Non ci sarà molto da fare. L’estate 2020, come si è già capito da tempo, sarà quella delle restrizioni e delle rinunce. Anche perché, dopo il crollo dei viaggi, i tagli alle vacanze, gli aerei che restano a terra, si eclisserà anche uno dei protagonisti delle serate della bella stagione: il festival.
Categoria ampia – anzi, amplissima – che racchiude sotto la stessa etichetta realtà diverse e opposte. Si chiamano festival gli incontri di approfondimento culturale, le rassegne cinematografiche, gli spettacoli di danza, le serate di teatro, i concerti. Ma ci sono anche le feste di paese, le fiere, le processioni, i carnevali, fino alle più prosaiche sagre, popolari o meno, autentiche o meno.
«È una parola che contiene le tipologie più diverse», spiega Paola Dubini, professore associato alla Bocconi ed esperta di gestione dell’industria culturale. «E sono tanti, sì. Perché sono sempre stati tanti, anche se negli anni si sono trasformati in strumenti di politica territoriale, inglobando tutte le manifestazioni della zona. Per questo il festival funziona: ha un formato versatile e l’unico fattore comune, tra tutte le sue varianti è il fatto che si tratta di un evento temporaneo». Aspetto che si riverbera nel fatto che, per il 2020, si passa la mano.
Nel campo della musica, per esempio, è saltato il Lucca Summer Festival, che prometteva di portare in Toscana nientemeno che Paul McCartney. Stessa sorte (ma senza Beatles) per il Bologna Sonic Park, o per l’Home Venice Festival. Resistono il Pistoia Blues Around, insieme al No Borders Festival di Tarvisio. Anche Umbria Jazz recupera il recuperabile. In questi casi le disposizioni sono ferree: non si potrà stare in piedi, ma seduti. E distanziati, sempre con le mascherine (a seconda delle prescrizioni regionali).
Quest’anno faticano anche i festival di approfondimento culturale, anche se sui numeri non ci sono dati, visto «un monitoraggio completo della situazione non c’è ancora», spiega Guido Guerzoni, professore alla Bocconi e massimo esperto della materia.
«A maggio e a giugno la maggior parte ha scelto una formula blended», cioè «ha cercato di mantenere l’edizione, in parte spostandola sul digitale e limitando la partecipazione del pubblico».
Alcuni sono saltati, altri sono in affanno, «perché tutto dipende dalla situazione giorno per giorno», dall’evolversi delle regole decise dalle Regioni, dall’arrivo o meno di una seconda ondata o di un focolaio.
Esempio preso dal mucchio: la Fondazione Capalbio, dell’omonimo paese in provincia di Grosseto, di fronte alle incertezze del coronavirus ha dovuto ricucire il programma di eventi per l’estate, «in tempo record», visto «che fino a maggio non si sapeva ancora nulla», spiega la presidente Maria Concetta Monaci.
C’è comunque qualcosa: a partire dal concerto di Karima al Quartetto di Cremona, «reso possibile dal fatto che il Covid ha bloccato le tournée internazionali». Problemi ma anche opportunità, «soprattutto se si riesce a ripensare alla formula».
In quel caso le restrizioni hanno portato a soluzioni creative: cercare nuovi spazi (ma perché non era mai stato fatto prima?) e idee originali, come la mostra “Augmented Reality”: le opere d’arte sono esposte nella Galleria, ma si possono vedere con il telefono in realtà aumentata nelle strade della città.
Certo, come per i concerti, anche in questo caso ci saranno «mascherine, file separate per gli ingressi e per le uscite e almeno un metro di distanza obbligatorio tra le persone». È la regola.
Di fronte a questa varietà di idee e trovate prevale sempre e comunque «l’inserimento del digitale» nella manifestazione, torna a spiegare Guerzoni.
«Un surrogato che alla lunga stanca. Le persone vogliono vedere chi parla in carne e ossa. Per cui, se si tratta di riprese ben fatti e documenti ben scritti, allora possono funzionare». Magari andando anche oltre la semplice funzione di archivio storico delle manifestazioni, che «sarebbe comunque una novità», o meglio un’ulteriore accelerazione imposta dal 2020, visto che fino all’anno scorso «lo faceva solo il 5%».
Questa «è una fase transitoria per i festival», continua il professore. Rispetto al solito, «il pubblico sarà locale e la mobilità ridotta». Si pensa già al 2021.
Lo stesso discorso, del resto, riguarda l’ennesima categoria di “festival”, quella cioè che andrebbe catalogata sotto la parola “sagra”: secondo Alberto Lupini, direttore di Italia a Tavola e promotore del decalogo per distinguere quelle “tarocche” da quelle autentiche, «cioè che esaltano davvero le tradizioni del territorio», è difficile cogliere un dato generale.
Anche qui, «c’è chi di sicuro ha scelto di non organizzare niente, per senso di sicurezza e di opportunità, come le pro loco della provincia di Padova». Altre invece hanno preferito andare avanti, «in generale quelle con capacità organizzativa maggiore e con un giro commerciale più ampio».
Ognuno fa per sé, visto che le istituzioni sono state zitte «e non c’è nessun protocollo in merito».
Resta difficile immaginare rigide regole di distanziamento sociale «in tavolate lunghe, dove si susseguono le persone a mangiare». E anche la ricaduta sull’economia locale «va ponderata bene, dal momento che spesso fanno concorrenza ai ristoratori della zona», già provati dai mesi di lockdown.
Quello che è certo, «è che ce ne saranno di meno. Forse addirittura meno della metà». Non c’era da stupirsi: è l’estate 2020, quella delle rinunce e delle limitazioni. E non poteva fare troppe eccezioni.