Ogni lunedì Europea vi porta alla scoperta dei più originali scrittori di successo in Europa, ma poco conosciuti in Italia.
Dall’alto della sua collocazione geografica, lo scrittore e giornalista finlandese Kjell Westö abbraccia con uno sguardo tutto il continente europeo. Ne misura i pregi (molti) e i difetti (pochi, ma gravi).
Sente, da finnico, «molta affinità con i Paesi del nord». Ma anche «con quelli dell’Europa centrale» e, perché no, «quelli dell’area Mediterranea».
Un ambasciatore dell’europeismo, insomma: conosce svariate lingue del continente, ha raccontato nei suoi romanzi la Guerra civile finlandese e l’ascesa del nazismo.
L’ultimo, pubblicato in Italia da Iperborea, si intitola “La sciagura di chiamarsi Skrake”. È la storia di una famiglia eccentrica i cui talentuosi membri si lanciano in imprese inconsuete per trarne sempre un unico risultato: il fallimento. «Sarei molto deluso se anche l’Europa somigliasse a loro», scherza.
Del resto anche l’Unione ha talenti e sciagure. Inoltre, ha anche molti nemici e lui, da finlandese, lo sa bene: «Chiunque di noi, dal cittadino comune al Ministro degli Esteri, compreso il Presidente non può ignorare quello che succede in Russia».
Nulla di nuovo: «Era così durante l’era sovietica, lo è anche oggi durante l’era di Putin». Del resto «condividiamo con loro un confine di 300 chilometri, un aspetto che non cambia con il tempo e con la politica. Finora i governi che abbiamo avuto sono stati bravi, va detto, a gestire la questione. Ma è obbligatorio stare in guardia, ogni minuto. L’unica cosa che si può prevedere della Russia, sia come Paese che come società, è che sarà sempre imprevedibile».
A parte alcune piccole cose. Per esempio, sulla legge che permetterà a Putin di restare al potere quanto desidera, «sappiamo tutti come andrà a finire».
Poi, certo, ci sono i problemi interni. «Il progetto europeo si è dimostrato più tremolante e fragile di quanto sperassero i suoi sostenitori – io sono uno di loro, comunque. Amo l’Europa, amo l’idea di un’Europa sempre più unita e sono molto deluso dalla situazione attuale. Credo che abbiamo sottovalutato, anche troppo, i punti di divisione culturali e sociopolitici tra nazioni e regioni. C’è anche più egoismo nazionale di quanto dovrebbe. Lo si è visto questo inverno, nelle reazioni di vari Paesi di fronte all’Italia colpita dal coronavirus che aveva bisogo di aiuto. La verità è quanto si ha paura, si agisce in modo egoista. E in quel momento molti governi europei erano spaventati e hanno agito di conseguenza».
Insomma, un progetto pensato bene che a volte non va nel verso giusto. «Non per questo penso che si debba rinunciare. Anzi». Anche perché «non deve fare la fine della famiglia Skrake, benedetta dal talento ma afflitta dal fallimento e dalla sfortuna».
Poi «va ricordato che il fallimento è poco, se si parla di Europa. Da quanto esiste, ci sono stati meno conflitti e guerre, il numero più basso di sempre. E prima della pandemia, siamo riusciti eccome ad aprirci l’un con l’altro, per una certa misura. Tuttavia, da continente ricco, l’Europa ha le sue colpe per le relazioni economiche con Africa, Asia e Sud America. Non possiamo essere troppo eurocentrici e dimenticarlo».
Come non si può dimenticare che tra i nemici europei ce ne sono tanti interni. «I populisti: mettono a rischio molte cose, che io definirei buone, per esempio l’uguaglianza e la democrazia liberale».
Al momento «vedo una tendenza, pericolosa, a relativizzare o normalizzare il ruolo che giocano questi partiti oggi. Temo che manchi una comprensione reale di quanto siano pericolosi questi partiti».
Uno dei loro tratti più inquietanti è la vicinanza al fascismo, che quasi viene sdoganato. «Si somigliano. Colgo nel loro pensiero – e anche in alcune loro azioni – tante affinità con quello che pensavano e facevano nazisti e fascisti. Tra di loro ci sono, almeno nei margini, alcune persone che non hanno problemi a definirsi nazisti o fascisti». Vengono tollerati. A volte i capi ammiccano, a volte fingono di sgridarli. «Mi è difficile pensare che non sia un problema».
Insomma, populisti da dentro e russi (tra gli altri) da fuori. I nemici sono tanti, ma quale è il peggiore? «Difficile dirlo. Credo che, tutto sommato, la risposta giusta sia un’altra ancora. I veri nemici dell’Europa siamo noi europei stessi, almeno per il modo in cui ci siamo divisi oggi». Serve più unità, questa è la parola d’ordine.
In caso contrario, talenti o meno, la sciagura si avvicina. E non è un romanzo.