Mr. NoMark Rutte, l’uomo che governa i Paesi Bassi come un amministratore delegato

Sorridente, simpatico, discreto. Ma politicamente si comporta come se dovesse sempre dimostrare il beneficio economico delle sue azioni. In patria i sovranisti lo hanno già bollato come “disgrazia”, lui pensa già a una rielezione e a un mandato che lo aiuterebbe a definire la sua eredità politica

Afp

«Per Mark Rutte non c’è mai niente di personale. Anzi, gli italiani gli piacciono, ricorda spesso che l’ultima vacanza con la mamma, scomparsa da poco, è stata a Roma». In un’epoca di estenuante personalizzazione della politica, per capire le quattro giornate di Rutte al Consiglio europeo bisogna andare nella direzione opposta: svuotare il personaggio, invece di caricarlo.

Ci dà una mano Jarl van der Ploeg, corrispondente dall’Italia per Volksrant. «Rutte si vede come il Ceo di una grande azienda. Deve fare un lavoro, portare i risultati a casa. Non è uno da grandi discorsi o ideali, è più un manager che deve dimostrare il ritorno economico delle sue azioni. Mentre durante il lockdown Conte mandava messaggi enfatici agli italiani, Rutte diceva “queste sono le regole, questo si può fare, questo non si può fare, buonasera”. Però è un tipo sorridente, anche simpatico, non ha nemici, si ricorda il tuo nome di battesimo».

L’importante, insomma, è separare le relazioni dal business, e questo spiega il suo atteggiamento, a tratti esasperante, durante le trattative. La sua impostazione è difficile da catalogare, perché non ha la visione di Merkel e nemmeno la furia ideologica di Orbán, ma più la freddezza di un amministratore delegato che deve annunciare dei licenziamenti causati da una spiacevole ma necessaria ristrutturazione aziendale.

È stato ribattezzato «Mr. No, No, No». Per la sua ostinazione, ma anche per il video parecchio condiviso in Olanda di un netturbino che gli chiede di non dare soldi «a quei francesi e a quegli italiani», con lui che risponde: «Oh, no, no, no». Alla fine Rutte ha ceduto, come in fondo ha sempre saputo che avrebbe fatto.

La qualità che più comunemente gli viene riconosciuta è quella di essere un abile negoziatore che sa quando spingere e quando fermarsi, con un occhio al tavolo di Bruxelles e uno al messaggio da mandare ad Amsterdam. Rutte si comporta come un manager, ma è pur sempre un manager elettivo: a marzo si vota e ogni concessione a Bruxelles è benzina per la propaganda dei populisti Wilders e Baudet.

Accomodare la sua immagine alle esigenze del contesto è un altro dei suoi punti di forza: «Di recente ho visto girare su Twitter un video di Rutte sedicenne, era uguale a come è oggi, stesso atteggiamento, stesso modo di fare, stessa attenzione a come sarebbe stato percepito all’esterno. Non è un grande comunicatore, sicuramente non è empatico, non è emozionante, ma è un bravo controllore del messaggio che lancia con parole, foto, decisioni e azioni».

Le cronache lo dimostrano: è sicuramente persona di modi ottimi, ma c’è una certa insistenza con la quale si racconta di come faccia sempre la fila, paghi lui il suo caffè e non sia nemmeno andato a trovare la mamma morente durante il lockdown per rispettare le regole imposte a tutti. Questi dieci anni al potere sono stati per Rutte l’incarnazione del modo di dire e vivere olandese «Doe maar gewoon», «Sii normale». No drama, siamo olandesi.

«Siamo tutti professionisti, possiamo incassare un paio di cazzotti», ha detto Rutte ai giornalisti dopo la faticosa conclusione dei negoziati. «Sono felice di questo accordo, non vedo motivi di delusione». Il suo stile comunicativo è così, sobrio come la sua malconcia Saab, l’appartamento da scapolo a L’Aia o la bicicletta con la quale va spesso al lavoro.

Sa che i sovranisti di casa sua lo stanno già dipingendo come una disgrazia, ma la stampa moderata e gli elettori sono dalla sua parte. I sondaggi dicono che oggi i seggi in parlamento per il Vvd salirebbero dai 33 delle ultime elezioni a 44. «Sono cambiamenti che contano tanto, in una politica frammentaria come quella olandese, dove anche il minimo margine può fare la differenza per la formazione di una coalizione», spiega Catherine De Vries, docente di Scienze Politiche all’Università Bocconi. «Le risposte al suo negoziato sono state generalmente positive, soprattutto perché Rutte ha combattuto per l’Olanda e ha costretto i grandi Paesi a prendere in considerazione le esigenze di quelli piccoli».

Il punto sta anche qui. Per l’Olanda il Consiglio europeo appena concluso è stato un rito di iniziazione. Rutte è il secondo capo di governo europeo più longevo dopo Angela Merkel, ma la sua parabola di «euroscettico a L’Aia, europeista a Bruxelles» ha avuto un momento di svolta quando le conseguenze della Brexit hanno iniziato a farsi chiare. Gordon Darroch è un giornalista scozzese che lavora per Dutch News, è abituato a leggere attraverso le nuance dell’anti-europeismo.

«La Brexit ha avuto diversi effetti sulla politica europea olandese. Innanzitutto, ha tolto definitivamente dal campo la N-exit come opzione praticabile, perché ha mostrato in che razza di caos ci si sarebbe messi. Ma soprattutto col tempo ha spinto l’Olanda a prendere il ruolo che all’interno dei negoziati era del Regno Unito, ma in modo più costruttivo e senza commettere l’errore della Brexit».

Non potendosi nascondere dietro il Regno Unito per l’ostruzione ai piani di integrazione della Francia o della Germania, l’Olanda e Rutte hanno dovuto fare un passo avanti e così si sono scoperti leader di un’Europa diversa, il 10 per cento della popolazione che può negoziare alla pari con tutti gli altri. «È una cosa che agli olandesi, al di là del risultato, è piaciuta tantissimo, è la grande vittoria di Rutte», dice Gordon. L’orgoglio frugale.

È difficile decifrare come si posizioni Mark Rutte sullo spettro dell’europeismo. «Euroscettico non direi, forse più eurocritico. Una cosa è certa, mentre Macron e Merkel pensavano a salvare l’Europa, Rutte provava solo a salvare gli euro olandesi», spiega van der Ploeg. Come un manager, appunto.

Gli olandesi hanno apprezzato lo sforzo e le prospettive per marzo 2021 sono buone. Una vittoria metterebbe Rutte in una «prospettiva Merkel», cioè in condizione di iniziare a pensare alla sua legacy, all’eredità politica che andrebbe a lasciare, che al momento ancora si è vista poco. «Non so dire se lui si ponga il problema, è difficile essere nella sua testa. Sicuramente finora è stato un politico senza un set di ideali ai quali rispondere, è stato bravo a reagire alla sfide di questi anni, covid compreso, ma non c’è una visione di fondo sulla quale costruire un’eredità».

Ci sarà però un lascito politico che vada al di là di come ha reagito a crisi o epidemie? Per il corrispondente di Volksrant effettivamente c’è ed è anche piuttosto familiare a noi italiani: «Rutte ha reso l’Olanda un luogo ideale per fare business. Ha sfruttato la Brexit e ogni possibile leva fiscale, sempre per il bene dei conti dell’azienda Olanda».

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter