Sempre più spesso le aziende si fanno carico di problemi che sembrano appartenere alla sfera sociale. Siamo inondati da business case su tematiche quali la cultura della fiducia, l’aumento dei salari minimi, la sostenibilità, la responsabilità sociale d’impresa (CSR), il perseguimento di uno scopo superiore (purpose), per citarne solo alcuni.
Questi argomenti, che in passato non erano necessariamente in cima alle priorità delle imprese, oggi vengono presentati come veri e propri imperativi secondo la retorica del business case «ciò che fa bene alla società fa bene anche all’impresa».
È la quintessenza del valore condiviso e delle soluzioni win-win, che ho fatto rientrare nella Modalità 2. Le aziende si rendono sempre più conto che il bene sociale non deve per forza compromettere gli utili.
L’aumento dei salari minimi o la cultura della fiducia vengono acclamati come metodi per accrescere la produttività, alla sostenibilità viene attribuita la capacità di ridurre i costi e alla CSR quella di potenziare il valore di un marchio o di ridurre il rischio reputazionale.
Quando il valore condiviso funziona
Questo inneggiare ha funzionato. A molti manager addestrati a pensare che gli utili hanno sempre la precedenza, l’idea del valore condiviso ha lasciato intravedere un percorso futuro per gestire i trade-off creati dai loro business model. Le imprese possono:
– giustificare la sostituzione delle lampadine a incandescenza con un più costoso impianto di illuminazione a LED grazie al risparmio energetico, che è al tempo stesso positivo per l’ambiente e più economico nel lungo termine;
– ridurre gli imballaggi dei prodotti perché al tempo stesso risparmiano plastica e cartone e abbattono i costi del packaging e del trasporto;
– investire nel miglioramento delle condizioni di lavoro nella filiera produttiva perché così facendo si migliora la vita dei dipendenti e al tempo stesso si riducono gli oneri legati a un’elevata rotazione del personale;
– promuovere prodotti biologici perché al tempo stesso riducono l’immissione nell’ambiente di sostanze tossiche e aumentano la propensione dei consumatori a pagare prezzi più elevati per il biologico;
– aumentare il numero di dipendenti donne perché si creano maggiori opportunità per la forza lavoro femminile e al tempo stesso si attinge a un bacino di talenti poco valorizzato.
Potrei continuare. Sono ormai poche le aziende estranee a iniziative di questo tipo. È questo il leitmotiv dei rapporti sulla sostenibilità, diventati ormai quasi la norma per l’impresa moderna.
Il Global Responsibility Report 2018 di Walmart si apre con una lettera della responsabile per la sostenibilità Kathleen McLaughlin, la quale afferma:
Le imprese esistono per servire la società. Nel caso di Walmart ciò avviene in molti modi.
Consentiamo ai clienti di acquistare a prezzi convenienti generi alimentari e altri prodotti sicuri e accessibili, creiamo opportunità lavorative per i nostri soci, aiutiamo i fornitori a espandere le loro attività, il che a sua volta crea nuovi posti di lavoro, infine generiamo gettito fiscale contribuendo a sostenere la vita delle comunità locali.
Le imprese di maggior successo fanno tutte queste cose ma si spingono oltre: puntano a rafforzare i sistemi su cui fanno affidamento, come l’occupazione nel settore retail o la produzione alimentare.
Perché? Non solo per costruire la fiducia dei clienti e tutelare la licenza a operare, ma anche per potenziare la sicurezza dell’offerta, gestire l’evoluzione della struttura di costo, generare nuovi flussi reddituali e attrarre talenti.Irrobustire i sistemi sociali non è solo un atto di responsabilità ma anche una scelta che massimizza il valore d’impresa. (1)
Nel rapporto sulla sostenibilità il CEO di Nike Mark Parker afferma: «Quello che ci fa andare avanti è una convinzione molto semplice: quando Nike introduce un cambiamento significativo all’interno della nostra società e delle comunità che serviamo, esercitiamo un’influenza positiva sul mondo. Ampliamo il nostro scopo in quanto impresa».
Nel rapporto viene specificato che Nike ha abbattuto di 6.000 tonnellate i conferimenti in discarica di rifiuti industriali e post vendita grazie al programma Nike Grind – un’iniziativa decisamente vincente visto che i ricavi delle superfici sportive e di gioco vendute da Nike Grind sono tornati nelle casse aziendali per finanziare innovazioni sostenibili.
L’azienda ha lavorato con i fornitori di prodotti calzaturieri finiti per eliminare le vecchie caldaie a vapore – un’altra scelta sensata visto che ha consentito di ridurre i consumi elettrici del 15-20 per cento in ogni stabilimento (2).
Sono storie molto forti. Le aziende motivate da uno scopo trovano il modo di realizzare obiettivi sociali senza perdere di vista gli utili. Questa è la Modalità 2 di azione: ricercare soluzioni win-win, vincenti per tutti.
Come si fa a fare contenti tutti? Non è facile. Anche il perseguimento di obiettivi a portata di mano può essere faticoso. Si pensi alla famosa decisione di Walmart di obbligare i fornitori di detersivo liquido per bucato a spedirlo esclusivamente in formule concentrate.
