Siamo tutti Jessica SeinfeldSe ti ho bloccato su Twitter non è perché non so gestire il dissenso. È per sfuggire alla tua stupidità

Tra chi lo vive come come un trofeo (chissà perché) e chi lo trasforma in un dibattito giuridico, la giusta via è quella di considerare il block un modo per essere curatori della propria vita online. Mettendosi al riparo dalla cafonaggine

Valery HACHE / AFP

Quelli bravi li riconosci perché raccontano le cose prima che le cose accadano, e quindi la vita sui social somiglia a un Guccini del 1976 («nemmeno dentro al cesso possiedo un mio momento») e a uno Sciascia del 1966 (quel personaggio che non usciva di casa perché se andava in cerca della compagnia «di una persona intelligente, di una persona onesta, mi trovo ad affrontare, in media, il rischio di incontrare dodici ladri e sette imbecilli che stanno lì, pronti a comunicarmi le loro opinioni sull’umanità, sul governo, sull’amministrazione municipale, su Moravia»).

Perseguitati da opinioni inattrezzate su Moravia, si finisce per dar ragione a una gattara.

Jessica Sklar era appena tornata dalla luna di miele, quando in palestra conobbe Jerry Seinfeld. Lui faceva da nove anni la sitcom più famosa della storia della televisione americana, quando non esisteva la frammentazione da piattaforme, gli spettatori si misuravano in decine di milioni e i successi erano così enormi che, nei ventidue anni da quando è finita, Seinfeld non ha praticamente mai più lavorato, ed è ogni anno primo nella classifica dei comici più ricchi d’America.

Per dirla con parole sue: ha avuto l’ultimo biglietto per visitare Disneyland prima che chiudesse.

Lei era sposata da poche settimane, lui era reduce da una relazione con una diciassettenne (era attorno ai quaranta, non esisteva la cancel culture a metterlo fuori mercato per turpitudine morale, ma anche se ci fosse stata aveva ormai guadagnato abbastanza).

Si misero insieme, sono ancora sposati, hanno tre figli, lei cucina (come le mogli ricche d’una volta) e ogni tanto raccoglie le ricette in volume (come le mogli ricche d’oggi).

Ho pensato a Jessica ieri, quando m’è passato davanti il tweet d’un tizio che lamentava d’essere stato bloccato su Twitter da Scalfarotto e dalla Cirinnà, e si chiedeva se fosse accettabile che account istituzionali bloccassero un elettore.

Ci sono molte risposte possibili a questa domanda.

Una è che la giurisprudenza americana non lo considera accettabile e ha dato ragione a chi ha fatto causa a Trump per esserne stato bloccato su Twitter (pensate alla noia che soffre una persona che un giorno pur di movimentarsi la vita fa causa per il proprio diritto a seguire Trump su Twitter: altro che Moravia).

Un’altra è che il lamento del block è una lagna sempre, ma almeno il signore in questione ci ha risparmiato la schermata trionfale; in genere il bloccato dal politico posta la schermata «sei stato bloccato da Tizio» come segno di non si sa bene che: dialettica ficcante, piglio scomodo, curriculum politico (non mi meraviglierei se in qualche prossima campagna elettorale ci si accreditasse come bloccati su Twitter da qualcuno del partito opposto a quello per cui ci si candida).

Come ha scritto giorni fa la giornalista inglese Flora Gill, «non capisco perché mostrino con tanto orgoglio d’essere stati bloccati da qualcuno: non mi fa pensare che abbiate avuto la meglio in una gara di sagacia, mi fa pensare che vi siate comportati da coglioni».

(È una buona stima per approssimazione, io blocco per un elenco piuttosto preciso di ragioni la prima delle quali è «ti sei preso confidenze che nessuno t’ha dato», ma «coglione» è una sintesi accettabile).

La risposta di Jessica Seinfeld, la risposta che non sapeva di stare dando al signore che chiedeva se fosse accettabile, è quella più convincente.

La settimana scorsa Jessica ha fatto una torta. L’ha messa su Instagram. C’era la torta (cioè: quel che ne avanzava) in primo piano, il marito sullo sfondo, e in mezzo, sulla cucina a isola alla quale sedeva Jerry e sulla quale poggiava l’avanzo di torta, un gatto che stava per affondare una zampata nella torta.

La didascalia partiva parlando di quanto fosse leggera la torta (vegana) e come Jerry ne avesse mangiate tre fette senza appesantirsi (guadagni fantastiliardi e finisci a mangiare torte vegane: la sinossi del romanzo definitivo sull’istituto matrimoniale); proseguiva dicendo: sì, questa casa è anche dei gatti, e bloccherò chiunque non sia d’accordo; poi concludeva con quella che è la mia nuova definizione preferita del tenutario d’un account social: curatore.

Lei considera il blocco sui social parte delle sua mansioni di curatrice. Ne hanno una le mostre, possono non averne uno gli infernali posti in cui passiamo le nostre giornate?

Jessica è la curatrice della propria esperienza on line, e in quanto tale blocca le meno gattare di lei.

Io sono la curatrice dei miei social, e in quanto tale blocco un fracco di gente: chi ha un qualunque tono che non tollererei a cena, e spesso anche un tono che concederei a un commensale ma non c’è ragione di consentirlo a un estraneo; chi usa parole di cui non conosce il significato; chi mi citofona troppo spesso; chi meno capisce e più vuole discutere; eccetera.

Nei commenti al post di Jessica Seinfeld su Instagram c’è chi le spiega l’importanza del dissenso, e ho alzato gli occhi al cielo così tanto che quasi mi si staccavano.

Possibile che l’inattrezzato dialettico di turno, in qualunque parte del mondo si trovi e a chiunque si rivolga, è comunque convinto che se lo blocchi sia perché soffri il dissenso e si senta perciò scomodo?

Possibile non sappia che, per incontrare una persona intelligente, una persona onesta, in grado di dissentire su Moravia senza coprirsi di ridicolo e mostrare tutti i limiti della propria conversazione, Jessica e io saremmo disposte a pagare? Coi soldi di Jerry, naturalmente.