Film CapitaliIl mio grosso e grasso cinema greco tra le strade di Atene

La città ellenica ha ospitato tanti film di produzioni straniere: dalle commedie stereotipate hollywoodiane ai grandi thriller di azione come il capolavoro francese “Gli scassinatori” con uno straordinario Jean-Paul Belmondo e la colonna sonora di Ennio Morricone

Fotogramma

Dal mare Egeo spunta la bella Phaedra. Attraverso le ciocche di capelli cogliamo il volto di Sophia Loren. Non è mitologia, ma cinema al largo delle isole greche. Un’inquadratura che anticipa di cinque anni la venere Ursula Andress del primo James Bond ci introduce a “Il ragazzo sul delfino”. Per l’attrice napoletana è la seconda interpretazione in lingua inglese, ma anche la prima (e ultima) con intermezzo in greco. What is this thing they call love è la canzone che canta in lingua. Eppure, a inizio film, il compagno l’aveva rimproverata: «parli solo di soldi e lavoro, di amore mai!». Ovviamente è un americano, un archeologo idealista, a risvegliarla dal torpore. Lo conosce sull’acropoli, dove lei, selvaggia e spettinata, si unisce alle cariatidi. Ad Atene arriva per cercare soldi. Sul fondo del mare al largo di casa sua ha scoperto una statua di immenso valore e il giusto acquirente potrebbe cambiarle la vita. La città è in questo piccolo cult solo quella antica. L’imponente Cinemascope, all’epoca vera avanguardia, cattura con singole inquadrature una coltre di templi e rovine. Nell’anno delle riprese, 1957, la rocca non era ancora diventata patrimonio dell’Unesco. 

Uno sguardo sulla modernità, così lontana da Phaedra, appare nel locale ai piedi del Partenone. Qui la Loren si guarda attorno, scoprendo donne impellicciate che alzano il mignolo assieme al bicchiere. Tenta di emularle, ma non è il suo mondo. La differenza tra la Grecia di Atene e la realtà isolana domina un film di grandi sentimenti, su cui prevale infine quello patriottico. Sono i greci, felici che nessuno abbia trafugato l’ultima scoperta archeologica, a innalzare un grido di gioia. Atene non è però quel che Casablanca è per il film con Bogart. Non mancano gli intrecci internazionali e gli americani eroi, ma a vincere (qui sì, grazie agli USA) è un’idea di Grecia aggrappata alla sua storia. 

I cercatori di tesori sono da sempre protagonisti di Atene. Ne “Gli scassinatori” (1971) di Henri Verneuil seguiamo Jean-Paul Belmondo in una rapina nel cuore della città. Col favore della notte una banda di criminali semina la polizia e ruba una preziosa collezione di smeraldi. Beffatto dal leader del gruppo, interpretato con slancio da un Belmondo praticamente indistruttibile, Il commissario Zacharia non si arrende e intercettato il bottino propone uno scambio al porto di Atene. La scena, assente nell’edizione italiana, avvolge la capitale in un’atmosfera noir. È l’inseguimento in macchina, poi riferimento di molto cinema d’azione, a sfumare le vie di Atene nel rombo dei motori. A questi si aggiunge Ennio Morricone, avvincente e folkloristico in una colonna sonora che attraversa gli edifici assieme a Belmondo. 

Per ritrovare un’Atene altrettanto coinvolgente bisognerà attendere l’ultimo Jason Bourne, con Matt Damon che corre tra i manifestanti di piazza Syntagma. La scena, che apre il film, richiama i movimenti di protesta che dall’inizio della crisi economica hanno occupato le strade. Ma per quanto credibile, per colori e monumenti, la capitale sfondo dell’action movie è in realtà una Tenerife prontamente camuffata. Da tempo Hollywood ignora Atene.

Per film come “Hercules”, “Immortals” e “300”, la capitale greca è stata ricostruita a Budapest o Varsavia, dove leggi favorevoli per le produzioni straniere spostano gli studios lontani da Atene. Evan Spiliotopulus, sceneggiatore di “Hercules”, si è detto dispiaciuto per l’assenza della capitale sui grandi schermi internazionali. La Grecia, ha dichiarato al greekreporter, “non rende le cose facili per Hollywood”. Non offrono agevolazioni e finché la situazione non cambierà, Atene continuerà a essere uno schermo verde in uno studios ungherese.

Un certo orgoglio per il passato e la tradizione permane nel cinema americano, quello stereotipato anche quando scritto da greci. In “Il mio grosso grasso matrimonio greco”, per lungo tempo commedia con il maggior incasso della storia americana, il padre di Toula, interpretata dalla sceneggiatrice di origine greche Nia Vardalos, tormenta i vicini di casa sfidandoli a scovare una parola senza origine nella culla della civiltà.

Anche nei casi più estremi («Kimono») vince lui, pur con qualche forzatura. Persino casa loro si rifà al Partenone, mentre la famiglia ricorda alla povera Toula i tre doveri della donna: «sposare un greco, fare figli greci e cucinare per tutti». Il ristorante di famiglia, prontamente dedicato a “Zorba il greco”, forse il film greco più famoso di sempre, riassume una tradizione. Quella di una «cucina politica, fatta da chi ha lasciato la cena in sospeso» ci dice Fanis Iakovidis (Georges Corraface), protagonista e narratore di un film che cerca nell’aforisma continuo il senso di un paese. È un “Tocco di zenzero”, traduzione sciagurata di “Politiki kouzina”, dove cibo, società e storia si incontrano nella lingua greca. 

Inizia sulla riva orientale del Bosforo, dove Fanis impara le spezie dal vecchio nonno. La passione per la cucina lo porta a diventare astronomo. È il greco a unire i puntini per noi, perché «la parola gastronomia contiene astronomia». Il cibo, e in particolare gli aromi, ci invitano a costruire un ponte da Istanbul ad Atene, mentre fuori da tavola imperversa l’ennesimo scontro. La storia di Fanis è infatti quella di un deportato, obbligato ad abbandonare la Turchia e tornare in Grecia. Atene diventa la nuova casa, dove la cucina può richiamare ogni luogo. Geografia gastronomica, i luoghi diventano sapori. «A Delfi ci sono le rose, sull’acropoli c’è l’origano», ogni città si incontra nel piatto, dove a volte «le spezie sbagliate concedono l’effetto voluto»

L’Atene moderna può però essere frustrante. A raccontarcelo è ancora una volta Nia Vardalos, che con “My ruins” – in italiano rititolato “le mie grosse grasse vacanze greche” per richiamare il successo precedente – si immagina un’insegnante di greco americana chiamata nella capitale da una grande università. La crisi, però, colpisce anche lei e i suoi sogni vengono ripiegati in un cassetto. Per sopravvivere lavora da guida turistica al servizio di gruppi scalmanati e incapaci di cogliere le bellezze circostanti. La commedia è retta dai luoghi comuni (“gli australiani alticci”; “i canadesi educati”), ma nella sua semplicità mostra Atene negli occhi di un turismo misero. Certamente opposto alla scoperta dei luoghi per mano di sapori, aromi e panorami. Nel cinema classico un’alternativa: un turismo in cinemascope. Dai paesaggi colti in un solo sguardo, anche in quelle profondità marine dove si celano tesori.

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