«Fratelli d’Italia è un partito noioso, dice sempre le stesse cose». La frase non è di un rivale politico di Giorgia Meloni: è di Guido Crosetto, che Fratelli d’Italia l’ha fondato con la stessa Meloni e Ignazio La Russa. Parlando a Linkiesta, Crosetto non usa l’argomento della ripetitività come un elemento negativo: «I partiti oggi vanno a vento, chi vota Fratelli d’Italia deve fare uno sforzo maggiore perché non segue la moda, non può dire “mi piace la posizione sua questa vicenda”, ma sarà sempre una posizione che ha oggi, aveva ieri e aveva cinque anni fa».
L’identità a cui fa riferimento Crosetto è la prima spiegazione che danno gli esponenti del partito quando si parla della crescita verticale nei sondaggi da oltre due anni. Alle politiche di marzo 2018 ottenne poco più del 4%; a maggio 2019, alle europee, il 6,5. Oggi, secondo diversi istituti di sondaggi, i consensi sono almeno raddoppiati, intorno al 15%, ma per adesso si tratta di una crescita solo su carta che ha bisogno della conferma delle urne.
Da più parti si parla di un ritorno della destra, della vera destra. Crosetto non la vede così, non del tutto. «Fratelli d’Italia – spiega – è l’erede della destra, ma è qualcosa in più. Il punto di arrivo ideale è un partito con quei valori ma con una politica più ampia, da partito conservatore di massa».
Per il momento nonostante le ambizioni da partito popolare – che nelle parole di Crosetto ricordano più i cristianodemocratici tedeschi che il Front national di Marine Le Pen – il bacino di voti di Fratelli d’Italia sembra piuttosto ancorato al mondo della destra. È un mondo preciso: quello che si riconosce nella fiamma tricolore mutuata da Alleanza nazionale e prima ancora dal Movimento sociale italiano. E in quel “Dio, Patria, Famiglia” che Giorgia Meloni e i suoi luogotenenti portano nelle manifestazioni in piazza, al Family Day, nei talk show televisivi.
Da Alleanza nazionale e dal Movimento sociale, però, Fratelli d’Italia prova a prendere le distanze. Un’evoluzione necessaria per restare aggiornati. Soprattutto dopo l’espansione della Lega, che ha ottenuto consensi, grazie a Matteo Salvini, pescando anche nel giardino di casa degli ex missini.
L’Unione generale del lavoro (Ugl), sindacato di destra, da sempre vicino a posizioni missine, oggi è praticamente leghista, come dimostra la conferenza stampa di Marine Le Pen e Matteo Salvini ospitata nell’autunno del 2018 a Roma proprio nella sede ugiellina, a Via delle Botteghe Oscure. Il segretario generale Paolo Capone la mette così: «Dobbiamo adattarci ai mutamenti sociali ed economici. Nuovi scenari richiedono il nostro contributo, fermo restando la tutela dei diritti dei lavoratori che rimane un obiettivo immutabile, noi restiamo la cerniera sociale del centrodestra».
In assenza di elezioni, soprattutto di elezioni politiche, è difficile capire come si stanno spostando davvero le sacche di consenso. E ancor di più è difficile capire se Lega e Fratelli d’Italia siano invischiati in un gioco a somma zero, dove alla crescita di uno corrisponde un calo dell’altro.
Vincenzo Sofo, europarlamentare della Lega, traccia una linea di separazione netta tra il Carroccio e Fratelli d’Italia: «Salvini intercetta istanze tipiche della destra come il presidenzialismo o l’immigrazione. Ma è la sua vocazione è popolare e trasversale. Fratelli d’Italia invece ha una tradizione radicata nella destra. Sono complementari più che alternativi».
Il cofondatore dell’agenzia Quorum e direttore di YouTrend Lorenzo Pregliasco, sempre attento ai flussi elettorali, però fa una precisazione per sfumare i contorni dei due partiti: «Il loro elettorato è sovrapponibile, almeno in parte. Si vede nella crescita di consenso di Fratelli d’Italia, a cui corrisponde un calo della Lega. Da lì e da Forza Italia arriva il boom nei sondaggi: si spiega così la mancata crescita dei numeri nella coalizione nonostante la nuova dimensione di Giorgia Meloni».