Sembrerebbe una cosa da poco. I vantaggi per l’ambiente sono evidenti: meno acqua, flaconi di plastica più piccoli, meno scatoloni da spedire, meno trasporti e dunque meno inquinamento.
Anche i vantaggi per l’impresa sono chiari: riduzione dei costi di spedizione e logistica, e copertura mediatica positiva.
Ma questo cambiamento non è avvenuto dall’oggi al domani. L’impegno è stato reso pubblico a settembre del 2007 in occasione degli incontri della Clinton Global Initiative, ma era stato avviato tre anni prima nell’ambito di una sperimentazione con Unilever.
Per convincere Unilever a sviluppare una versione concentrata del suo detersivo All, Walmart ha dovuto promettere uno spazio sugli scaffali uguale o superiore, un potenziamento del marketing e attività di informazione per i consumatori.
Il risultato è stato il detersivo «All small-and-mighty» da un litro – tre volte concentrato e in grado di lavare la stessa quantità di panni di un flacone da tre litri di detergente non concentrato – che Walmart mise subito in vendita.
La prova fu un successo e Unilever riuscì persino a incrementare le vendite del detersivo All. Walmart decise quindi di estendere la richiesta all’intera rete di fornitori – Procter & Gamble, Church & Dwight, Dial e altri.
Impose a ogni singolo fornitore una vasta serie di cambiamenti: nuove formulazioni, nuovi imballaggi, nuove etichette e nuove pubblicità. Se è successo, è perché Walmart aveva il potere di farlo succedere.
Ma la stessa Walmart ha avuto il suo bel da fare. Ha dovuto modificare le disposizioni sugli scaffali, le sequenze delle consegne e lo stoccaggio, installare schermi interattivi per presentare il nuovo prodotto ai clienti, formare i soci Walmart sui relativi vantaggi e lanciare promozioni per invogliare i consumatori ad acquistare le nuove formule concentrate.
A maggio 2008 Walmart annunciò di aver raggiunto l’obiettivo di vendere nei suoi negozi solo le versioni concentrate dei detersivi (3). La lezione da trarre è che, persino quando è a portata di mano, arrivare a una soluzione win-win non è un gioco da ragazzi.
Per inciso, il fatto che inizialmente Walmart non abbia imposto il cambiamento a tutti i fornitori ma sia partita con un esperimento condotto su un solo prodotto di un solo fornitore rientra nella Modalità 4 di azione, su cui ritornerò nel Capitolo 8.
Se la soluzione win-win non vi convince o non siete sicuri che sia percorribile, esperimenti come questo sono un mezzo molto valido per procedere.
L’esperimento ha creato due vantaggi. Innanzitutto, nella fase di ideazione del progetto sia Walmart sia Unilever hanno individuato i reciproci timori e lavorato per gestirli. In secondo luogo, la riuscita dell’esperimento ha giocato un ruolo chiave nella capacità di Walmart di convincere anche altri marchi a fare altrettanto.
La storia del detersivo da bucato è molto istruttiva, non solo perché incarna perfettamente il concetto della soluzione win-win, ma perché mostra come anche un cambiamento ben preciso possa essere complicato.
Non è difficile immaginare le possibili resistenze dei fornitori: riusciranno a spuntare un prezzo equivalente per il prodotto concentrato? Perderanno spazio sugli scaffali se i flaconi saranno più piccoli? Riusciranno a recuperare l’investimento in nuove formule e altri cambiamenti?
Dal canto loro, anche i dubbi dei consumatori sono comprensibili: siamo sicuri che il nostro bucato uscirà pulito usando meno detersivo? Perché queste bottiglie così piccole costano più dei vecchi flaconi?
Persino internamente a Walmart: qualcuno delle risorse umane deve predisporre nuovi moduli di formazione; gli addetti marketing devono sviluppare nuovi schermi interattivi; i direttori dei punti vendita devono far arrivare questi schermi nei negozi e capire come ricollocare i prodotti.
In sintesi, come con qualsiasi cambiamento, le varie parti in causa hanno dovuto fare investimenti e modificare le proprie abitudini. Perché lo hanno fatto? Perché il business case mostrava che gli investimenti sarebbero stati proficui non solo per l’ambiente ma anche per gli utili, e perché i vertici aziendali erano determinati a portare a termine il progetto.
1) 2018 Global Responsibility Report, Wal-Mart Inc., disponibile online su https://corporate.walmart.com, consultato il 30 maggio 2018.
2) FY 16/17 Sustainable Business Report, Nike, Inc., disponibile online su www. globalreporting.org.
3)Wal-Mart, «Wal-Mart to Sell Only Concentrated Products in Liquid Laundry Detergent Category by May 2008», comunicato stampa, 26 settembre 2007, disponibile online su https://corporate.walmart.com, consultato il 30 maggio 2018; Wal-Mart, «Wal-Mart Completes Goal to Sell Only Concentrated Laundry Detergent», comunicato stampa, 29 maggio 2008, disponibile online su https://corporate.walmart.com, consultato il 30 maggio 2018.
da “L’impresa a 360°. Dai compromessi con gli stakeholder alla trasformazione organizzativa”, di Sarah Kaplan, Egea, 2020, 29,50 euro