Il cattivo miglioreGli 80 anni di Joker: non c’era anno più adatto di questo per festeggiarlo

Un personaggio ambiguo, e per questo versatile, in grado di resistere al tempo e ai cambiamenti perché incarna l’eterno principio del caos

L’unica cosa buffa di Joker è che, secondo le intenzioni dei suoi ideatori, avrebbe dovuto morire subito. Per lui era prevista una avventura di una trentina di pagine, nella quale riusciva ad avvelenare Gotham City (il veleno sarà un suo marchio di fabbrica) e scontrarsi con Batman, fino a una morte da buffone: cadere e infilzarsi sul proprio pugnale.

E invece la casa editrice, affascinata dall’efficacia del nuovo personaggio, chiese di aggiungere una vignetta – quella finale, dove nell’ambulanza si scopre con stupore che era ancora vivo.

È il suo primo scherzo – diretto stavolta non all’Uomo pipistrello ma ai suoi autori Bill Finger, Bob Kane e Jerry Robinson.

Dalla sua prima apparizione, avvenuta nella primavera del 1940, sono passati 80 anni, e non sembra aver perso smalto.

Cangiante, perverso e duttilissimo per lui è stato preparato un volume commemorativo, con le sue storie migliori (anche se sulla scelta, a detta dei fan, ci sarebbe da discutere per settimane) in un annata che – tra virus e proteste – sembra disegnata apposta per celebrarlo.

Come sostiene Robert Weiner, che insieme a Robert Moses Peaslee ha pubblicato un libro su di lui (“The Joker: A Serious Study on the Clown Prince of Crime”), è il cattivo meglio riuscito del mondo dei supereroi. L’unico che ha ricevuto studi, riflessioni, serie dedicate (ma non hanno avuto tanto successo) e anche un film specifico, quello del 2019 di Todd Phillips.

Merito della sua natura sfuggente, della follia, della versatilità. Il curriculum criminale parla per lui: nasce come gangster, ispirato anche nelle fattezze al protagonista del film “L’uomo che ride”, di Paul Leni, e nel tempo si trasforma in genio della chimica, in hacker, in terrorista biologico e negli anni ’60 riesce perfino a passare da hippy.

È imprevedibile, incontrollabile, misterioso. Riesce a morire e poi a tornare vivo decine di volte. Anche sulle sue origini, nonostante il film del 2019 tendesse a delinearne una storia, c’è riserbo e ambiguità.

Lui stesso, in” The Killing Joke”, storia del 1988 scritta da Alan Moore, aveva dichiarato di «preferire più opzioni» al riguardo, lasciando intendere che ciò che dicesse fosse vero fino a un certo punto.

È tutto merito della sua cattiveria, libera dai vincoli – anche narrativi – della logica, che lo rende duttile, sia come protagonista di storie sia come simbolo.

Questo lo ha reso, per gli interpreti, una incarnazione dell’anarchia – per le sue lotte contro il sistema. O come traduzione isterica del marxismo – per le rivendicazioni e il suo seguito popolare.

A volte è un nuovo Robin Hood. Altre è il superuomo di Nietzsche. Altre ancora (chissà perché) viene visto come controfigura di Jean Paul Sartre. Eppure è spesso nichilista, individualista, monomaniaco. In sostanza, rappresenta il principio del caos.

La sua tripla ambiguità (di criminale, di pagliaccio e di folle) lo conferma. Perfino il suo volto è una metafora: in alcune avventure, per fuggire dall’Arkham Asylum, si fa togliere la pelle dal viso, per poi recuperarla mentre è custodita al commissariato di Gotham (per dire il gusto del macabro).

Fa paura e affascina, insomma, perché è un adeguato contraltare a ogni esigenza di ordine. Ma anche perché, sebbene sia sempre contenuto (con difficoltà) da forze maggiori di lui, c’è sempre l’incubo che possa prevalere.

Come gli fa dire Alan Moore nella sua storia, c’è poca differenza tra lui e gli altri. «Basta una brutta giornata per ridurre l’uomo più assennato del pianeta a un pazzo», dice, con tono sapienziale. «Ecco, tutto ciò che mi separa dal resto del mondo. Solo una brutta giornata».

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