Nemmeno lo spazio e la luna sfuggono ai rifiuti. Sono infatti 187.400 i chili di scarti che l’uomo ha abbandonato sulla superficie lunare e che adesso fluttuano nel cosmo e rischiano di schiantarsi sulla Terra. A svelare il fenomeno, oltre alle innumerevoli immagine scattate dai satelliti, è il libro scritto del fisico Piero Martin e dalla giornalista Alessandra Viola: “Trash – Tutto quello che dovreste sapere sui rifiuti” (Codice Edizioni).
A questa raccolta di dati e analisi si aggiunge l’allarme emerso dal registro ufficiale gestito della Nasa: ci sono oltre 500.000 oggetti spaziali che vengono tenuti sotto controllo, 20mila sono detriti artificiali (“debris”), di cui meno del 10% sono satelliti attivi e il resto sono satelliti morti, vecchi corpi di razzi e parti di veicoli spaziali. Per la precisione sono oltre 21.000 detriti più grandi di 10 centimetri e più di 100 milioni più piccoli di un centimetro.
Ma come ci sono finiti nello spazio tutti questi rifiuti? Stuart Grey, docente all’University College London e membro dello Space Geodesy and Navigation Laboratory, ha realizzato un’animazione per orientarsi nella storia dell’inquinamento celeste.
Tutto inizia il 4 ottobre 1957, giorno del lancio dello Sputnik 1, il primo satellite inviato dai sovietici in orbita intorno alla Terra. I frammenti dei razzi vettori dello Sputnik portano subito a cinquemila il numero di detriti celesti attorno al nostro pianeta. Da allora sono stati lanciati in orbita circa 6600 satelliti, più della metà dei quali sono ancora impegnati a vagare senza meta intorno all’orbita terrestre
Negli anni 2000, con il boom dei satelliti meteorologici e per le comunicazioni, i frammenti spaziali arrivano a 9.000. Nell’ultimo decennio, test missilistici e collisioni tra satelliti hanno fatto impennare il conto, in continuo aggiornamento. Il rischio di impatto è pertanto alto, e non solo per i corpi artificiali nello spazio, ma anche per chi vive sulla Terra. L’Agenzia spaziale europea (Esa) stima infatti che gli oggetti di oltre 1 centimetro si muovano in orbita a 56mila chilometri all’ora, e un impatto contro un satellite o una stazione spaziale potrebbe così causare gravi danni. La Stazione Spaziale Internazionale, non a caso, è dotata di schermi in grado di assorbire gli impatti e di sistemi di monitoraggio.
Per chi invece rimane a Terra, anche se una buona parte dei detriti si disintegra all’impatto con l’atmosfera, i rischi non sono del tutto inesistenti. Ci sono buone probabilità che i detriti finiscano negli oceani o in zone disabitate, come è successo due anni fa, durante il weekend di Pasqua, con la stazione spaziale cinese Tiangong 1. L’Agenzia Spaziale Cinese aveva smesso di ricevere dati di telemetria della Tiangong 1, ed era impossibile calcolare il punto esatto in cui sarebbe caduto. Tutto però si è poi risolto con uno schianto nel Pacifico.
Il rischio di caduta sulla Terra, tuttavia, è dato soprattutto dagli oggetti più grandi. Secondo un articolo pubblicato sul sito della National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa), l’ente degli Stati Uniti che si occupa del controllo dell’atmosfera, i veicoli spaziali fuori uso sarebbero circa 1.000. L’articolo parla di 200-440 oggetti che rientrano sulla Terra ogni anno, cioè circa uno al giorno. L’astrofisico della Australian National University Brda Tucker ha dichiarato invece che sono «migliaia di tonnellate i detriti, artificiali o naturali come i meteoriti, che colpiscono la Terra ogni giorno». Mentre Carmen Pardieri e Luciano Anselmo, del CNR di Pisa, hanno spiegato che «di rientri senza controllo di stadi o satelliti con una massa superiore alle cinque tonnellate ne avvengono, in media, uno o due all’anno».
In genere i detriti che possono essere controllati vengono diretti verso una zona del Pacifico conosciuta come “polo dell’inaccessibilità”, il più lontano da tutte le terre emerse circostanti, tra la Nuova Zelanda e l’America del Sud. Un cosiddetto cimitero dello spazio dove si è inabissata anche la stazione russa Mir nel 2001.
Tornando invece ai resti lasciati sulla superficie lunare: il libro di Martin e Viola parla anche di due palline da golf, una piuma di falco, pale, rastrelli, martelli, fotografie, cinque bandiere, macchine fotografiche e telecamere perfettamente funzionanti, una spilla d’argento, un disco di silicone e 96 sacchetti per raccogliere feci, urina e vomito. Gli oggetti abbandonati hanno origini e scopi diversi: alcuni facevano parte di esperimenti, altri sono stati lasciati di proposito, altri ancora sono stati buttati per necessità, per alleggerire il carico.
Viste anche le procedure della Ladc (la commissione internazionale), che stabilisce le modalità di smaltimento sicuro, l’Unione europea – tramite l’Esa – su tutti ha cominciato a pensare a dei progetti per la rimozione dei detriti. Uno di questi è stato affidato alla start-up svizzera ClearSpace. Lo scopo sarà quello di ripulire l’orbita bassa della Terra grazie a un satellite dotato di quattro bracci robotici, che sarà prima testato su uno specifico obiettivo. La spedizione sarà attivata entro il 2025.
Più venale invece la proposta di alcuni ricercatori dell’University of Colorado Boulder: un accordo internazionale per far pagare agli operatori una tassa per ogni satellite messo in orbita. Combinando i dati dal 1957 al 2017 sul rischio di collisione, i detriti in orbita e i satelliti, i ricercatori hanno creato un modello fisico-economico, scoprendo che mettendo una tassa annuale di circa 235mila dollari per ogni satellite messo in orbita, potrebbe aumentare il valore dell’industria satellitare da 600 miliardi di dollari circa a 3mila miliardi entro il 2040.
Infine, per Alessandra Celletti, docente di Fisica matematica all’università di Roma Tor Vergata, sulla spazzatura spaziale vanno invece «date regole e assicurare che i satelliti operativi a fine vita siano dirottati in “regioni cimitero” dove rimanere senza creare danno». A tal proposito c’è un network europeo, Startdust-R, che lavora per individuare queste regioni spazzatura.