Ma prima di poter ipotizzare un avvicendamento alla guida del centrodestra servirà qualcosa in più. Lo spiega a Linkiesta l’editore Francesco Giubilei, osservatore della galassia conservatrice: «La Lega ha ancora una maggiore capacità di raccogliere voti sparsi, penso agli scontenti dei Cinquestelle. Poi la crescita di Fratelli d’Italia a scapito della Lega è dovuta anche a una cattiva gestione di Salvini di questi primi mesi all’opposizione. Ma da qui a dire che Fratelli d’Italia possa scalzare la Lega come partito principe del centrodestra ce ne passa, la base elettorale del Carroccio è ancora più ampia».
Per proseguire nel suo percorso di crescita Fratelli d’Italia non vorrebbe guardare a modelli del passato, come suggeriscono alcuni suoi elettori. «Bisogna allontanarsi da nostalgie inutili», dice Crosetto.
“Nostalgie inutili”. Il riferimento è a tutti i membri del partito che nostalgici lo sono davvero, e non rinunciano a dimostrarlo. Dai media vengono spesso indicati «impresentabili». Crosetto li chiama «coglioni» e dice che in Italia è fin troppo facile ottenere la tessera di un partito.
Nonostante le timide prese di distanza, i nomi sono tanti. Ultimamente si è parlato di Gimmi Cangiano, candidato con Fratelli d’Italia in Campania: uno che sui manifesti elettorali ha scelto il motto fascista “Me ne frego”. Oppure Gabrio Vaccarin, consigliere comunale di Nimis, piccolo centro del Friuli Venezia Giulia, ma non iscritto a Fratelli d’Italia, che si è fatto ritrarre su Facebook con la divisa da nazista e la foto di Hitler sullo sfondo: non è bastato dire che era una foto di carnevale, la leader del partito ha dovuto prenderne le distanze.
Mentre lo scorso 28 ottobre ad Acquasanta Terme, provincia di Ascoli, è stata organizzata una cena per celebrare la marcia su Roma, con tanto di foto di Mussolini, fascio tricolore e “Dio, Patria, Famiglia” sul menu. Ha partecipato il sindaco di Ascoli Piceno Marco Fioravanti, anche lui del partito.
Sui legami con il mondo fascista, o post-fascista, Pregliasco fa una distinzione su due livelli: «La componente elettorale che possiamo definire fascista e militante è piccola, in termini di voti. Semmai possiamo dire che in Italia c’è una parte della popolazione che ha un giudizio non necessariamente negativo di Mussolini, sono quelli del classico “ha fatto anche cose buone”. È difficile da quantificare in termini elettorali, ma i loro voti vanno a Fratelli d’Italia, o in alcuni casi anche alla Lega».
La crescita del consenso a livello nazionale in questo caso gioca a favore di Giorgia Meloni. Lo spiega a Linkiesta il politologo Giovanni Orsina: «Più si allarga la base del partito e più si possono sfumare queste ambiguità verso una parte di elettorato, che così diventa meno rilevante».
La base del partito è stata ampliata, ma in modo ancora irregolare: al Nord non sfonda, soprattutto per le roccaforti della Lega, mentre al Sud i numeri sono più convincenti. Alle europee del 2019 il partito ha ottenuto il 5,7% al Nord, ma il 7,5% nel Mezzogiorno. E addirittura il 10,3% in Calabria.
Ottenere buoni risultati a livello locale ha messo Fratelli d’Italia sulla cartina politica, un poco alla volta, lanciando ambizioni più grandi. «La Calabria – dice Ernesto Rapani, che rappresenta la regione nell’esecutivo nazionale del partito – fa da apripista per il partito, perché i buoni numeri che abbiamo visto qui si sono ripetuti subito dopo a livello nazionale. L’abbiamo visto alle scorse politiche, alle europee, alle regionali. Qualche settimana dopo il voto i sondaggi nazionali ci davano sempre in crescita».
La politica sul territorio può essere un traino nello sviluppo iniziale di un partito che alla prima tornata elettorale, alle europee del 2014, non arrivò al 4% – soglia minima per entrare a Bruxelles.
