Brutte notizie per le più amate analogie tra successo e apprendimento: le Polgár, Tiger e certe similari analogie sportive o ludiche. Rispetto al golf, il tennis è uno sport molto più dinamico, nel quale i giocatori devono cambiare ogni secondo il modo di rapportarsi all’avversario, alle superfici e in certi casi ai propri compagni (nel 2008 Federer ha vinto l’oro olimpico nel doppio). Il tennis è comunque ben distante da un pronto soccorso, nel quale medici e infermieri non sanno automaticamente che cosa sia accaduto a un paziente subito dopo averlo visto. Devono trovare dei sistemi di apprendimento che vadano oltre la pratica, e assimilare delle lezioni che possano perfino contraddire l’esperienza diretta. Il mondo non assomiglia al golf, e in genere neanche al tennis.
Per dirla con Robin Hogarth, gran parte del mondo è una sorta di “tennis marziano”. Puoi vedere i giocatori sul campo con le palline e le racchette, ma nessuno ti dice le regole. Devi inferirle, e possono cambiare da un momento all’altro senza preavviso. Ci siamo affidati alle storie sbagliate. Le storie di Tiger e delle sorelle Polgár danno la falsa impressione che le abilità umane vengano sempre sviluppate in contesti di apprendimento estremamente gentili. Se fosse così, funzionerebbe sempre un tipo di specializzazione ristretta, tecnica e iniziata precocemente. Ma non funziona nemmeno in gran parte degli sport.
Se specializzarsi in modo precoce in un ambito ristretto fosse la chiave per una performance innovativa, i savant dominerebbero in ogni settore e i bambini prodigio diventerebbero sempre dei fenomeni anche da adulti. Come ha sottolineato la psicologa Ellen Winner, una delle più rinomate esperte di bambini dotati, nessun savant è mai diventato un “Big-C creator”, “un creativo con la C maiuscola”, in grado di cambiare il proprio settore.
Ci sono ambiti, oltre agli scacchi, nei quali moltissima pratica ristretta conferisce un intuito da grande maestro. Come i golfisti, i chirurghi migliorano ripetendo la stessa procedura. Contabili e giocatori di bridge e poker sviluppano un intuito accurato per mezzo della ripetizione. Secondo Kahneman, dipende dalle “forti regolarità statistiche” di questi ambiti. Quando però le regole cambiano leggermente, diviene evidente come gli esperti abbiano sviluppato delle abilità limitate invece della flessibilità.
Sono state effettuate delle ricerche sul bridge variando l’ordine di gioco: gli esperti hanno avuto più difficoltà ad adattarsi alle nuove regole dei non-esperti. Quando, per una ricerca, a dei contabili esperti è stato chiesto di utilizzare una nuova legge per le deduzioni fiscali, i loro risultati sono stati peggiori di quelli dei novellini. Erik Dane, un professore della Rice University che si occupa di organizzazione, spiega che agire così equivale a “trincerarsi” dal punto di vista cognitivo.
I consigli che dà per evitarlo sono agli antipodi della scuola di pensiero delle diecimila ore: variare drasticamente le proprie sfide all’interno di un singolo ambito, e, per dirla con un altro ricercatore, “tenere sempre un piede fuori dal proprio mondo”. Scienziati e persone comuni hanno le stesse probabilità di praticare un hobby di tipo artistico, ma gli scienziati ammessi nelle più importanti accademie nazionali hanno altri passatempi con frequenza maggiore degli altri scienziati. E questo vale ancor di più per chi vince il Nobel.
Al confronto degli altri scienziati, i vincitori del Nobel hanno almeno il ventidue per cento in più di possibilità di essere attori, ballerini, prestigiatori dilettanti, o performer di qualche tipo. Gli scienziati di fama nazionale hanno maggiori probabilità degli altri di essere musicisti, scultori, pittori, ebanisti, meccanici, elettricisti, vetrai, poeti, scrittori di narrativa o saggistica. E anche in questo caso, la probabilità aumenta coi premi Nobel. Gli esperti di maggior successo sono aperti al mondo. “A un osservatore distante”, ha spiegato il Nobel spagnolo Santiago Ramón y Cajal, padre della neuroscienza moderna, “sembra che stiano sprecando le loro energie, mentre in realtà le stanno incanalando e rafforzando”.
