Nel suo romanzo aveva immaginato come reagirebbero i millennials in un futuro di muri, isolamento e disconnessione. Poi la pandemia ha confermato le sue previsioni: crediamo di poterci liberare dei problemi in un click o dimenticandoli nel cloud. Intervista allo scrittore sloveno vincitore nel 2016 del premio dell’Unione europea per la letteratura.
Che succede se, dopo essere nati e cresciuti in un mondo iperconnesso, un problema tecnico alla rete globale, magari determinato da una tempesta solare, rallentasse o bloccasse le connessioni? Come reagirebbero i cosiddetti millennials se, nel loro cinquantesimo compleanno, non potessero più dar per scontata la rete ma si trovassero bloccati in un loading infinito.
È quello che immagina l’autore sloveno Jasmin B. Frelih nel libro “Na/Pol” (“In/Half”), vincitore del premio per la letteratura dell’Unione europea nel 2016 (uscirà in Italia per Safarà Editore nella primavera 2021). «Un romanzo globalista in un futuro postglobalista», è stato definito. I tre protagonisti sono un regista teatrale di Tokyo alle prese con un problema di droga, un padre di famiglia ed ex ministro della guerra in una Slovenia appena uscita da un conflitto, in un’Europa piena di muri. Infine una poetessa anarchica a Brooklyn. Tutti si preparano a festeggiare i loro cinquant’anni in un mondo molto diverso da quello promesso dall’ottimismo globalista in cui sono cresciuti.
Descrive un mondo, fra 25 anni, in cui le persone saranno disconnesse, la Slovenia in un dopoguerra e l’Europa divisa da muri. Vede nessuna di queste tre opzioni più probabile?
Credo che tra 25 anni, la cosa più probabile che accada sia che continueremo a soddisfare i nostri interessi a breve termine a scapito di tutto il resto. L’aspetto che avrà tutto ciò dipenderà da qual è il tuo interesse a breve termine. Se è la sopravvivenza, il mondo diventerà sempre più tetro. Se è uno stipendio più alto, rimarrà più o meno lo stesso luogo di depressione a combustione lenta, intervallato da lampi di gioia costosa. Ma se i tuoi interessi a breve termine sono il dominio, la sottomissione e l’odio, il mondo continuerà a essere un terreno fertile per queste fantasie primitive, e potresti persino trovarlo piacevole. Mi baso per questo sulla legge di Murphy.
Il romanzo, d’altra parte, non è stato scritto per predire il futuro. A un certo punto mi sono chiesto quale fosse la cosa peggiore che sarebbe potuta accadere, a parte un’apocalisse nucleare. Divisione, isolamento, mancanza di accesso alla vera conoscenza: queste erano le mie preoccupazioni in quel momento. Volevo avere un background ampio e vario per i miei personaggi, per interrogare come sarebbe stata la mia generazione nel nostro cinquantesimo compleanno. Non come sarà il mondo, ma come saremo attrezzati ad affrontare qualsiasi cosa accada, sulla base dei valori e delle conoscenze con cui stiamo crescendo.
La pandemia ha offerto una specie di verifica immediata delle sue ipotesi.
