L’alchimia della credibilitàLa fiducia è il collante che tiene unite le comunità, chi governa non dovrebbe sprecarla

A differenza della fede, chi vuole dimostrarsi affidabile deve seguire un percorso lungo e complesso. L’attuale esecutivo ha costruito consenso con il credito guadagnato durante la prima fase dell’epidemia, ricavandone un profondo e illusorio convincimento circa la propria permanenza nel presente e nel futuro. Ma potrebbe sbagliarsi

La fiducia è il collante che tiene unita la comunità umana sin dai primordi, o può scomporla tragicamente. Già nelle prime esperienze di convivenza sociale fu necessario vincere la diffidenza e la paura verso l’altro, spesso nemico nella disputa per le prede o per i territori di caccia, percependo la necessità di affrontare il rischio, in vista dei vantaggi che il passaggio da un’individualità selvaggia ad una dimensione aggregativa avrebbe potuto comportare.

A differenza della fede, che trascende la realtà e confida in concetti astratti, non richiedendo riscontri probanti degli assunti che proclama in quanto rivelati e non negoziabili, la fiducia è un processo molto complesso per quanti la ricercano e soggetta a tanti pericoli per coloro che devono concederla.

Esiste una fiducia biologica, basata in larga misura sulla dipendenza per il nutrimento, che fonda il legame tra la femmina di ogni specie animale e i propri piccoli, sin dalla nascita. Il fenomeno a lungo studiato dall’etologo Konrad Lorenz ed esposto nell’opera nota come “L’anello di Re Salomone”, pubblicata nel 1949 è ricompreso nella più ampia definizione di imprinting ed è ormai scientificamente accertato e universalmente accettato.

Come successivamente sperimentato e approfondito dagli psicologi del comportamento e dagli antropologi, esso consiste nel seguire istintivamente e sino al raggiungimento dell’autonomia il soggetto che il nuovo nato vede per primo e che gli assicura il nutrimento, la protezione e l’interazione con l’ambiente. Non si tratta di un sentimento ma di un istinto necessario alla sopravvivenza.

Di tutt’altra natura sono la fiducia sociale e l’ancora più complessa fiducia politica, in cui entrano in gioco anche elementi di piena consapevolezza. Diamo fiducia perché ci aspettiamo qualcosa di buono da qualcun altro, ma non ne siamo certi, tuttavia le cose che sappiamo, il carico cognitivo e quelle che sentiamo, il carico emotivo, sono qualcosa di più di una mera speranza, quindi solo dopo aver fatto una sintetica ricognizione dei costi e dei benefici futuri e abbandonando le esitazioni, ci inoltriamo nel rapporto fiduciario.

Il clima di profonda insicurezza generato dalla pandemia e dagli effetti economici e sociali che esso sta comportando, è una condizione ideale per esaminare il tema, individuarne i rischi, contenerne gli effetti che, anche sul piano politico e istituzionale, possono essere devastanti.

Oggi la fiducia è considerata la risorsa più preziosa in ogni campo a motivo del fatto che nelle società evolute la delega a qualcuno che operi a tutela degli interessi collettivi è in larga misura volontaria, discrezionale e soggetta a oscillazioni di ogni genere. Anche nelle organizzazioni più gerarchiche o autoritarie, il tasso di realizzazione dei risultati è funzione del livello di fiducia che intercorre tra il vertice e la base e viceversa, non potendo essere in alcun modo assoggettata al controllo l’intera gamma delle variabili del comportamento umano.

La sociologia suole distinguere all’interno di questo sentimento morale che permea l’ordine sociale almeno tre tipi di fiducia: la fiducia sistemica o istituzionale, ossia quella che gli attori sociali ripongono verso l’organizzazione naturale e sociale nel suo insieme; la fiducia personale o interpersonale, quella che gli attori rivolgono agli altri attori sociali; l’autoreferenza o fiducia in sé stessi.

