia in modo semplice, e avere un centro città così ostile ai possessori di auto ha fatto imbestialire moltissimi pendolari.

C’è un vantaggio per il sindaco di una capitale come quella francese: i pendolari non votano, perché il comune di Parigi è molto piccolo, 105 chilometri quadrati di superficie per 2,3 milioni di abitanti, contro i 608 chilometri quadrati di superficie per 3,1 milioni di abitanti di Madrid, i 1283 chilometri quadrati di superficie per 2,8  milioni di abitanti di Roma.

Per non parlare del fatto che meno della metà dei parigini possiede un’auto, e anzi vive l’invasione del traffico come una seccatura. 

Il bilancio di Anne Hidalgo è giudicato da alcuni fallimentare anche per la sua incapacità di porre un freno all’aumento dei prezzi delle case anche a causa dell’esplosione di Airbnb, un fenomeno per la verità comune a tutte le città turistiche del mondo. Gli appartamenti disponibili sulla piattaforma sono circa 65.000 (secondo i dati dichiarati dall’azienda nel 2019), e in teoria non è possibile affittarli per più di 120 giorni all’anno.

In pratica le regole sono poco rispettate, e da anni il comune conduce una battaglia legale contro la multinazionale, senza tuttavia riuscire a controllare tutte le locazioni contrarie alla legge e a punire i trasgressori. Il risultato è che la capitale manca cronicamente di alloggi per chi intende trasferirsi, e i prezzi degli affitti sono in continuo aumento: un appartamento di una sola stanza di circa 25 metri quadri può essere affittato a più di 900 euro al mese anche nei quartieri meno centrali della capitale. 

Il contesto nazionale, si diceva, ha pesato e non poco sulla rielezione di Hidalgo. In primo luogo la sindaca, che potrebbe essere senza problemi definita come una “baronessa socialista”, è sopravvissuta alla scomparsa del suo partito, riuscendo a trovare un’identità propria tale da potersi permettere di non scegliere chi votare tra i due candidati alle primarie del 2017, Manuel Valls e Benoït Hamon.

In secondo luogo, ha approfittato del «chemin de croix», la via crucis, che ha dovuto intraprendere La République en marche!, il partito di Emmanuel Macron. Il presidente aveva investito molto nella conquista della capitale, candidando uno degli uomini a lui più vicini, Benjamin Griveaux, ex deputato socialista e portavoce del governo dal 2017 al 2019.

La scelta ha spaccato il partito, e ha provocato la candidatura di un altro macronista, il matematico Cédric Villani, mostrando fin da subito un movimento più preoccupato a contendersi il potere che interessato a presentare un vero progetto per la capitale. La mattina del 14 febbraio 2020 le cose sono precipitate: un video con contenuti a sfondo sessuale e delle conversazioni tra Griveaux e Alexandra de Matteo, studentessa di diritto, sono stati resi pubblici, costringendo il candidato di En Marche! (sposato e con figli) a ritirarsi.

Il presidente è corso ai ripari candidando una delle figure più popolari del suo governo, la ministra della Sanità Agnès Buzyn. Altra scelta infelice, a giudicare dai risultati: Buzyn si è classificata terza al primo turno con il 17,3%, arrivando dietro anche a Rachida Dati, candidata dei Républicains, la destra post gollista, che ha raggiunto il 22,7%. Subito dopo il voto Buzyn ha rilasciato un’intervista durissima al Monde, in cui ha accusato il governo di aver gestito in modo pessimo le prime fasi della pandemia, e ha spiegato che aveva accettato la candidatura nonostante fosse convinta che le elezioni non si sarebbero tenute a causa della pandemia.

Tutto questo, unito a una campagna elettorale unica, surreale nelle settimane precedenti al primo turno (tenuto il 15 marzo), inedita in quelle successive, con un secondo turno disputato dopo oltre tre mesi, ha consentito ad Anne Hidalgo di arrivare alla sfida in modo sereno, senza commettere grandi errori e senza dover affrontare le dure critiche degli avversari, arrivando in testa con il 29,3%.

Meno voti rispetto al 2014, quando arrivò seconda al primo turno con il 34,4% per poi vincere al secondo, ma sufficienti per garantirsi un ballottaggio quasi scontato anche grazie al sistema elettorale, che prevede l’elezione indiretta del sindaco, scelto dai consiglieri comunali eletti nei quartieri parigini (e l’estrema divisione del quadro politico fa il gioco di chi presenta un fronte relativamente unito, come quello di Hidalgo).

«Gli ecologisti hanno provato a diventare autonomi dal partito socialista, e ci sono riusciti in gran parte della Francia, soprattutto nei comuni tenuti dalla destra, come Tolosa. A Parigi non ci sono riusciti, molti elettori che hanno votato per i verdi alle europee hanno votato per lei al primo turno, questo crea naturalmente una pressione su Hidalgo, che deve riprendere una serie di temi e di battaglie (anche ideologiche) dei verdi, ma allo stesso tempo li svuota. Il posizionamento ecologista di Anne Hidalgo è sicuramente un fattore importante nella sua rielezione» dice a Linkiesta una persona vicina a En Marche! oggi tornata a lavorare nella funzione pubblica.

È di questo avviso anche il politologo Pascal Perrineau che, ospite della trasmissione l’Info du Vrai, ha spiegato che Anne Hidalgo, pur essendo una sindaca uscente, ha rappresentato una novità per l’elettorato: «Queste elezioni mostrano la volatilità di un elettorato che qualcuno potrebbe qualificare come “bourgeoisie bohème” (più o meno l’equivalente dei nostri radical chic, ndr) che gravita tra diverse novità. Nel 2017 la novità era Emmanuel Macron, la novità oggi è una candidata socialista sempre meno “rosa” e sempre più “verde”. Dietro tutto questo c’è una lotta straordinaria tra socialisti e verdi per l’egemonia della sinistra nei prossimi anni».

Anne Hidalgo esce dunque molto rafforzata da questa tornata elettorale, soprattutto per alcune coincidenze fortunate: nel 2024 Parigi ospiterà i giochi olimpici, e nei prossimi anni (la fine è prevista nel 2030), il Grand Paris Express, la nuova metropolitana che collegherà tutte le periferie della capitale, entrerà in funzione. Si tratta di 4 linee di metropolitana che si estenderanno per 200 chilometri e 60 nuove stazioni. Un progetto da più di 20 miliardi di euro che cambierà radicalmente il volto della città, trasformandola da piccolo centro a una metropoli vera e propria sul modello di Londra.

È difficile immaginare che la sindaca accetti di candidarsi alle presidenziali nel 2022 contro Emmanuel Macron: «Parigi mi riempie», ha detto pochi giorni fa, smentendo la possibilità. Di sicuro però, all’Hotel de Ville il presidente trova una potenziale avversaria politica in grado di metterlo in difficoltà. E di sicuro all’Eliseo questa situazione non piace.

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