La storia all’incontrarioIl romanzo in cui gli Inca conquistano l’Europa ed eliminano il capitalismo

In “Civilizzazioni” (La Nave di Teseo), lo scrittore francese Laurent Binet inverte il corso della scoperta dell’America. Gli amerindi attraversano l’Oceano e sottomettono il vecchio continente. Un’ucronia che è più di un esercizio di immaginazione

Un’Europa non più cristiana, di sicuro non capitalista, senza tasse e dove tutti girano con vestiti molto più leggeri. E adorano il dio Sole. È più o meno come se la immagina Laurent Binet in “Civilizzazioni” (La Nave di Teseo), il suo ultimo romanzo in cui Cristoforo Colombo non scopre l’America (anzi, finisce prigioniero) e al contrario gli amerindi sbarcano in Europa e la conquistano.

Immaginare un’ucronia, cosa esecrata dagli storici (è proibito, si sa, l’uso dei “se”), piace molto agli scrittori. È il fascino di un corso degli eventi alternativo: libera dalla tirannia del passato e costringe, con gli ingredienti della realtà, a pensare a possibilità inesplorate.

Cosa sarebbe successo – questa la formula – se Alessandro Magno si fosse diretto a ovest anziché a est? Se lo chiedeva già l’autore latino Tito Livio, e i professionisti contemporanei, nonostante ne siano eredi, lo avrebbero rimproverato.

Oppure, per spostarsi in epoche più vicine, come sarebbe andata se Napoleone avesse utilizzato una tattica più efficace a Waterloo? O se a Wuhan (o nei paraggi) non avessero mai catturato quel pipistrello?

Per Binet il tema è la scoperta dell’America. O meglio, la non-scoperta dell’Europa. Comincia a pensarci quando è a Lima, «ospite al Salone del Libro nel 2015» dove impara a conoscere la cultura precolombiana, «di cui ignoravo quasi tutto». Poi legge “Armi, acciaio, malattie”, di Jared Diamond, «in cui ci si chiede perché non fu Atahualpa che venne a conquistare Carlo V» e prova a immaginarlo.

Cambiare, anzi invertire «uno degli eventi che ha generato i maggiori cambiamenti nella storia dell’umanità – pochi sono all’altezza della scoperta dell’America» lo porta su binari imprevisti.

«All’inizio pensavo che l’interesse maggiore di questo capovolgimento fosse di tipo antropologico». Più o meno quello che lo studioso francese Roger Caillois aveva chiamato «rivoluzione sociologica», cioè usare uno sguardo straniero su usi e costumi abituali, gioco già giocato da Montaigne o Montesquieu nelle Lettere Persiane.

«Mi sono divertito a pensare a come avrebbe reagito uno straniero di fronte alle pratiche dell’Inquisizione o le dispute tra cattolici e protestanti».

Ma la vera scoperta è stata di tipo economico. «Non avevo pensato che quella fosse l’epoca in cui era nato il capitalismo, preparato in Italia nel XV secolo ma in corso di sviluppo in tutta Europa, soprattutto in Germania».

In più, «avevo scoperto con stupore il sistema economico degli Inca, estremamente pianificato, centralizzato e incredibilmente distributivo. Una sorta di protosocialismo pre-sovietico». E cosa può succedere se si porta un Lenin precolombiano a colonizzare l’Europa ex Medievale, con tanto di culto solare? (Poco di buono).

«Immaginare l’arrivo di Atahualpa in Germania, in particolare qualche anno dopo la Guerra dei contadini del 1524, che aveva devastato le campagne, mi sembrava un’ipotesi interessante. Alcuni aspetti del sistema economico e sociale inca avrebbero potuto andare incontro ad alcune loro richieste». Insomma, un altro sistema sarebbe (stato) possibile.

E, aggiunge: anche oggi. Questo è «un periodo in cui sembra di vivere una forte accelerazione della storia, un sentimento angosciante per cui l’avvenire degli esseri umani si gioca nei prossimi anni», per cui tutto può cambiare.

Non nel passato (come fa lui nella finzione), ma nel futuro (e nella realtà) senza dubbio. Ma anche senza fretta. Binet, da buon francese, crede nei «tempi lunghi di Braudel», per cui le strutture profonde e radicate della società sono difficili da modificare.

Anche se la crisi del coronavirus, nelle sue settimane, è stata ricca di insegnamenti. «In poche settimane la Cina ha bloccato il 30% della sua produzione industriale, l’economia mondiale si è quasi fermata. Quello che servirebbe per rallentare il cambiamento climatico».

Tutto questo è stato originato da un pipistrello, da un episodio singolo e del tutto casuale. È questo forse che cambia il corso della storia? Sono i dettagli? O sono al contrario tendenze profonde e di ampio respiro?

«Entrambe le cose». E guardando alla questione della scoperta dell’America, si nota che «gli europei sono riusciti a prevalere con facilità perché avevano i maiali».

I precolombiani «avevano solo lama e quasi nessun animale da soma. È il contatto con gli animali domestici che ha permesso agli europei di sviluppare gli anticorpi necessari per resistere alle malattie trasmesse dagli animali d’allevamento. Sono queste a uccidere il 90% degli indiani americani». Nessuna superiorità, solo «maiali, mucche e polli. È una spiegazione che adoro».

Insomma, fare ucronie significa riscrivere la storia, inventando finali alternativi. Ma a differenza del revisionismo, «non si pretende di sostituire la storia reale. È una finzione, si presenta come tale e diverte proprio quando viene messa a confronto con la verità».

Anzi, «obbliga a tornarci ogni volta proprio perché ne è un contrasto. Questo è il suo lato ludico. Non cerco certo di far credere al lettore che gli indiani abbiano conquistato l’Europa». È un «gioco speculativo», insomma. Il già accennato «e se..». Quello che spalanca le porte all’ipotesi, all’immaginazione e, forse, a piste non ancora pensate.

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