Le convention politiche che si sono appena svolte sono state le più strane che abbia mai visto. Fatto che significa molto, dal momento che le guardavo (in un televisore incastonato in una scatola di legno) fin da quando ero un bambino e i candidati erano Dwight Eisenhower e Adlai Stevenson.
Questo mi ha portato poi a vedere anche tutte le altre tranne una: quando George H. W. Bush si scontrava con Michael Dukakis. Ero senza televisione, in Messico.
Le convention che si sono appena svolte sono state strane perché, nel caso dei Repubblicani, non c’erano fazioni in gara, non c’erano interessi di parte da conciliare né quegli elementi che di solito congiurano e lottano tra loro per dare forma al programma del partito. Non c’era proprio alcun programma, cioè, nessun partito: solo un culto per la promozione di Donald Trump.
Alla convention democratica invece c’erano fazioni, c’era un programma e c’era tutto quello che uno si aspetterebbe da una convention, tranne una cosa: la particolarità democratica.
Il Partito Democratico fu fondato da Andrew Jackson negli anni ’20 e ’30 del 1800 con l’obiettivo di combattere le Guerre Indiane ed evitare la questione della schiavitù americana.
Ma in modo principale, per promuovere le “classi lavoratrici” contro il “potere dei ricchi” e le “grandi imprese”. Ma nella convention democratica di quest’anno, per la prima volta in 200 anni, non ci sono state “classi lavoratrici”.
La lotta di classe era assente al 99%. Strano. E ancora più strano è il fatto che la sua natura virtuale e il suo essere su Zoom – cioè questioni senza alcun significato politico – abbiano invece catalizzato quasi tutta l’attenzione.
(Articolo pubblicato in inglese su Tablet)