La vittoria alle regionali in Abruzzo è stata un altro importante tassello. L’elezione del primo governatore regionale di Fratelli d’Italia (Marco Marsilio, a febbraio 2019) è il punto di partenza per far capire, anche agli alleati, che il partito può avere voce in capitolo a livello nazionale. È così che nascono le candidature forti di Fitto in Puglia e di Acquaroli nelle Marche – entrambi con almeno qualche chance di vittoria.
Contemporaneamente al lavoro sulla politica locale Giorgia Meloni ha macchinato ai tavoli internazionali, dove Fratelli d’Italia mantiene posizioni nazional-sovraniste: ha saputo ritagliarsi il suo spazio con un programma che strizza l’occhio all’area moderata, a chi non condivide le posizioni ancor più scettiche della Lega.
«Siamo nel Partito dei conservatori e dei riformisti europei (Ecr), non vogliamo che Bruxelles faccia quello che può essere fatto meglio a livello nazionale. Vogliamo un’Europa di nazioni che cooperano solo su alcuni punti. La Lega invece è in un gruppo con venature più “distruttive” dell’Europa», dice a Linkiesta Carlo Fidanza, europarlamentare di Fratelli d’Italia.
La differenza di posizioni con il resto della coalizione – sia rispetto alla Lega, sia rispetto a Forza Italia – è una delle criticità tra i partiti del centrodestra italiano, che difficilmente potrebbero far sintesi su tanti temi delicati, come ad esempio sul Mes.
Ma Fidanza vede un elemento positivo in prospettiva futura: «Le posizioni discordanti con gli alleati possono essere un valore aggiunto in caso di vittoria alle elezioni, perché avere una voce forte in tre famiglie politiche europee può essere un asset importante per parlare con gli altri Stati membri degli interessi nazionali italiani».
La presenza di Fratelli d’Italia tra i conservatori europei è innanzitutto una scelta di campo indovinata da parte di Giorgia Meloni. «Abbiamo sempre una linea diretta con il Gruppo di Visegrad, grazie anche ai rapporti interpersonali tra Giorgia Meloni e Orbán. E poi un legame saldo anche di amicizia con i polacchi. Senza dimenticare che Giorgia Meloni era l’unica italiana sul palco del Cpac negli Stati Uniti a marzo dell’anno scorso, dove ha ribadito la vicinanza con i conservatori americani», dice Fidanza.
La leader del partito, più di ogni altro fattore, è il motore che ha spinto la crescita di Fratelli d’Italia. «Il consenso – dice Guido Crosetto – indica la fiducia o la stima delle persone per Giorgia Meloni». Quei valori identitari della destra, “Dio, Patria, Famiglia”, la coerenza, il sovranismo, sono raccolti e rappresentati da Girogia Meloni, che si è trovata alla guida di Fratelli d’Italia quando aveva alle spalle un’esperienza da ministro delle Politiche giovanili e tra le mani un pugno di voti.
Adesso i sondaggi la danno intorno al 15% mentre lei chiede, a ogni occasione buona, nuove elezioni per capitalizzare il momento positivo. L’obiettivo è puntato su Palazzo Chigi. La coalizione di centrodestra dice in coro che in caso di vittoria il premier sarà il leader del partito che raccoglierà più voti.
Numeri alla mano in testa c’è la Lega. «Ma il consenso in questa fase – dice Orsina – è molto volatile, può esserci un altro travaso di voti dalla Lega a Fratelli d’Italia. La differenza la faranno due fattori: la capacità del governo di gestire le prossime fasi della crisi, e la capacità di muovere gli indecisi e gli astenuti in campagna elettorale. In questo sono bravissimi sia Salvini sia Meloni, ma quest’ultima ha mantenuto agli occhi dell’opinione pubblica più coerenza rimanendo all’opposizione durante il governo gialloverde e potrebbe avere ancora qualche carta da giocarsi».
Allora lo scenario potrebbe cambiare ancora. Magari in autunno, con le regionali che potrebbero disegnare nuovi equilibri interni alla coalizione e di tutto il panorama politico italiano.