La fiducia sistemica è stata analizzata dai fondatori della sociologia Max Weber ed Émile Durkheim anche se non in maniera nitida come dai successivi scienziati sociali. Come nota Antonio Mutti nell’opera “Capitale sociale e sviluppo – La fiducia come risorsa”, Il Mulino, Bologna, 1997: «Si tratta (…) di una presenza confusa con quella di legittimità, consenso, cooperazione, solidarietà. Il concetto di fiducia interseca indubbiamente tutte queste dimensioni, ma non si confonde con esse; ha diritto, perciò, a uno statuto specifico, come ben traspare dalle brevi ma dense note di Georg Simmel, l’unico grande classico del pensiero sociale che ha trattato la fiducia come categoria specifica d’analisi».

E ancor prima dei padri fondatori della sociologia, l’idea che i soggetti stipulino un contratto sociale tra di loro era a fondamento delle teorie contrattualistiche del giusnaturalismo.

La fiducia interpersonale, sempre secondo Antonio Mutti, viene allora prioritariamente definita come «l’aspettativa che Alter non manipolerà la comunicazione o, più specificamente, che fornirà una rappresentazione autentica, non parziale né mendace, del proprio comportamento di ruolo e della propria identità. L’aspettativa di Ego concerne cioè la sincerità e credibilità di Alter, intese come trasparenza e astensione dalla menzogna, dalla frode e dall’inganno».

L’autostima o fiducia in se stessi, infine, deriva da elementi cognitivi ovvero dal bagaglio di conoscenze di una persona, la conoscenza di sé e di situazioni che vengono vissute dal soggetto; elementi affettivi che vanno ad influenzare la nostra sensibilità nel provare e ricevere sentimenti, che possono essere stabili, chiari e liberanti; elementi sociali che condizionano l’appartenenza a qualche gruppo e la possibilità di avere un’influenza sul medesimo e di ricevere approvazione o meno dai componenti.

Si tratta di concetti abbastanza noti, se non addirittura basici nella formazione universitaria e manageriale, rispetto ai quali tuttavia, lo sviluppo degli studi compiuti dalle neuroscienze sta aprendo nuovi e più interessanti orizzonti che il mondo della comunicazione segue con grande attenzione, pur nell’eterogenesi dei fini che sconfina nella disinformazione attraverso i social e nell’ormai dilagante fenomeno della produzione di fake news.

Nel saggio “Not so different after all: across-discipline view of trust”, pubblicato in “Academy of management Review”, vol. 23, 1998, gli accademici Denise M. Rousseau (Carnegie Mellon) Sim Sitkin (Duke) Ronald S. Burt (Chicago) e Colin Farrell Camerer (Pasadena) descrivono le differenti forme di fiducia secondo quattro tipologie.

La fiducia basata sul deterrente (Deterrence-based trust): un agente crede che l’altro si comporterà in maniera affidabile perché le sanzioni che riceverebbe nel caso in cui tradisse la fiducia sono più costose di eventuali benefici opportunistici. La questione che rimane aperta riguardo a questo tipo di fiducia è il rapporto con il controllo:alcuni sostengono infatti che la fiducia basata sul deterrente non possa chiamarsi propriamente fiducia, anche se favorisce la cooperazione.

Altri fattori, ad esempio, la coercizione, possono infatti incentivare un comportamento cooperativo, ma spesso più che forme di fiducia sono forme di controllo. In realtà, il rapporto tra fiducia e controllo è molto complesso.

La fiducia basata sul calcolo (calculus-based trust): si fonda su una scelta razionale, tipica degli scambi economici. Il trustor ha la percezione che il trustee intenda compiere un’azione vantaggiosa per lui.

Questa percezione deriva sia dalla fiducia basata sul deterrente, ma anche e soprattutto dalle informazioni sulle intenzioni e sulla competenza dell’altro, ottenute tramite reputazione, ossia fidandosi dei racconti di altri sul trustee o tramite certificazione.

Pare che all’interno di questo tipo di fiducia, gli autori non contemplino l’esperienza diretta, tipica invece della terza forma. Le parti si fidano, ma dietro verifica. Il concetto di verifica non è purtroppo approfondito: da un lato, è sicuramente precedente alla decisione di fidarsi, nel senso che per fidarsi sono necessarie alcune condizioni:informazioni sull’affidabilità del trustee dall’altro, potrebbe anche essere con verifica “postdecisione” ossia controllo dell’operato del trustee una volta che il compito gli sia già stato affidato.