Dopo anni di studi su scienziati e ingegneri considerati dei veri esperti dai colleghi, si è capito che quelli che non avevano apportato contributi creativi al proprio campo non avevano interessi esterni. Come ha osservato Dean Keith Simonton, psicologo e importante studioso della creatività, “invece di essere ossessionati da un argomento ristretto”, i creativi hanno molti interessi. “Questo ampio respiro spesso favorisce intuizioni impossibili per chi è esperto in un solo ambito”. Queste scoperte richiamano un discorso di Steve Jobs, nel quale ricordò l’importanza di un corso di calligrafia per la definizione della sua estetica del design: “Quando stavamo progettando il primo computer Macintosh, mi è tornato tutto in mente. Se non avessi mai frequentato quel corso al college, il Mac non avrebbe mai avuto diverse font spaziate in modo proporzionato”.
Oppure pensiamo all’ingegnere elettronico Claude Shannon, che lanciò l’era dell’informatica grazie a un corso di filosofia al quale si era iscritto per ottemperare a una richiesta della University of Michigan. In quel corso conobbe le opere del logico autodidatta inglese del Diciannovesimo secolo George Boole, che assegnava un valore di 1 alle affermazioni vere e di 0 a quelle false, dimostrando che i problemi di logica potevano essere risolti come equazioni matematiche.
La cosa non aveva avuto nessuna importanza pratica fino a settant’anni dopo la morte di Boole, quando Shannon entrò nei laboratori Bell della AT&T per un praticantato estivo. Si rese conto di poter combinare la tecnologia di routing delle chiamate telefoniche con il sistema logico di Boole per codificare e trasmettere elettronicamente qualsiasi tipo di informazione. Era l’informazione fondamentale alla base di ogni computer. “Semplicemente all’epoca nessuno aveva familiarità con entrambi i campi”, avrebbe spiegato Shannon.
Nel 1979, Christoper Connolly contribuì alla creazione di uno studio di consulenza psicologica britannico volto a sostenere chi raggiungeva grandi prestazioni (all’inizio solo tra gli sportivi, in seguito tra persone di ogni tipo). Nel corso degli anni, Connolly osservò con curiosità come alcuni professionisti facessero fatica a muoversi al di fuori del ristretto ambito delle loro competenze, mentre altri erano notevolmente bravi a migliorare le proprie carriere, passando ad esempio dal suonare in un’orchestra di livello mondiale al dirigerne una.
Trent’anni dopo aver iniziato, Connolly tornò a studiare per prendere un PhD occupandosi proprio dell’argomento, sotto la guida dello psicologo e maestro internazionale di scacchi Fernand Gobet. Connolly scoprì innanzitutto che chi si dimostrava in grado di effettuare dei cambiamenti efficaci in un momento efficace della propria carriera aveva iniziato con un training ad ampio raggio, tenendosi aperti “dei canali alternativi” anche mentre si specializzava in uno solo.
Scrisse che queste persone avevano “viaggiato su un’autostrada a otto corsie” e non su una strada a corsia unica. Erano dotate di range. Chi si era adattato con successo, sapeva prendere la conoscenza da un ambito per applicarla creativamente a un altro, evitando di trincerarsi dal punto di vista cognitivo. Impiegavano quella che Hogarth chiamava una “rottura del circuito”. Si rivolgevano a esperienze e analogie esterne per interrompere la propria inclinazione a 40 generalisti usare vecchie soluzioni ormai inefficaci.
La loro abilità era quella di evitare i vecchi pattern. Nel mondo “malvagio”, nel quale le sfide sono poco definite e le regole non sono rigide, il range può salvare la vita. Far finta che il mondo sia come il golf o gli scacchi è consolatorio.
Da “Generalisti – Perché una conoscenza allargata, flessibile e trasversale è la chiave per il futuro” di David Epstein (Luiss University Press), 299 pagine, 19 euro