Quand’è che siamo diventati una curva? Un posto dove, se la squadra avversaria segna, è sempre fallo? È sempre stato così, e prima si notava meno perché senza social il rumore di fondo era attutito?
Lunedì sera, Donald Trump ha dato un’intervista televisiva. Ha come sempre detto un sacco di puttanate su tutto, e poi a un certo punto gli hanno chiesto di Ghislaine Maxwell, la compagna/socia/correa, decidete voi, di Jeffrey Epstein, recentemente arrestata. Trump aveva detto di lei, in una precedente intervista, «le auguro che tutto vada a finire bene», una roba ovvia, civile, che avrebbe potuto dire qualunque persona sana di mente.
Lunedì l’intervistatore, con l’aria incalzante di chi vuol essere lodato da Twitter il giorno dopo, ha così formulato la domanda: «Ghislaine Maxwell è stata arrestata con l’accusa di sfruttamento della prostituzione minorile. Perché augura il bene a una persona del genere?».
Ora, non sarò certo io a dire che un’accusa non è una condanna, giacché il garantismo è un tema noiosissimo e una causa così persa che neanche Rhett Butler (quello di «ho un debole per le cause perse, ma solo quando sono perse veramente») pretenderebbe di ottenerlo da un tizio della televisione.
Però mi torna in mente Umberto Eco che racconta che gli chiedono della morte di Greta Garbo, restano insoddisfatti per il suo «era una grande star», e si domanda: cosa dovevo dire, «cagna e troia»? Ecco: cosa doveva dire, Donald Trump, di una sua conoscente che è in carcere, il cui amico/socio/eccetera in carcere è recentemente morto?
Eppure ieri Twitter vibrava ulteriormente di sdegno per questa risposta. Perché «I wish her well» è una frase inaccettabile? No: perché l’ha detta Trump. Funziona così, nelle curve: l’impresentabile ha torto per principio.
Jia Tolentino, giornalista del New Yorker di origine filippina, l’anno scorso ha pubblicato un libro di saggi personali (recentemente edito anche in Italia). Non molto dopo l’uscita del libro, qualcuno ha recuperato delle vecchie agenzie di stampa che riportavano il patteggiamento dei suoi genitori, accusati di aver gestito una tratta di schiavi facendo immigrare clandestinamente filippini negli Stati Uniti. Era una notizia di prima dei social, quindi sepolta, nell’epoca in cui nessuno studia gli archivi e tutti si limitano a mettere una parola nella finestra di ricerca che hanno aperta davanti.
La Tolentino ha scritto on line la sua versione dei fatti, ovvero che i genitori erano innocenti e hanno patteggiato per risparmiare, e poi ha detto che, se nel suo libro di memorie non c’era traccia di questa storia, era perché i suoi genitori non erano pronti a vederla pubblicata.
Nessuno l’ha accusata di aver mentito, o almeno omesso l’essenziale, in un libro di saggi personali; nessuno ha avuto niente da obiettare circa la pretesa innocenza dei genitori; nessun intervistatore indignato le ha chiesto conto del suo non averli rinnegati. D di Repubblica l’ha messa in copertina, un mese dopo le lacunose spiegazioni, e nell’intervista non c’era mezza domanda su questa vicenda (incidentalmente, l’unico dettaglio interessante che la riguardasse).
È perché siamo garantisti? È perché siamo discreti? No: è perché Jia Tolentino è seduta dalla parte dei presentabili.
Matteo Salvini, la cui impresentabilità forse supera persino quella di Donald Trump, andrà a processo per non aver un anno fa fatto attraccare la Open Arms. Tutta la curva dei presentabili gongola di soddisfazione, giacché mollare dei profughi in alto mare è un gesto sufficientemente odioso da farti tifare contro anche dai più moderati, e giacché al pubblico italiano vedere i politici a processo, specie se sommario, piace sempre, specie quando li ha distrattamente votati.
Ma un anno fa Salvini era il vice d’un tizio che ancora adesso è presidente del Consiglio, e quindi o quel tizio un anno fa era soggiogato dal suo vice epperciò incapace d’impedirgli un gesto odioso e degno d’una condanna oggi, o quel tizio un anno fa era sodale del più impresentabile, e quindi com’è possibile che oggi sia a capo del governo dei presentabili? E, soprattutto, che ne facciamo di quelli che, nell’anno uno del governo d.S. (dopo Salvini), non hanno cambiato le regole da lui stabilite (quel pastrocchio che va sotto il nome di “decreti sicurezza”)? Aspettiamo che diventino impresentabili e poi li processiamo, quando non saranno più al governo e potremo dire quanto non ci siano mai piaciuti?
Non sarebbe segno di maturità se dalla curva dei presentabili si alzasse qualcuno a dire che le cose fatte e dette hanno un valore in sé, si tratti della presunta innocenza d’un’indagata o della decisione di non far attraccare una nave, e non va valutato quanto ci stia simpatico o con chi sia alleato chi le dice o le fa? Non dovremmo aver superato l’età in cui al nostro giocatore preferito perdoniamo tutto, e quello della squadra avversaria è fallo pure se saluta?