Da alcune settimane, il movimento Lgbt+ di Varsavia ha dato vita a un’iniziativa singolare, certamente molto mediatica. Bandiere arcobaleno sono state issate a ridosso di monumenti cardinali della capitale polacca. È il caso di una delle statue della Sirena, il simbolo della città, oppure di quella di Cristo che campeggia di fronte alla chiesa del cuore di Gesù, in centro. E ancora: bandiere arcobaleno, simbolo del movimento, hanno sventolato accanto alla statua di Joszef Pilsudski, fautore della rinascita dello Stato polacco nel 1918, e a quella di Copernico, di fronte all’Accademia delle scienze.
Con queste azioni la comunità Lgbt+ vuole denunciare la crescente omofobia del governo, guidato da Diritto e Giustizia (PiS), il partito populista del primo ministro Mateusz Morawiecki, del presidente Andrzej Duda e di Jarosław Kaczyński, l’eminenza grigia polacca, regista ultimo – a detta di molti – di ogni scelta dell’esecutivo. Tra le recenti figura l’avvio delle procedure per ritirarsi dalla Convenzione di Istanbul, il trattato promosso dal Consiglio d’Europa per combattere la violenza domestica sulle donne.
È pericoloso, ha spiegato il ministro della Giustizia Zbigniew Ziobro, dato che impone l’insegnamento del gender nelle scuole. Non è così, in realtà. Vero è, invece, che la comunità Lgbt+ e la presunta ideologia gender sono diventate, nel corso del tempo, soprattutto dell’ultimo anno un obiettivo della propaganda del governo.
Per via delle iniziative della bandiere, duramente criticata da molti esponenti del PiS, tre attiviste Lgbt+ sono state arrestate giovedì scorso con l’accusa di offesa ai monumenti e ai sentimenti religiosi, reati previsti dalle leggi polacche. Un’altra, chiamata Margot, molto nota a Varsavia, era stata condannata agli arresti preventivi qualche giorno addietro. Andrà a processo sia per aver issato bandire arcobaleno (l’episodio che le si contesta è di luglio), sia per vandalismo: il mese precedente aveva squarciato le gomme di uno dei furgoncini, messi in strada da un’associazione pro-life, che scorrazzano da un po’ a Varsavia esibendo sulle fiancate scritte ingiuriose verso la comunità Lgbt+. Per questo secondo reato, rischia fino a cinque anni di carcere.
Venerdì, gli attivisti Lgbt+ hanno organizzato un picchetto di protesta, non autorizzato, per chiedere il rilascio di Margot. La polizia è intervenuta con i manganelli, pestando diversi manifestanti. Poi ne ha trascinati 48 nei commissariati. Sono stati interrogati senza che fossero presenti i loro avvocati, hanno fatto sapere alcuni parlamentari dell’opposizione di sinistra. La polizia però ha smentito. Per molti, l’azione della polizia, sproporzionata, oltre che opaca dal punto di vista della legalità, è la chiara conseguenza del clima d’odio, crescente, nei confronti della comunità Lgbt+.
In questi anni il PiS ha spesso attaccato verbalmente il movimento, assecondando i gruppi della destra cristiana e i loro allarmi sul gender, bollato come anticamera della pedofilia. Le stesse gerarchie ecclesiastiche hanno usato parole molto pesanti. L’anno scorso, in agosto 2019, l’arcivescovo di Cracovia Marek Jędraszewski disse che dopo la «piaga rossa», un’allusione al comunismo, la Polonia deve subire pure quella arcobaleno. «Non è marxista o bolscevica, ma è fatta dello stesso spirito», precisò il prelato.
Pochi giorni prima, a Białystok, una città dell’est polacco nota un tempo per la grande comunità ebraica, oggi per la tendenze xenofobe, si tenne la Marcia per l’eguaglianza organizzata dai gruppi Lgbt+. Alcuni estremisti picchiarono i partecipanti. La polizia fu accusata di non averli protetti. Sempre in quei giorni, il quotidiano di destra Gazeta Polska lanciò la nota campagna sulle città Lgbt-free, cui hanno aderito diverse municipalità. Sei di queste avevano richiesto tempo fa un contributo Ue, per un programma di scambi e gemellaggi europeo: Bruxelles lo ha congelato.
Il 2019 è stato un anno spartiacque. Gli attacchi contro le minoranze sessuali si sono moltiplicati. Il PiS non si è risparmiato. Prima delle europee di maggio, dominate dal suo partito, Kaczyński affermò che «l’ideologia Lgbt+ è importata dall’estero» e «minaccia l’identità polacca, la nazione, la sua esistenza». A ottobre, un’altra tornata: le politiche. Anche queste vinte dal PiS, al potere dal 2015. In campagna elettorale Morawiecki, schierandosi contro i matrimoni tra persone delle stesso sesso, disse che la difesa della famiglia tradizionale è una battaglia democratica, paragonandola a quella di Salamina, in cui i greci sconfissero i persiani: dunque uno scontro di civiltà.
Quest’anno si è votato per le presidenziali, e Duda, confermato a palazzo, ha battuto sullo stesso tasto, giungendo a sostenere che gli attivisti Lgbt+ sono portatori di un’ideologia «peggiore di quella comunista».
Gli attacchi del PiS al movimento Lgbt+ sono motivati dalla ricerca di facile consenso elettorale. Sono stati uno dei fattori per la mobilitazione della Polonia profonda, delle province, che affida di solito il suo voto al PiS. C’è però anche una questione ideologica di cui tenere conto. Le minoranze sessuali sono viste dall’attuale potere come una forza chiassosa che pretende e rivendica, con l’intenzione di ribaltare assetti e tradizioni della società polacca. Rappresentano agli occhi del PiS una delle colonne, insieme all’immigrazione, di quel paradigma liberale che corrode e corrompe l’identità europea; che scristianizza e globalizza.
L’altra Polonia, quella liberale, più aperta al mondo, presenta un approccio a due velocità sul tema dei diritti civili. Paweł Adamowicz, il sindaco di Danzica assassinato all’inizio del 2019 durante un concerto di beneficienza, era uno di quei liberali pronti a riconoscere piena dignità al movimento Lgbt+. Quando fu eletto sindaco, nel 1998, Adamowicz era un centrista conservatore, vicino alla chiesa. Poi, frequentando i circoli liberali e cristiano-democratici del vecchio continente, soprattutto quelli tedeschi, realizzò che il centrismo può anche essere avanzato, aperto, inclusivo. Negli ultimi anni da sindaco, prima dell’assassinio, appoggiò senza indugi la causa dei migranti e quella delle minoranze sessuali, spostandosi su posizioni di sinistra. E così facendo, si attirò contro l’odio senza sconti della destra.
L’attuale sindaco liberale di Varsavia Rafał Trzaskowski, sfidante di Duda alla presidenziali, è interprete di un approccio più cauto. In passato ha mostrato sostegno verso i diritti delle minoranze sessuali, ma durante le presidenziali ha assunto un atteggiamento di profilo basso, guidato dalla ricerca del voto dei moderati e dei conservatori delusi da Duda: dentro questo perimetro le istanze Lgbt+ non sono sempre ben tollerate. Gli attivisti Lgbt+ rimproverano a Trzaskowski mancanza di coraggio. Si sentono traditi.
Politici e giornalisti liberali e di sinistra hanno predetto una svolta ancora più autoritaria da parte del PiS, dopo la vittoria di Duda alle presidenziali, anticipata dall’assalto finale – di fatto riuscito – alla Corte suprema, addomesticato dal potere. Era l’ultimo baluardo della resistenza della magistratura alle riforme del sistema giudiziario. La Commissione europea ha fatto scattare varie procedure d’infrazione per lesione dello stato di diritto. I fatti degli scorsi giorni, con i pestaggi e gli arresti nei confronti degli attivisti Lgbt+, una comunità orgogliosa ma esposta più di altre a possibili vessazioni, segnano un passo preoccupante. Un potenziale antipasto della paventata accelerazione autoritaria?
Potrebbe anche darsi, tuttavia, che la crociata contro le minoranze sessuali, da strumento di consenso elettorale, diventi, adesso, l’arma facile con cui distrarre l’opinione pubblica dalle difficoltà crescenti legate al coronavirus. Il numero dei contagi sta salendo rapidamente. L’impatto sull’economia e sull’occupazione, finora non grave, non almeno quanto lo è stato nei Paesi dell’Europa occidentale, potrebbe diventare consistente nei prossimi mesi.