La fiducia relazionale (relational trust): deriva dalle interazioni ripetute. La reputazione è costruita dall’esperienza diretta. Non solo, secondo gli autori, in questo caso interviene anche l’emozione, poiché le interazioni frequenti e a lungo termine formano un attaccamento basato sulla preoccupazione e la cura interpersonale.

Essa può anche superare eventuali violazioni, a differenza della fiducia basata sul calcolo, che ne sarebbe invece penalizzata fino all’interruzione di ogni relazione. La forma più elevata di questa fiducia, che loro chiamano “affettiva”, è la fiducia basata sull’identità, definizione mutuata dal prestigioso studio di consulenza manageriale statunitense Cameron MacAllister Group, di Orinda, California.

La fiducia basata sull’istituzione (institution-based trust) è la fiducia basata sull’esistenza di sistemi legali per proteggere dall’assunzione di rischio insita nella decisione fiduciaria. Così come per la deterrence-based trust, il problema sollevato è: si tratta di una forma di fiducia o di una forma di controllo?

Per tutti coloro che hanno studiato il tema, resta comunque impregiudicato il concetto che la fiducia poggi su tre dimensioni declinabili e integrabili con pari intensità: il comportamento (behaviour), la competenza (competence), la benevolenza in senso lato (goodwill) testimoniate concretamente dal profilo di coloro che aspirano ad ottenerla.

Un’utile e sintetica metodologia ad excludendum, secondo l’espressione coniata negli anni settanta dal giurista e politico Leopoldo Elia, da tenere a mente quando sarà il momento di scegliere da chi e come si vuole essere governati, ma valida frattanto per valutare chi già oggi esercita il potere, sia esso legislativo, esecutivo o giudiziario.

Nella prima fase dell’epidemia in Italia la fiducia è stata massiccia perché richiesta nella forma più semplice e meno discrezionale: il divieto totale della circolazione sociale, corredato da un impianto sanzionatorio fortemente centralizzato e da controlli severi. Un ruolo determinante è stato giocato dai media che hanno veicolato le immagini drammatiche relative ai decessi ed al livello di massima abnegazione del personale sanitario.

Su questa fiducia il presidente del Consiglio ha costruito un facile consenso, ricavandone il profondo e illusorio convincimento circa la propria permanenza nel presente e nel futuro.

Affiancando la propria immagine a quella di grandi figure istituzionali come il Capo dello Stato o spirituali come il Pontefice della Chiesa Cattolica, ha commesso il grave errore di non comprendere come la fiducia verso quest’ultimi fosse di natura molto diversa da quella nei propri confronti. Ieratiche le prime (dal greco ιερός, sacro) con appello a fedi laiche o religiose di altissimo livello, gerarchica la seconda, in quanto attinente alla struttura e alle funzioni di governo e quindi connessa alla responsabilità di conseguire risultati efficaci e di sottoporsi alle valutazioni del Parlamento.

La proclamazione dello stato di emergenza nazionale e la conseguente produzione a getto continuo di Decreti del presidente del Coniglio dei ministri (dpcm) in ogni direzione gli hanno consentito di sottrarsi ai meccanismi della fiducia, beneficiando degli effetti tipici dell’esercizio del controllo totale.

Archiviata – almeno per il momento – quella fase per le note ragioni economiche e passati a una forma meno semplificata del concetto di fiducia, il presidente del Consiglio, cui forse non faranno difetto gli studi giuridici ma che per quelli comunicativi e comportamentali, si affida all’ingegner Rocco Casalino, sta incontrando la sostanza della questione che si compone di due semplici constatazioni: la prima è che consenso e fiducia sono due concetti completamente diversi; la seconda risiede nel fatto che ottenere comportamenti liberi e al contempo responsabili da parte della collettività esige un quoziente di fiducia nei rappresentanti delle Istituzioni che, già scarso nel sentire nazionale, si è ulteriormente degradato a motivo delle molte potestà locali spesso esondate rispetto all’alveo del dettato costituzionale, portatrici di culture di governo sovente divergenti e rispondenti a esigenze politiche ed elettorali diversissime sotto molti profili.

