Il micro-saggio è la forma letteraria appropriata per questa crisi che si protrae. E questo è perché, tra tutte le forme letterarie, è quella che si attaglia alla perfezione allo stato mentale del dormiveglia.
Un micro-saggio può sembrare una poesia, ma non lo è. Non mira all’intensità e alla concisione richieste perfino dalla poesia in prosa. E non si attiene nemmeno alle formalità e agli schemi del verso libero.
Una poesia può essere scritta solo in un triplo stato mentale: inconscio, conscio e ritmico. Ma un micro-saggio può fare a meno della parte conscia, e per i ritmi, vanno e vengono. Per cui un micro-saggio può essere scritto in una condizione di stupefazione.
Non deve avere nemmeno senso. Comincia e finisce con una rapidità che lascia indietro la logica. Un saggio di dimensioni normali costruisce una tesi su qualcosa, del tipo «Se A, allora B». Oppure racconta una storia: «A, e poi B». Ma in un micro-saggio non c’è tempo per B, per cui nessun bisogno di “allora”.
I pensieri non avanzano, scintillano. A volte lo fanno in un modo che sembra l’ultimo istante di coscienza della giornata, prima della discesa nel mondo dei sogni.
Oppure scintillano in un modo che richiama quell’istante che precede l’ansia, e che vale come veglia. Per cui, va bene. Non mi ero perso in ricordi d’amore? Ma non me lo rammento più, devo darmi una mossa, e ci sono cose da fare.
(Articolo pubblicato in inglese su Tablet)