L’attuale pandemia offre un ottimo esempio di una particolare debolezza che ha animato gran parte del libro, vale a dire la perdita della memoria, un restringimento della prospettiva temporale, l’assenza di forma della storia. Quasi subito, nelle prime settimane di quarantena, abbiamo cominciato a romanticizzare l’epoca passata di qualche mese fa, quando potevamo uscire con gli amici, al club, visitare i nostri nonni, perderci in mezzo alla folla… Come se non avessimo appena visto miliardi di esseri morire tra gli incendi in Australia, come se non fossimo sempre sotto pressione, come se non vivessimo il nostro mondo come un luogo profondamente imperfetto sforzandoci, ciascuno a modo nostro, di cambiarlo… E i governi hanno detto, ok, non puoi sopravvivere in condizioni di blocco, ecco un po’ di soldi, noi abbiamo detto, fantastico, grazie, come se non ci fossero persone che non avevano soldi per sopravvivere anche prima dei blocchi, ma non avevano mai ricevuto aiuti, pur in un contesto economico vivace e potente. Prima non c’erano abbastanza soldi, quando gli affari funzionavano, ma quando tutto si è fermato, improvvisamente si aveva abbastanza soldi per tutti. Questo ha senso solo se vogliamo continuare a dimenticare le cose…
E questa è la storia dei miei personaggi. Ognuno di loro ha avuto esperienze traumatiche ed era in un certo senso desideroso di lasciare andare il vecchio mondo, pensando che un grande cambiamento globale lo avrebbe liberato dal dolore del proprio passato. Purtroppo non funziona in questo modo: alcuni problemi sono reali e non possono essere eliminati da nuovi gadget tecnologici, da una nuova immagine del profilo, discutendo su Twitter o eliminando tutti i social media e fingendo di essere per questo liberi dal passato… Alcune cose richiedono solo un duro lavoro, e se permettiamo a noi stessi di essere costantemente distratti, per consentire al cloud e ai drive di sostituire la nostra memoria, questo lavoro diventerà solo più difficile.
Che differenza vede tra l’Europa che osservava da bambino e quella in cui vive oggi?
Quando ero bambino, l’Europa era gli interi scaffali di Milka nei supermercati di Klagenfurt, le giacche di pelle al mercato di Monfalcone, i giganteschi negozi di giocattoli a Trieste, la Torre Eiffel e Disneyland, e ovviamente Pippi Calzelunghe, i Famous Five, H.C. Andersen, Otfried Preussler, Emil Erich Kästner, la serie tv Arabela… Oggi, a causa di questo virus sanguinoso, l’Europa è tornata a essere un sogno: il sogno di un appartamento nel Quartiere Latino, un’altra passeggiata lungo Prinsengracht, un giorno agli Uffizi e una notte a Berghain, un bitoque ad Alfama, una birra a St Gilles… ricordi e sogni… A Škofja Loka abito vicino a una biblioteca, e l’Europa intera è sempre lì, appena oltre una mascherina e un disinfettante per le mani… E lì rimarrà anche se i pazzi dovessero vincere.
Quali pazzi?
Bilanci e Brexit e Eastern European States of America. Rivalità tra fratelli della NATO nel Mediterraneo. Le guerre fredde, la pace calda, i conflitti di risorse, i giochi energetici. Quando ero più giovane, sentivo continuamente il suono dei campanelli d’allarme, ora non so se è scoraggiamento o stanchezza, una maggiore consapevolezza o una rilassata e deliberata ignoranza, ma soffi e sbuffi degli uomini potenti non mi fanno più bollire il sangue.
La cultura europea corre dei rischi?
Il rischio maggiore credo sia la compiacenza, o forse l’orgoglio. D’accordo, tutti noi abbiamo ricche tradizioni e nel nostro passato, bene o male, non manca nulla. Ma la storia non è qualcosa su cui ti siedi, accontentandoti dei sacrifici dei tuoi antenati, è invece un processo che ti garantisce solo l’oggi, ma non il domani. Il domani dipende da noi. Questo rende molte persone ansiose di rendere il futuro il più simile possibile al passato, ma penso che tutti i nostri antenati sarebbero d’accordo sul fatto che il futuro dovrebbe essere invece molto, molto migliore.
In termini di costruzione del suo immaginario, quali culture europee l’hanno influenzata di più?
Poco più che ventenne, all’università, decisi di possedere tutta la letteratura europea, paese per paese, ma arrivai solo alla Francia, prima di venir fatto prigioniero dai postmoderni americani. Adesso metto gli occhi sulla Germania per rileggere Goethe, leggere Mann, Grass, Roth, Döblin e almeno il resto di Sebald. Credo che quest’inverno avremo un sacco di tempo, se il vaccino non sarà pronto. Ho appena terminato “Petrolio” di Pasolini, che ho trovato fondamentale.
Cosa la avvicina a Pasolini?
