Quest’anno la pubblicità digitale su piattaforme come Google, Facebook e Alibaba è destinata a superare per la prima volta la spesa per i media tradizionali. A dirlo è il Financial Times, che basa le sue previsioni su una ricerca di mercato della GroupM, la più grande azienda di media pubblicitari al mondo.
Lo spostamento storico della quota di mercato, si legge nell’articolo, è stato accelerato dalla pandemia di coronavirus: si prevede che il marketing digitale rappresenterà oltre la metà del settore della pubblicità globale (dal valore stimato di 530 miliardi di dollari solo nel 2020).
«La rivoluzione digitale nel marketing è in atto da inizio millennio, da quando Internet rappresentava meno del 2% della spesa, e ha trasformato il mercato pubblicitario con un ritmo che supera di gran lunga l’avvento della televisione nel 20 ° secolo» spiega il giornale britannico.
Una tendenza che in questi mesi di emergenza ha amplificato la propria area di influenza, rendendo meno doloroso per i suoi bilanci lo shock economico che sta colpendo l’economia mondiale. GroupM stabilisce infatti che la spesa pubblicitaria complessiva diminuirà di circa l’11,8 per cento in tutto il mondo, ma in maniera del tutto non uniforme tra le vecchie e le nuove forme di pubblicità. La spesa per la pura pubblicità digitale dovrebbe diminuire solo del 2,4 per cento quest’anno, mentre sui media tradizionali come la televisione e i giornali diminuirà del 20,7 per cento.
«Negli ultimi tre mesi abbiamo assistito a tre anni di accelerazione digitale», ha dichiarato Johnny Hornby, fondatore di The & Partnership, al Financial Times. «Ciò si è manifestato in massicci aumenti delle persone online e massicci aumenti negli acquisti online, la maggior parte dei quali non invertirà la rotta per un ritorno ai canali tradizionali».
La spesa delle piccole imprese, inoltre, è una parte sempre più importante del mercato pubblicitario. E proprio queste aziende sono le «principali consumatrici della pubblicità digitale, per un valore di spesa al di sopra del 50% del totale», ha dichiarato Brian Wieser, responsabile della business intelligence di GroupM.
Oltre i due terzi della pubblicità su Facebook e Google, durante il periodo di emergenza, è stata finanziata da realtà locali, in quanto «le piccole imprese hanno abbracciato il marketing digitale e la pubblicità per la prima volta durante il blocco solo per mantenere viva l’attività» continua l’articolo.
Il motivo di questo cambio di strategia? Dall’inizio dei blocchi dovuti al Covid-19, le aziende hanno cercato di ridurre i costi e passare a un marketing online più economico, più mirato agli acquisti piuttosto che alla promozione dei marchi. «Ciò ha colpito in modo sproporzionato le emittenti e gli editori, anche se il pubblico è aumentato nettamente in aprile e maggio» continua l’articolo.
«Questo shock può fare per la televisione in chiaro ciò che la crisi finanziaria ha fatto per la pubblicità sui giornali», hanno detto al Financial Times i dirigenti della GroupM. «I giornali non si sono mai ripresi. E la domanda è: come possono le emittenti impedire che ciò accada a loro?».
Per il momento una risposta non c’è. Gli stessi analisti che hanno seguito l’evoluzione del marketing digitale sono rimasti stupiti di fronte all’impennata di questo settore e di come, anche dopo l’interruzione dei blocchi, non si sia registrata nessun tipo di frenata. «In realtà abbiamo visto accadere il contrario», ha dichiarato Vincent Letang, che gestisce le previsioni globali per l’agenzia di media Magna.
Mentre per i canali tradizionali: «Con la domanda in calo e l’offerta in aumento, rimarrà probabilmente un mercato controllato dagli acquirenti per gran parte del resto del 2020», ha aggiunto Stephan Loerke, amministratore delegato del WFA, la federazione mondiale degli investitori pubblicitari.
A gravare sui bilanci dei media tradizionali, infine, non è solo il potere d’acquisto ma anche il comportamento dei consumatori. «Il commercio digitale è enorme e molti settori che in precedenza avevano una bassa penetrazione, come le aziende di prodotti di consumo, vedranno questa come un’opportunità non solo per vendere direttamente ma anche per acquisire dati sui consumatori», ha affermato al giornale Christine Removille, ex presidente dell’agenzia pubblicitaria Carat.