Una frammentazione che non ha eguali neppure nei disastri sanitari in corso in Cina, Russia, Brasile e negli Stati Uniti, dove, almeno, si può individuare, a prescindere dalla responsabilità di veri Governatori, un unico responsabile principale e riflettere, se consentito e in modo conseguente, adoperandosi per le possibili alternative.

Nella generale crisi di credibilità, anziché costruire fiducia si punta a generare consenso attraverso aperture e chiusure a comando, zone interdette dai mille colori, provvidenze in ordine sparso, contributi contingenti e immaginifiche soluzioni a debito dei problemi strutturali del Paese che si manifesteranno ancor di più in autunno con conseguenze per la tenuta democratica. E apriranno la strada ad ulteriori semplificazioni, ritardando ulteriormente la crescita morale della nazione e rendendo sempre più difficile la costruzione di una reputazione accettabile da parte di molti partner europei.

Non va dimenticato, infatti, che essi hanno ancora un consistente, seppur meno diretto, potere di interdizione sulla concessione di quegli aiuti che, attraverso gli scostamenti bilancio, in realtà l’Italia sta già spendendo, pur senza uno straccio di progetto circa riforme strutturali e durature. Senza ritegno e senza pudore, riesumando persino il mito del tunnel sommerso sotto le acque dello Stretto di Messina, sperando in un barocco effetto “meraviglia” da cui gli italiani si sono fatti spesso abbacinare.

Archimede, a cui si vorrebbe intitolare l’opera in nome del principio del galleggiamento (metafora molto attinente alla condizione del Governo in carica), non esiterebbe a rivolgere su di essi gli specchi ustori tanto temuti dai nemici di Siracusa.

Dopo la conquista della città nel 212 a.C. fu trafitto da un soldato romano, come narra Plutarco ne “La Vita di Marcello”: «Ad un tratto entrò nella stanza un soldato romano che gli ordinò di andare con lui da Marcello. Archimede rispose che sarebbe andato dopo aver risolto il problema e messa in ordine la dimostrazione. Il soldato si adirò, sguainò la spada e lo uccise».

Al Console Marcello, addolorato, non restò altro che portare con sé a Roma il Planetario del genio, poi andato perduto, salvo non comprenderne mai l’uso. A noi, invece, dovrebbe rimanere la lezione di come l’arroganza e l’ignoranza possano facilmente uccidere la razionalità di cui la vera fiducia quotidianamente richiede di nutrirsi.

L’ombra del “cigno nero” vaticinato e forse auspicato da economisti come Claudio Bagnai, Alberto Borghi e l’ineffabile Antonio Maria Rinaldi, sotto l’egida del ben più illustre professor Paolo Savona e la sotterranea, ma non troppo, permanenza della Dottrina antieuropea di Grillo & Casaleggio che, nonostante gli ammiccamenti ambigui a Strasburgo, non è mai mutata, diventa sempre più incombente.

Detto in parole inequivocabili, prenderebbe consistenza il disegno non di abbandonare l’Unione, cui larga parte degli italiani crede ancora e che non accetterebbe, ma di farsene cacciare recitando, in una riedizione del coro giallo e nero nuovamente riunito (di cui ho già scritto su queste pagine il 2 luglio), il ruolo di vittime incolpevoli.

In acque tanto agitate il Partito democratico di Nicola Zingaretti, anziché utilizzare il proprio ruolo determinante per la tenuta del Governo, chiedendo che ben altra tempra ne regga il timone, preferisce recitare il ruolo del Naucrates Ductor, unico pesce appartenete alla specie Carangidae e più noto come remora o pesce pilota che accompagna in modo simbiotico ogni squalo che si rispetti.

Nuota nella bocca del predatore per nutrirsi dei residui di cibo rimasti tra i denti, dei parassiti e anche degli escrementi, fornendo in cambio un ruolo igienico e sentendosi perciò utile e indispensabile, se non addirittura egemone sulla creatura di cui invece è servo. Lo squalo non si sognerebbe mai di divorarlo ma non è certo di fiducia che tale comportamento risplende, quanto di ciò che Woody Allen, con irraggiungibile ironia ebraica, ha affermato: «Il leone e il vitello giaceranno insieme. Ma il vitello non dormirà molto».

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter