Il futuro nemicoEcco di cosa parla “Tenet”, il capolavoro di Nolan che cambia le regole del film d’azione

Dopo una lunga attesa e tanta segretezza esce in Italia l’ultimo film del regista americano. Una pellicola di spionaggio al cubo, soprattutto giocata su un concetto nuovo, quello di inversione del flusso temporale, che potrebbe cambiare le regole del genere

Alla fine è arrivato. O all’inizio. O poco prima. Il problema con “Tenet”, l’ultimo film di Christopher Nolan, attesissimo da mesi e incaricato del difficile ruolo di salvare la stagione cinematografica 2020, è che dopo qualche ora si perde l’orientamento nel tempo.

Ormai non è uno spoiler parlarne (se ne parla anche in uno dei vari trailer), visto che tutta la vicenda ruota intorno al concetto di “inversione”, una nozione molto nolaniana per cui oggetti e persone, a un certo punto, cambiano direzione temporale e vanno nel passato, non nel futuro. Le azioni si svolgono all’incontrario, il prima diventa dopo, la causa è l’effetto (ed eppure il viaggio nel tempo non c’entra nulla).

Il tutto si complica ancora di più quando i due piani si incrociano: c’è chi agisce nella direzione consueta (quella dello spettatore, per intendersi) e chi va a rovescio nello stesso momento e nella stessa scena. Una dinamica che si ripete di continuo fino ad avvilupparsi in una stratificazione di “prima” e di “dopo”, di “diritto” e “rovescio”, di uno e di doppio, di piani di comunicazione tra passato e futuro. Diventa facile perdere il segno.

«Meglio non starci a pensare troppo», suggeriscono nelle prime fasi.

Ma è impossibile: il gioco sotterraneo dei film di Nolan è sempre lo stesso, cioè combinare scene maestose e rutilanti (anche qui l’impiego delle pellicole IMAX, insieme ad altre da 77 mm, si vede) con una trama complessa, se non cervellotica – e meglio se in presenza di una nuova idea. Chi ha passato ore a riguardare “Inception” per cercare eventuali sbavature (non ce ne sono, meglio saperlo subito) nell’incrocio dei piani spazio-temporali dei sogni, ora avrà pane per i suoi denti.

“Tenet” è il suo seguito ideale per la grandiosità delle scene, la sfida intellettuale e il ritmo delle scene. Non si fa in tempo a realizzare bene come un proiettile possa entrare in una pistola (e non uscirne) che già c’è un palazzo che viene scalato con il bungee-jumping, un aereo che fa esplodere un aeroporto e una veduta della costiera amalfitana – più una minaccia collocata nel futuro ma che riguarda il presente.

Di base è il classico film d’azione di spie, da James Bond ai vari “Mission: Impossible”, con la consueta formula: un eroe (o meglio, un Protagonista) che cerca di salvare il mondo. Il ruolo tocca a John David Washington, forte del suo passato di giocatore di football americano e un certo savoir-faire che lo rende elegante anche quando smina depositi nucleari o va a cena con una signora.

A coadiuvarlo c’è Neil, cioè Robert Pattinson, ex vampiro di Twilight ormai cresciuto e perfetto per fare un aiutante spia, con tanto di Phd in fisica. È lui che introduce le fondamenta scientifiche del film: l’inversione di entropia, una sorta di anti-entropia, che porta la materia a cambiare verso.

Ma la questione – non del tutto impossibile dal punto di vista teorico, assicurano – non viene sviluppata in ogni sua possibile implicazione. Questo è un difetto del film, certo, ma si doveva scegliere (la sensazione è che qualcun altro, prima o poi, raccoglierà la sfida: forse ne nascerà un genere?).

Come ogni film d’azione, serve un cattivo. Ed eccolo, nella persona dell’oligarca russo Andrei Sator (occhio al nome), interpretato da Kenneth Branagh, malvagio al limite del mostruoso, che ricatta la moglie Kat (Elizabeth Debicki) e coltiva, in combutta – semi-spoiler – con persone del futuro, un progetto distruttivo folle. C’è da dire che quando lo chiarisce, cioè nel momento di maggiore tensione (tipico), alcune argomentazioni assumono una inquietante persuasività.

Infine, come prescritto per questo genere di film, ciò che conta è solo l’azione. Cui va aggiunta – priorità per Nolan – la creatività con cui si declina. Qui ce ne è tanta, visto che il trucco dell’inversione permette, per esempio, di tornare più volte sulle stesse scene adottando nuove angolature.

Si sorvola, piuttosto, sulla psicologia: in un film veloce ma freddo (anche nelle tonalità) prevale lo stupore, la sfida intellettuale, la resa estetica (da citare la particina di Michael Caine) e l’abbondanza di paesaggi.

È il suo classico universo, dove lo spazio per i sentimenti è sempre ridotto ai minimi termini. “Dunkirk” e prima ancora “Interstellar” lo insegnano.

In “Tenet”, del resto, per lo spettatore il tempo per emozionarsi non c’è nemmeno: bisogna concentrarsi sull’impresa. Che non è salvare la Terra, ma riuscire a seguire la storia senza inciampi. Non sarà la stessa cosa ma – si assicura – è altrettanto dura.

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