Pezo el tacon del busoLo scandalo della Corte d’Appello di Venezia è la prova della deriva autoritaria della magistratura

Il presidente dell’Unione delle Camere Penali del Veneto sul caso delle sentenze copia-incolla: «La verità è che siamo di fronte a uno strapotere dei magistrati, che in maniera impunita pretendono di fare tutto ciò che vogliono»

«Pezo el tacon del buxo». Un detto veneto – la toppa è peggio del buco, tradotto in italiano – che calza a pennello allo scandalo delle sentenze copia-incolla che sta inquinando gli uffici della Corte d’appello di Venezia. Le giustificazioni dei vertici togati veneti, in merito al giro di sentenze pre-compilate e pronto all‘uso con tanto di condanna e indicazione dei termini di deposito delle motivazioni inviate alle parti prima ancora dell’udienza, hanno infatti aggravato il quadro generale.

«Effettivamente non hanno fatto che ribadire che si trattavano di appunti» spiega a Linkiesta Federico Vianelli, presidente dell’Unione delle Camere Penali del Veneto. «Perché la cosa più grave è che a margine di tutto non ci sia stata una rettifica, con scuse e ammissioni di colpe. Al contrario, c’è chi rivendica sui giornali la correttezza del metodo, in quanto capace di ottimizzare i tempi e aumentare l’efficienza degli uffici».

Ad oggi, ad aver rivendicato paternità e metodo delle motivazioni pre-compilate è stato il presidente di sezione Carlo Citterio. Il quale tratteggia i caratteri di un metodo «che non si sottrarrebbero al ripensamento collegiale, ma contribuirebbero, se condivise, ad implementare l’efficienza produttiva della Corte».

Un fatto di «enorme gravità», ha denunciato il direttivo della Camera penale veneziana in una lettera inviata a tutti gli avvocati per informarli di quanto accaduto e auspicare che venga restituita al più presto «chiarezza ai rapporti processuali ed al giudizio d’appello nella nostra Corte». Ma anche un monito che scuote le fondamenta della magistratura veneta e potrebbe portare alla luce un protocollo assodato. Come le prove fin qui raccolte portano a pensare: le motivazioni incriminate (tutte di rigetto), erano infatti ricavate attraverso quello che appare essere il copia e incolla di altra sentenza redatta nell’ottobre del 2016.

«Questo punto fa emerge un ulteriore allarme: le sentenze che per il momento sono nell’occhio del ciclone sono tutte di rigetto, mai di accoglimento di un appello. In altre parole, non è masi successo che un avvocato sia riuscito a far cambiare idea a un giudice» continua Vianelli.

Il fatto che le sentenze emerse non registrino una “vittoria” da parte delle difese, alimenta il sospetto che il modello adottato da giudici e magistrati non abbia come fine quello di ottimizzare i tempi, ma piuttosto lo scavalcamento del sistema giuridico legittimo.

«Sono provvedimenti contra legem e da parte nostra sono partite segnalazioni al nostro presidente nazionale Gian Domenico Caiazza, alla presidenza della corte d’appello, al procuratore generale della corte d’appello e al ministero della Giustizia. Ad oggi abbiamo ricevuto solo la risposta del nostro presidente Caiazza e quella della presidente della Corte d’appello, Ines Marin, che decisamente non ci ha convinto» aggiunge Vianelli.

Una replica, quella di Ines Marini, che arriva anche i forma pubblica. «Nessuna sentenza già scritta, ma una semplice bozza di ipotesi di decisione, predisposta dal giudice relatore sulla base di uno schema predisposto dal Csm e come consentito dalla Cassazione», spiega la presidente della Corte d’appello lagunare.

Ma non è così. E come ci confermano fonti interne alla sezione lagunare, quello che traspare nelle aule venete è il principio «per cui i magistrati sono liberi di fare ciò che credono più giusto». Un esercizio che, nella forma della sentenza pre-compilata, lo stesso presidente di sezione Carlo Citterio ha invitato a fare ai giudici della Corte d’appello di Venezia.

«La questione non riguarda il singolo, ma il sistema. Se fossimo noi gli imputati, ci farebbe piacere sapere che i motivi con cui si rigettano l’appello siano stati già scritti e facciano fede a promesse del tipo “magari cambieremo idea in camera di consiglio”? Credo di no» assicura il presidente dell’Unione delle Camere Penali del Veneto.

Accantonata l’idea del risparmio di energie, tempo e denaro, il quadro documentale rischia così di legittimare l’idea che dietro a questo caso ci sia una sorta di prassi di «precostituzione del giudizio non solo rispetto alla camera di consiglio, ma anche alla discussione delle parti». Basata su pressioni interne che, come nel caso dell’udienza incriminata avvenuta di fronte alla prima sezione penale della Corte presieduta dalla trevigiana Luisa Napolitano (già componente del Consiglio superiore della magistratura, fino al 2010), minano alla serenità di giudizio nella Corte d’appello di Venezia e all’imparzialità del giudice stesso.

Perché siamo arrivati a tanto? «La verità è che siamo di fronte a una deriva autoritaria e uno strapotere della magistratura, che in maniera impunita pretende di fare tutto ciò che vuole» conclude Vianelli.