Mitomani & indignatiL’epoca della suscettibilità e dell’abboccare a tutte le fregnacce

Ritenuta impresentabile, BethAnn McLaughlin aveva provato a ricostruirsi una reputazione creando il profilo Twitter di una docente universitaria nativa americana che la difendeva. Poi ha fatto ciò che si fa sempre con gli amici immaginari: l’ha uccisa. Organizzando una veglia via Zoom per allocchi col cancelletto facile

Pixabay

«E ora chi mi dirà che non sono abbastanza forte? Che le più grandi battaglie devono ancora venire. Che devo dare di più. Ora chi mi svergognerà pubblicamente perché ci vado troppo leggera con gli istituti della salute e della scienza. Non era carina. Era poderosa, e cazzo se lavorava duro».

È il 31 luglio quando BethAnn McLaughlin twitta il proprio dolore per la morte della sua migliore amica, una docente universitaria della tribù degli Hopi (indiani d’America). Se andate a cercare il tweet non lo troverete.

Abitiamo un tempo che, tra le altre cose, è assai determinato a far finta che scrivere stronzate sui social sia una cosa grave. La scoperta che la docente indiana – e sessualmente ambigua, e interessata ai problemi delle molestie sessuali nelle facoltà scientifiche, insomma il ritratto perfetto d’una presentabile nell’epoca dei cancelletti solidali – non sia mai esistita ha indotto Twitter a espellere dalla propria piattaforma BethAnn, creatrice d’un format interessante: se sei ritenuta impresentabile, creati un’identità alternativa che sia presentabile, e fatti difendere da lei.

La storia è una sceneggiatura un po’ incasinata ma avvincente. L’indiana nessuno sapeva come si chiamasse, su Twitter era Sciencing_Bi, nomignolo che sottolineava la parte scientifica e quella bisessuale ma non l’identità indiana, della quale però lasciava cascare indizi nei tweet.

La McLaughlin invece aveva avuto un momento di celebrità a febbraio, quando era stata cacciata da MeTooStem, un’organizzazione senza fini di lucro che si sarebbe dovuta occupare di aiutare le donne molestate in ambienti scientifici. Era stata cacciata con l’accusa di «aver marginalizzato e non ascoltato le persone di colore», che è un’accusa vaga ma moschicida: abitiamo un tempo in cui, se ti danno della razzista, la tua reputazione è rovinata senza bisogno che nessuno dimostri che lo sei.

Ma la signora si era portata avanti con la difesa reputazionale: aveva creato l’indiana. La cui biografia, ricostruita attraverso i tweet, era perfetta: nata in Alabama, ma fuggita da quel sud degli Stati Uniti già schiavista e ora persecutore delle sessualità alternative, prima genericamente d’origine nativa americana e di recente più specificamente Hopi.

A che serve un amico immaginario se non a farti figurare meglio di quel che sei: Sciencing_Bi aveva promosso una petizione perché alla McLaughlin non fosse negata una cattedra alla Vanderbilt (l’università di Nashville), cattedra che secondo la petizione non le era stata data perché aveva testimoniato in un caso di molestie sessuali (tutto ciò nel 2019, quando testimoniare in un caso di molestie sessuali era più probabile ti portasse un Nobel che un licenziamento).

Nessuno si era chiesto come mai la neuroscienziata McLaughlin non riuscisse a rendersi presentabile neanche schierandosi con la più presentabile delle cause, la difesa dalle molestie sessuali, e come mai neanche così facesse carriera; nessuno aveva raccolto indizi del suo disturbo mentale, finché ella non ha fatto ciò che da sempre si fa, a un certo punto, con gli amici immaginari: l’ha uccisa.

Nel mese di aprile Sciencing_Bi annuncia d’avere il virus. Professori stimati ma evidentemente non sveglissimi che corrispondono con l’indiana immaginaria raccontano (lo riportava ieri il New York Times, in un articolo che ricostruiva in parte la vicenda) che su Twitter si scambiavano con lei messaggi privati, e che erano molto preoccupati perché non sembrava riprendersi dalla malattia.

Quando l’indiana immaginaria immaginificamente muore, McLaughlin organizza persino una veglia funebre via Zoom. Si presentano in quattro: la creatrice dell’amica immaginaria, e tre creduloni. L’università dell’Arizona, dove l’indiana immaginificamente insegnava, viene accusata di non aver pubblicato dolenti necrologi per la docente defunta. È perché era indiana, razzisti che non siete altro.

I poverini sono costretti a ufficializzare che veramente loro non hanno personale docente, né altre loro conoscenze, proprio nessuno che sia morto di virus. E così Twitter (cioè: gli iscritti) inizia a raccontare la storia meravigliosa dell’identità presentabile inventata. E così Twitter (cioè: l’azienda) dice che gli account sono stati cancellati perché violavano una loro regola che vieta il coordinamento di account falsi (immagino significhi: puoi avere un account falso, ma non farlo interagire col tuo per dargli una parvenza di realismo; insomma, non devi approfittarti della scemenza umana).

Passano tre giorni, e il New York Times fa un articolo sulla storia. In cui intervista una con un dottorato di ricerca che si dice così sconvolta dalla scoperta che l’indiana fosse immaginaria da aver mangiato mezzo chilo di gelato. La ringraziamo per la testimonianza scientifica, next?

Tra gli intervistati c’è un esperto di Münchhausen per procura, quella variazione della sindrome psichiatrica chiamata Münchhausen (in cui ti fingi malato o fai in modo di ammalarti per attirare l’attenzione) in cui fai ammalare qualcun altro (in genere un figlio) per avere la stessa attenzione. Che non sono sicurissima corrisponda al profilo di McLaughlin, non essendosi lei inventata una figlia malata ma avendo creato il perfetto profilo rispettabile con cui interagiva in rete.

Con più fervore degli altri, ed essendo l’unica a sapere d’essere lei stessa («io è un altro», diceva quel poeta che gli americani non hanno letto); ma questo non rende forse più da studiare gli altri di lei? Gli altri che non s’accorgevano di parlare con un fantasma, giacché quel fantasma aveva tutte le caratteristiche giuste? Gli altri che hanno avuto (alcuni lo ammettono) un atteggiamento più benevolo verso la McLaughlin perché l’indiana immaginaria la difendeva? (Adesso, ovviamente, dichiarano quasi tutti che avevano capito subito che qualcosa non andava, che sospettavano dietro quell’account ci fosse BethAnn: all’umanità piace dire «me lo sentivo» come poche altre frasi).

Al New York Times, l’avvocato di McLaughlin fa sapere che la sua cliente è pentitissima, e che ritiene il proprio comportamento inscusabile. Giacché abitiamo un tempo in cui Borotalco non si potrebbe girare se non in forma di dramma, e il mitomane di bell’aspetto non potrebbe mai mettersi a ridere dicendo a Verdone «T’ho raccontato un sacco di fregnacce».

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