Il mondo di dopodomaniScienza e ricerca sono le priorità per affrontare la fase 3, dice Marco Simoni

Il Paese sta gradualmente riaprendo, ma alcuni settori attraversano una crisi forse irreversibile. Non si può salvare tutto, e secondo il presidente di Fondazione Human Technopole, le priorità su cui puntare sono investimenti su scuola e sanità, sburocratizzazione e piani di lungo periodo in ambiti strategici

Foto dalla pagina Facebook di Human Technopole

«I decreti fatti finora servono a passare la nottata. Prendiamo il caso di un parrucchiere fermo per due mesi. Per evitare che fallisca gli dai un credito a basso costo; si tratta di una misura per affrontare il momento di difficoltà, ma poi la gente torna a tagliarsi i capelli. Una serie di aziende però non sta ripartendo perché non c’è domanda. Come si può far tornare 31 milioni di turisti in Italia? Forse la gente stipata come acciughe sui voli low cost non sarà mai più una realtà. Facciamo discorsi di cui non conosciamo l’entità economica».

Marco Simoni, presidente della Fondazione Human Technopole ed economista politico, non ha dubbi: il coronavirus rappresenta una prova estremamente complicata, ma per rilanciare il Paese serve qualcosa in più di misure assistenzialiste alle imprese e sussidi per non affogare. «Le sfide più grandi che ci si pongono davanti oggi sono tre: salute pubblica, ambiente e migrazioni. Sono elementi relativi ad una società globalizzata, tecnologicamente avanzata, interconnessa. E sono problemi che si affrontano solo con un grande investimento in scienza e ricerca».

Come per tutte le altre realtà, anche il suo super centro di scienze per la vita nell’ex area Expo di Milano si è fermato. O meglio, si sono fermati i cantieri, con i lavori rimandati di due mesi, ma non il lavoro degli uffici. I piani scientifici si sono, di fatto, accelerati: Human Technopole si è adoperato da subito per dare il proprio contributo al contrasto della crisi sanitaria, avviando progetti sia sull’analisi dei dati dell’epidemia che sulla genetica del virus, in particolare attraverso LifeTime for COVID19, iniziativa a livello europeo per studiare come il virus impatta diversi pazienti a seconda del loro corredo genetico.

Ora che il paese si appresta a ripartire, però, serve un piano ben congegnato. «Nella crisi ci sono settori che sono andati meglio, come il farmaceutico e l’agroalimentare. La fase di rilancio però non significa solo far ripartire l’economia in generale, ma pensare al futuro, cioè continuare a generare ed alimentare nuovi settori», spiega Simoni.

Secondo il presidente, il coronavirus ha messo in evidenza alcune debolezze strutturali del nostro paese. Prime della lista, scuola e sanità: «Il fatto stesso che siamo ancora qui a discutere come ripartire con le lezioni a settembre mostra tutte le debolezze del sistema, vittima di un disinvestimento mostruoso fin dall’inizio degli anni Duemila. Mentre sulla sanità ci serve un sistema sanitario pubblico centralizzato, non regionalizzato, che possa gestire meglio la prossima epidemia. Affrontare questo tipo di problemi deve essere la priorità».

Il fatto che il coronavirus abbia generato una tale battuta d’arresto, per Simoni, dovrebbe essere un’opportunità per superare vecchie incrostazioni. A partire da quelle della burocrazia, questione che il presidente del centro di ricerca sottolinea da tempo. «Il codice degli appalti, per esempio, è denso di gold plating: le direttive europee ci danno delle leggi per tutelare la concorrenza nelle gare, ma noi ci aggiungiamo un sacco di regole nostre. Risultato: ci vogliono anni per affidare un appalto», spiega Simoni. «Ci sono decine di miliardi di euro già stanziati degli appalti pubblici che non si riescono a spendere. Non serve una mega riforma e nemmeno un “effetto eccezionalismo” come il caso del ponte Morandi, perché se si va avanti a deroghe allora le leggi non hanno più senso. Rimaniamo nell’ambito regole europee, ma senza aggravarle con le regole nostrane».

Per Simoni il ruolo dello settore pubblico è fondamentale per la ripartenza, ma non ci si può limitare a un interventismo completo: «La polemica “più Stato o più mercato” è da anni ’60, ci sono cose che lo Stato può fare per favorire una transizione verso l’innovazione e il trasferimento tecnologico, ma altre le sa fare molto meglio il mercato».

In questo senso la politica industriale del paese va aggiornata in base alle priorità di sviluppo: «Nel secolo scorso politica industriale si svolgeva così: lo Stato costruiva l’acciaieria e assicurava alla Fiat che avrebbe avuto acciaio a buon prezzo. Senza acciaieria pubblica non avevi la Fiat. La politica industriale di oggi è fatta dalla genomica, dall’intelligenza artificiale, dall’immunologia, dalla cybersecurity, settori ad altissima intensità di ricerca. Il modo migliore oggi per assicurare un futuro industriale è fornire la ricerca di base. Questo è ciò che consente di avere lavori ad alta intensità», spiega Simoni.

Per Simoni, però, l’unica misura finora varata dal governo veramente lungimirante in questo senso è stata quella dei finanziamenti per l’università. «È l’unico intervento che serve a pensare a cosa succede fra due anni, non fra due giorni».

Human Technopole, naturalmente, vive di queste dinamiche. «C’è una discussione in corso, i cosiddetti “stati generali dell’economia”, per riflettere su come impostare una politica di prospettiva. Il punto è che bisogna fare piani che durano anni. Non basta dire che si stanziano fondi per 500 dottorandi in più, servono i professori, le strutture e una programmazione di lungo periodo».

Per il presidente, sono tre le priorità su cui lavorare per mettere in sicurezza il Paese e assicurargli un futuro: lavorare sulle strutture istituzionali che hanno dimostrato di essere molto fragili o che hanno bisogno di una modernizzazione urgente – ovvero la scuola e le strutture di sanità pubblica decentralizzate, cioè quelle che sono mancate in regioni come la Lombardia durante l’emergenza -, superare i vincoli di lentezza burocratica e fare programmi di lungo periodo all’intersezione fra industria e scienza.

«Queste tre cose non si fanno in una settimana. Bisogna impostare il lavoro in maniera ordinata. Per il cosiddetto “giorno dopo” bisogna riflettere come impostare piani lunghi. Anche tenendo in conto che qualcuno andrà male, perché succede sempre», dice Simoni.

Si tratta di un progetto ambizioso. Forse troppo per la politica contemporanea, concentrata sull’ottenere consenso e spenderlo subito. Conclude Simoni: «Sembra essere in atto un divorzio fra le qualità personali che servono a prendere voti, e quelle che servono per fare le cose. Ma per un piano di rinascita civile servono entrambi: le capacità ma anche il consenso. Bisogna trovare il modo di conciliare questi due aspetti, ma non ci si sta lavorando molto».

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