Vacanze romane de RomaFate venire Chiara Ferragni, magari salva la stagione turistica della Capitale

Di fronte al calo dei turisti post-Covid l’Amministrazione comunale non ha fatto nulla. Dovrebbe puntare sui residenti, ma orari, prezzi e iniziative restano gli stessi di prima, per stranieri che non ci sono. Adattarsi non è fantascienza: in Vaticano si è fatto, ma sembra già un altro pianeta

FILIPPO MONTEFORTE / AFP

Bisognerebbe invitare Chiara Ferragni al Colosseo, immediatamente, prima che la stagione si porti via gli ultimi scampoli di possibilità per il turismo romano e chi ci lavora intorno: le guide, i ristoranti, i venditori di calendari coi gatti (sì, è un mestiere pure quello).

Bisognerebbe portare Chiara Ferragni al Colosseo e subito dopo ai Fori Imperiali per spiegare ai gestori che 24 euro a testa per la visita vanno bene per gli americani e i giapponesi pre-Covid ma sono inaccessibili per il per il romano medio con famiglia che desiderasse approfittare dell’assenza di code per portare i pupi a vedere dal vivo l’arena della sfida tra Massimo Decimo Meridio e l’imperatore Commodo (grazie Ridley Scott).

La Ferragni potrebbe anche spiegare ai titolari del patrimonio storico locale che c’è stata un’epidemia, che gli stranieri non torneranno per mesi, forse per anni, e che i residenti locali sono l’unico bacino d’utenza immaginabile per salvare un pezzetto del Pil turistico: il 13 per cento del totale a livello nazionale ma una quota assai più alta nella Capitale, dove solo l’Anfiteatro Flavio muoveva ogni anno sette milioni e mezzo di visitatori che intorno agli archi mangiavano, bevevano, facevano shopping.

Dunque, per tenersi a galla, in centro, nei musei e tra le rovine, bisogna in qualche modo portarci gli indigeni. E per portarceli si dovrebbero aggiustare non solo i prezzi ma pure gli orari. Persino a Roma la gente lavora.

Aprire alle 8 e chiudere alle 18 va bene per il tedesco in vacanza o lo spagnolo in Erasmus, ma una qualunque ambizione a rianimare flussi interni dovrebbe consigliare il prolungamento fino alle 20.

Chiara Ferragni potrebbe spiegare agli amministratori capitolini che il Vaticano lo ha fatto da subito, dal primo giorno di riapertura dopo il lockdown, e sta ottenendo ottimi risultati con le visite protratte fino alle otto di sera nei feriali e addirittura fino alle 22 il sabato e la domenica.

Ci siamo chiesti per tre mesi se il Covid ci avrebbe reso diversi e per tre mesi abbiamo letto ovunque analisi sulla necessità di cambiare e riconvertire molte cose, di attrezzarsi per il mondo nuovo della post-epidemia con i suoi spostamenti limitati, le sue paure, ma anche le sue inedite opportunità.

Scopriamo oggi che quei ragionamenti sono scivolati come acqua sul corpaccione delle gestioni pubbliche dove il “prima” e il “dopo” sono esattamente uguali.

Il Colosseo, esempio massimo di questo tipo di inerzia, ripropone anche quest’anno 5 sabati di visite notturne dal 25 luglio al 29 agosto: solo che normalmente, in agosto, arrivavano in città un milione di turisti, quest’anno è giù tanto se ne sbarcherà qualche migliaio (e di certo i romani se ne staranno a Ostia piuttosto che nel catino rovente del centro).

Chiara Ferragni potrebbe dunque spiegare ai responsabili che sarebbe meglio estendere “Luna al Colosseo” a settembre, e immaginare uno sconticino per famiglie più incoraggiante della norma (attualmente c’è un biglietto a 44 euro, ma limitato a quattro o cinque date).

Persino il benpensantismo culturale dovrebbe arrendersi davanti al nobile intento di riportare la città dentro la sua storia e di rendere finalmente accessibile alla plebe – per cui, peraltro, furono costruiti metà delle terme, dei Fori e degli anfiteatri italiani – visite normalmente interdette dall’arrembaggio in massa dei tour operator e dalle prevendite in blocco delle prenotazioni.

Le guide turistiche romane, cinquemila persone con patentino e qualifica che raccontavano la storia a trecentomila turisti al giorno, sono a zero reddito da mesi. Ma non essendo operai dell’Ilva o personale Alitalia, la cosa scivola nel “che possiamo farci?”.

Loro rispondono sventolando l’esempio della Santa Sede, che con accorgimenti minimi è riuscita a limitare i danni e continua a dare lavoro alla categoria e a tutto l’indotto che ci gira intorno, dalla ristorazione ai gadget.

Ovviamente non sfugge che cambiare gli orari all’elefantiaco apparato dei nostri beni culturali è più difficile che portare montagne a Maometto.

E tuttavia, dicono le guide, ci si potrebbe provare. E salvare insieme al lavoro di molti anche la dignità dei nostri musei all’aria aperta che nel post-Covid hanno due sole possibilità: rinascere come mete di interesse per gli italiani oppure precipitare al rango di location per eventi d’elite, passerelle per pochi, serate a inviti per il tipo di casta intellettuale vista in azione nel caso Ferragni-Botticelli.

Quelli che, se vedessero una rediviva Anita Ekberg dentro la fontana ne chiederebbero l’immediato arresto.

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