Il modo più pernicioso di perdere la propria personalità è l’autocensura. La libertà non ha importanza se viene utilizzata solo per giocare sul sicuro. Pasolini era uno spirito gigante, e “Petrolio” è ovviamente, prima di tutto, un grande risultato artistico. Ma per me personalmente è stato come un balsamo su un’anima ferita sentire un uomo semplicemente pronunciare ad alta voce tutti quei tabù: non solo l’incesto, ma anche la critica bruciante alla società, l’audacia di dire la verità al potere, di scrivere sui crimini innegabili dei potenti.
Perché scrive?
Penso si tratti principalmente di portare possibilità nell’esistenza. Sappiamo scrivere, quindi dovremmo scrivere. Siamo in grado di creare, quindi dovremmo creare. Altrimenti tutti i nostri necrologi si dovrebbero limitare a: viveva, mangiava.
Io personalmente amo il modo in cui la letteratura ci permette di estendere e sviluppare questa possibilità. Inizi con una pagina e poi puoi far crescere i suoi temi, personaggi, stile o motivi molto più a lungo e molto più in profondità di quanto tu possa fare altrove nella vita. Un amore per tutta la vita, un bambino, una profonda amicizia e un’impresa scientifica possono competere con questo, ma tutto il resto è più breve, più superficiale, incline a finali improvvisi, a incomprensioni e a tutti gli altri capricci della vita.
Immagina se avessimo più di venti ore a disposizione per studiare ogni articolo, ogni opinione, ogni incontro casuale di un conoscente di passaggio per strada, e così via, quanto sarebbero piene le nostre vite; ma la vita ci lancia addosso continuamente tutto questo e noi ci affidiamo ai nostri giudizi frettolosi per poterlo attraversare mantenendo intatta la nostra percezione di noi stessi. Un libro offre una tregua al flusso costante di brevi esperienze, dandoti anche l’opportunità di mettere a punto le tue facoltà di giudizio.
Quando trovo uno scrittore che ha una prospettiva completamente unica sulle cose, ciò mi dà un enorme senso di gioia, perché riesco a vivere il mondo in un modo diverso, e questa gioia è più profonda di quella di trovare uno scrittore che sia in grado di dare voce ad alcuni miei sentimenti e pensieri appena abbozzati.
La centralità delle immagini, i testi brevi, gli slogan, la volontà di identificazione totale e la difficoltà di assumere la prospettiva di un’altra persona – cioè i tratti distintivi della comunicazione sui social network – hanno reso marginale la letteratura?
Le persone si sono sempre accontentate di conservare le loro anime nella pigrizia. Penso sia impossibile adattare la grande letteratura all’esperienza del feed. Pensa, lo chiamano proprio così: “mangime”, come per bovini o polli, feed di notizie, feed di social media, i rifiuti e il residuo delle cose veramente nutrienti che vengono lasciate sul pavimento dopo la lavorazione e utilizzate per silenziare il lamento degli animali nella notte… Le cose veramente nutrienti finiscono, in un modo o nell’altro, nei libri. In termini di società, di modi in cui i più scelgono di trascorrere il loro tempo, sì, la letteratura è forse destinata a essere marginale. Ma in termini di esperienza umana essa resta centrale. Non ha eguali.
L’utopia del sapere universalmente accessibile attraverso Internet ha fallito?
Personalmente, ero un grande fan del potenziale di Internet, e in un certo senso credo esso abbia sviluppato quel potenziale, dal momento che una sovrabbondanza di informazioni è meglio della totale mancanza di esse; ma avendo sperimentato la profondità dell’esperienza e poi per esempio avendo letto l’“Ulisse” di Joyce all’inizio della quarantena, tutto questo comincia a sembrare abbastanza, non so, ridicolo. Che importa. Chi se ne frega di queste ondate di indignazione e adulazione, di esibizionismo costante, auto-osservazione, di questi subdoli modi di venderti prodotti… Ho l’intero Kant da leggere, lasciatemi solo con le vostre effimere sciocchezze.