Make Europe Great AgainCosì la Germania vuole rendere l’Unione europea di nuovo forte

«Gemeinsam. Europa wieder stark machen» è il concetto con cui i tedeschi presentano il loro semestre di presidenza al Consiglio, di fatto cambiando rotta nell’aiuto ai Paesi più deboli. Speriamo che ora non ci siano brutte sorprese

Afp

Potrebbe essere una stiracchiata e banale scimmiottatura del refrain che ha portato Donald Trump alla Casa Bianca.

È invece il concetto con il quale la Germania presenta il suo semestre di presidenza del Consiglio dell’Unione europea, succedendo dal 1 luglio 2020 alla pallida presidenza croata, di cui nessuno si è accorto.   

Poche parole, di forte impatto, da leggere anche e soprattutto alla luce del “gran rifiuto” opposto da Angela Merkel, formalmente a causa della pandemia, all’invito di presentarsi alla corte di re Donald per celebrare un G7 al quale la politica americana ha oggettivamente tolto la sua ragion d’essere, e all’indomani peraltro dell’ennesima sfuriata di Trump sulla quota di Pil che la Germania destina alle spese per la difesa.

L’Atlantico è sempre più largo, si potrebbe dire parafrasando Spadolini. E così, mentre l’inquilino della Casa Bianca è costretto a posporre l’invito ipotizzando un improbabile e confuso allargamento della membership del G7, la Germania dà sempre più l’impressione di volersi ricentrare sull’Europa, puntando ad un obiettivo – quello di renderla più forte – non necessariamente in cima alla sua agenda politica solo pochi mesi fa.

C’è voluta l’emergenza coronavirus a far cambiare posizione di 180 gradi alla Germania ed a rimettere in discussione quella dimensione multipolare che ha costituito l’asse portante della politica economico diplomatica dell’era Merkel, e che vedeva l’Europa come uno dei tasselli – e neanche il più importante, della propria Weltanschauung.

C’è voluta la constatazione che la catena del valore che rende imprescindibili i prodotti tedeschi ha una dimensione europea, che il rischio default di un paese come l’Italia mette a repentaglio l’intero mercato unico, che «non è più possible separare l’economia europea nel suo complesso dalle singole economie nazionali, come è stato fatto dieci anni fa», per utilizzare le parole del ministro delle finanze tedesco il socialdemocratico Olaf Scholz.

C’è voluta, anche, la sentenza della Corte costituzionale tedesca del 5 maggio scorso che ha affermato, in sostanza, che il re è nudo: governi nazionali e istituzioni europee, – dicono i giudici di Karlshue – datevi una mossa perché la Bce non può continuare ad assumere, con la creatività escogitata da Mario Draghi, il compito di sostenere le economie dei paesi membri più deboli che spetta principalmente alla politica e non all’Istituto di Francoforte.

C’è voluta, infine, la consapevolezza che niente sarà come prima, almeno per un bel po’, per convincere non solo Angela Merkel ma quasi tutto l’establishment tedesco ad abbandonare la sua rigida impostazione ordoliberale per lanciare, con il Recovery Fund, una proposta di assistenza straordinaria ai paesi e settori più colpiti dalla crisi che non a caso ha colto di sorpresa gli alleati più tradizionali della Germania, quel pugno di paesi “tirchi”, capeggiati dall’Olanda, che fino all’anno scorso si erano definiti “Lega Anseatica”, proprio in omaggio alla tradizione mercantilistica del loro paese guida.

Con le ambizione contenute nel programma di presidenza, la Germania intende andare anche oltre, sulle orme dei concetti, se non delle realizzazioni concrete, evocati spesso da Emanuel Macron.

Sempre prendendo a prestito una recente intervista di Olaf Scholz: «Non è solo una questione di soldi. Si tratta di rendere l’Europa più forte e di lavorare per una migliore sovranità dell’Unione Europea, che sarà assolutamente necessaria in un mondo che sarà completamente diverso tra 20 anni».

L’Europa come potenza sovrana, su campi specifici e delimitati. L’Europe souveraine, di Macron, insomma.

Ne siamo ancora ben lontani, tanto che invano la settimana scorsa il Parlamento europeo ha chiesto conto agli Stati membri del mancato avvio della Conferenza sul futuro dell’Europa, che sarebbe dovuta partire il 9 maggio.

Ma molto si sta muovendo, basti pensare al fatto che la frizione con Washington potrebbe essere stata acuita dall’idea di includere, fra le risorse proprie europee per finanziare il Recovery Fund, la tassazione dei giganti della rete a dominanza americana.

Ma la presidenza tedesca potrebbe riservare sorprese e favorire il già evocato “momento Hamilton”.

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