Si complica il pasticciaccio brutto di Autostrade e non per colpa dei Benetton, ma di quel mercato che l’ineffabile ministro degli Esteri Luigi Di Maio è convinto di avere beffato. Sono i tanti soci esteri di Atlantia e Autostrade per l’Italia (Aspi) a bloccare l’esproprio della rete autostradale auspicato dal trio Conte-Di Maio-De Micheli il 14 luglio scorso. Il punto del contendere è semplice: secondo Atlantia, il valore di Autostrade deve essere deciso dal mercato, non da bizantini aumenti di capitale dettati dal governo. Mentre i Benetton se ne stanno defilati, i soci esteri di Atlantia e Aspi (Allianz, HSBC, fondo Glc di Singapore, TCI) si sono imposti e ora propongono al governo due strade per determinare il valore di Autostrade: una vendita attraverso un processo competitivo internazionale, con advisor neutrale, o una scissione fino all’88 per cento di Aspi mediante la creazione di un veicolo beneficiario da quotare in Borsa. Procedimenti limpidi, logici, inattaccabili sotto il profilo giuridico dinnanzi a qualsiasi Corte.
Il non piccolo problema è che se il valore di Autostrade viene determinato dal mercato e non dalle veline di Rocco Casalino, l’operazione porterebbe nelle tasche dei Benetton e dei soci stranieri non i 3-4 miliardi ipotizzati dal governo, ma molti miliardi in più. Miliardi che dovrebbero essere pagati da Cassa Depositi e Prestiti, che è del Tesoro, quindi dagli italiani.
Un capolavoro!
Ripetiamo: la pretesa di Atlantia di far valutare il valore di Autostrade dal mercato è inattaccabile e vincerebbe davanti a qualsiasi tribunale italiano o comunitario. Ma il problema drammatico è che la posizione del governo prescinde, anzi è opposta a questo dato di fatto. La sintesi della posizione dell’esecutivo giallorosso è stata enunciata da Di Maio la notte del 14 luglio: «Abbiamo sottratto un bene pubblico alla logica del mercato». È il bis di «abbiamo sconfitto la povertà», la summa del Di Maio-pensiero. Non populismo sociale, come si illude l’ottimo Goffredo Bettini, ma totale inadeguatezza.
Solo un sprovveduto, pericoloso per sé e per gli altri, può pensare che un sistema colossale come quello delle autostrade italiane possa essere gestito, comprato o venduto fuori dalle regole del mercato. Ma così è.
In questo modo, la caparbia volontà dei 5 Stelle e di Conte – i «keynesiani de noantri», secondo la definizione di Angelo Panebianco – di farla pagare ai Benetton prima del giudizio della magistratura sul crollo del ponte Morandi avrà un esito scontato: riempirà di miliardi, miliardi nostri, degli italiani, le tasche dei Benetton e dei loro soci.