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Post CovidResilienza, velocità ed etica: gli anticorpi dell’azienda futura

Quale sarà la nuova normalità nel business? Ne hanno discusso Marco Taisch, Federico Fontana, Michele Ciavola e Alessandro Crippa, moderati dal giornalista Francesco Cancellato, nel webinar del progetto “Sparks of Knowledge” di Badenoch + Clark

(Pixabay)

Quale sarà la nuova normalità? E quali saranno gli anticorpi che le aziende dovranno sviluppare per sopravvivere allo stravolgimento causato dal Covid-19? Sono le domande che ci si è posti nel webinar del progetto “Sparks of Knowledge” di Badenoch + Clark, a cui hanno partecipato Federico Fontana, Managing Director di Badenoch + Clark, Marco Taisch, professore del Politecnico di Milano e presidente del competence center del Polimi, Michele Ciavola, chief hr officer di Eldor Corporation e Alessandro Crippa, senior hr director Semea di Campari Group, moderati dal giornalista Francesco Cancellato.

La prima parola d’ordine del new normal non può che essere “tecnologia”. «Abbiamo sempre visto la tecnologia come un fattore abilitatore per aumentare produttività e competitività», spiega Taisch. «L’accelerazione a cui abbiamo assistito con il Covid-19 ha trasformato invece le tecnologie in un prerequisito: se non le usi, non solo rimani indietro, ma non accederai neanche più al business». Quello che serve, ora, «è un progetto integrato che parte dalle tecnologie, passa dalle persone e arriva a nuovi modelli di business. Attraverso questi tre ingredienti possiamo cogliere le opportunità che arrivano dalla disrpution che abbiamo di fronte».

Lo ribadisce anche Ciavola: «La tecnologia non è un’opzione». Anzi, aggiunge, ci siamo accorti che si è trasformata in un «fattore essenziale della gestione del rischio». Come? «Ci aiuterà a evitare di rimanere paralizzati. Come abbiamo visto, il rischio di impresa può essere mitigato proprio grazie all’innovazione». Con una novità, spiega Crippa: «La cosa diversa di questa circostanza è che questo cambiamento mette al centro le persone». Le persone «saranno il vero agente del cambiamento», perché saranno loro che decideranno come utilizzare la tecnologia e come ridefinire i rapporti sociali nel mondo dopo il lockdown.

Modelli basati sul digitale, finora poco diffusi per ragioni di inerzia al cambiamento da parte del mercato, ma che adesso hanno l’occasione di imporsi e di trovare uno spazio che soltanto fino a poche settimane fa era impensabile. «È dalla crisi stessa che può nascere un’opportunità davvero unica», dice Fontana, generando prodotti e servizi sempre più evoluti, in grado di segnare definitivamente il passaggio verso una società efficiente e smart.

Un nuovo contesto, che però dovrà poggiare su un nuovo mindset. Ma come faremo ad abituarci a questa nuova normalità? «Le organizzazioni dovranno rivedere il loro modo di operare: dovranno diventare molto più resilienti di quello che sono state fino ad oggi», dice Taisch. «Dovremo pensare a organizzazioni il cui fattore principale sarà la resilienza, la capacità di cambiare velocemente nel caso in cui arrivino fenomeni nuovi. E se le nostre organizzazioni devono essere resilienti, devono esserlo anche le persone». E anche la supply chain globale si dovrà accorciare per diventare più resiliente e pronta a rispondere agli scossoni.

In questa nuova dimensione, non ci saranno competenze cristallizzate da indicare, ma la formazione, finora vissuta come un diritto del lavoratore, «sarà un dovere». Ecco perché, quello che occorre sono organizzazioni «molto più snelle», caratterizzate anche da una compenetrazione dei ruoli che abbandona le vecchie e lente catene di comando. Nuovi modelli in cui «i blue collar diventano sempre più white collar, cambiando i ruoli e adattando le figure professionali a un contesto sempre più dinamico». Vecchie competenze finiscono in soffitta, e nuove competenze diventano necessarie. «La formazione sarà on demand, come Netflix», dice Ciavola. «Ogni persona sceglierà le competenze che serviranno per ottenere un determinato risultato».

Senza dimenticare il fattore del «volere», mette in guardia Crippa. «Il volere delle persone oggi è in grado di determinare il disegno organizzativo delle aziende. Nel momento in cui do il volante alle persone in smart working, do loro una espressione di volontà che entra nel disegno delle organizzazioni. Una organizzazione non disegnata nelle alte stanze dell’azienda, ma democratica. Ecco perché l’approccio del new normal dovrà passare molto attraverso l’ascolto delle persone».

Persone che, inevitabilmente, dovranno esser pronte ad avere «la tecnologia come nuovo collega», dice Taisch. «Una parte del nuovo mindset sarà l’accettazione che il nostro collega potrà essere un avatar o l’intelligenza artificiale». Per questo servirà anche una nuova «fiducia nella tecnologia».

Molte aziende, costrette dall’emergenza, hanno fatto ricorso al digitale e alla tecnologia 4.0 per poter restare aperte mantenendo una presenza ridotta di lavoratori in fabbrica. E da qui si sono accorte che queste modalità, dal collaudo alla manutenzione a distanza grazie alla realtà virtuale e aumentata, potranno essere mantenute anche in futuro.

È questa la nuova normalità. La previsione è che i servizi erogati da remoto cresceranno del 100-150% nei prossimi quattro anni. «E lo smart working potrà essere applicato anche in fabbrica», precisa Taisch. «Ci sono mansioni che già oggi possono essere condotte a distanza». Un esempio? «Il capo reparto può monitorare la linea produttiva da remoto, stando a casa o in ufficio. Questo permette di raccogliere i dati in tempo reale, aiutando il distanziamento nella fabbrica». È chiaro che questa «non è più solo una risposta all’emergenza, ma serve a dare più efficienza e ad aumentare la produttività».

A fare la differenza, conclude Ciavola, sarà allora la combinazione di tre cose: «Competenze, conoscenza dell’organizzazione e approccio etico al lavoro». Il fattore della sostenibilità, ambientale e sociale, sarà un elemento determinante per creare valore nella nuova era post-Covid.