Il NextGenerationEu potrebbe essere il cavallo di Troia per conquistare finalmente il fortino della classe dirigente e intellettuale europea che concepisce l’Unione solo come un vigile del rigore dei bilanci nazionali e della stabilità della zona euro. Questa è la tesi di fondo del saggio di Francesco Saraceno, professore di macroeconomia internazionale a Sciences Po di Parigi che nel libro “La riconquista – Perché abbiamo perso l’Europa e come possiamo riprendercela” (Luiss University Press) spiega come l’idea di un debito comune per finanziare gli investimenti sia l’unico modo per ottenere un giorno un bilancio federale europeo. Una scommessa che i 27 governi nazionali non possono perdere per evitare che l’Unione continui a essere il pendolo che oscilla tra euroscetticismo e ultraeuropeismo. L’Ue non ha solo due facce.
Saraceno, la tesi del suo saggio è quella di riconquistare l’Europa, ma da chi?
Più che da delle persone, parlerei di due visioni contrapposte sull’Unione, ma entrambe errate che dominano il nostro dibattito. Negli ultimi vent’anni c’è stata questa alleanza innaturale tra gli euroscettici e “i cantori dello status quo”. I primi vogliono tornare agli Stati nazione, i secondi sostengono che l’unica Europa possibile sia quella configuratasi dal Trattato di Maastricht in poi. Un Europa “liberista” per usare un termine abusato, in cui l’enfasi principale è messa sui mercati e sulle riforme strutturali e in cui c’è poco spazio per la politica economica. Entrambe le fazioni pensano che l’Europa sia solo come la immaginiamo loro. Che non ci siano alternative. La tesi del mio libro è invece che si può avere una gestione della moneta unica e della governance diversa dal passato che conduca a minori squilibri sociali ed economici.
Una terza via. Quali soluzioni propone?
Incrociando le dita un’Europa diversa potrebbe iniziare con il NextGenerationEu. Questo debito comune al servizio di progetti di investimento coordinati tra gli Stati potrebbe rispondere al difetto storico della costruzione dell’Euro che non ha mai previsto uno strumento per coordinare le politiche economiche degli Stati membri. Finora l’unica indicazione che veniva da Bruxelles ai governi nazionali era di ridurre al massimo il ruolo dello Stato e di enfatizzare al massimo il ruolo dei mercati. Ma i mercati da soli non bastano a portare l’equilibrio e a garantire una crescita economica sostenibile in tutte le aree. O a eliminare lo squilibrio tra Nord e Sud, tra centro e periferia.
Nel libro lei fa un paragone tra Unione europea e Stati Uniti.
Anche negli Usa dove la flessibilità dei mercati è molto più ampia rispetto all’Europa c’è un bilancio federale, ci sono importanti sussidi di disoccupazione federali, ci sono ingenti trasferimenti dalle aree economiche in salute a quelle coi bilanci in rosso.Tutte cose che nell’Unione europea sono state trascurate pensando non ci fosse bisogno della politica economica e sperando che la flessibilità del mercato facesse convergere tutti gli Stati membri verso un progetto un po’ idealizzato: l’equilibrio di piena occupazione.
Perché secondo lei l’Unione europea limita la politica economica degli Stati membri?
Perché l’Unione europea che conosciamo oggi è stata “costruita” proprio quando questo tipo di teoria dominava la macroeconomia. Tradotto: i politici europei hanno semplicemente applicato quello che la maggioranza degli economisti ha teorizzato per decenni. Ma oggi dopo la crisi finanziaria del 2008 e a maggior ragione dopo la crisi del coronavirus, la macroeconomia stessa si sta interrogando se forse non è andata troppo in là nelle escludere la politica economica come fattore di stabilizzazione. Se oggi gli stessi economisti mettono in discussione le teorie del passato forse possiamo anche reinventare il modo di governare l’Europa. E quindi mettere in atto altri strumenti per assicurare la convergenza economica fra le varie zone dell’Unione europea.
Non a caso «Quando i fatti cambiano, cambio idea», ha detto l’ex presidente della Banca centrale europea Mario Draghi al meeting di Rimini, citando l’economista John Maynard Keynes.
È un concetto che purtroppo molti miei colleghi economisti hanno difficoltà a capire. Troppo spesso il dibattito tra teorie economiche si riduce a una guerra tra bande, soprattutto nei social network. Tutti gli economisti onesti intellettualmente negli ultimi stanno ripensando la teoria per capire come uscire dal doppio shock economico che l’Europa ha vissuto negli ultimi dieci anni: dalla crisi dei debiti sovrani a quest’ultima del lockdown.
Aspettando la teoria, parliamo della pratica: il NextGenerationEu. I Paesi frugali lo considerano un’eccezione, mentre gli Stati mediterranei pensano possa essere l’embrione di una vera svolta economica. Secondo lei come finirà?
Il Next Generation Eu è un esperimento politico. I Paesi frugali hanno fatto molto clamore mediatico e ne hanno annacquato alcuni aspetti ma la filosofia di fondo è rimasta: debito comune per finanziare progetti che stimolino la crescita. E la novità è che la Germania lo ha appoggiato, pur garantendo che si tratta di una misura temporanea, limitata e irripetibile. Però…
Però?
Sappiamo molto bene in economia e in politica nulla è definitivo. Quindi se questo esperimento raggiungerà gli obiettivi prefissati e l’Unione tornerà a crescere, allora si potrà aprire una nuova fase del dibattito europeo tra qualche anno su se e come rendere questo strumento eccezionale un meccanismo permanente: ovvero un bilancio europeo, con tutti i pesi e contrappesi, compreso il controllo democratico nel Parlamento europeo.
Molto dipende anche dall’Italia e dai Paesi mediterranei.
Non sono scettico, abbiamo tutte le carte in regola per poter spendere questi soldi nel mondo migliore, rilanciando la crescita economica, investendo nella digitalizzazione e nella transizione ecologica. Ma non dobbiamo dimostrarlo solo noi: questo nuovo strumento dovrà servire per rilanciare l’economia di tutti gli Stati membri. Se il piano non funzionerà i Paesi frugali avranno avuto ragione. Per questo è una scommessa.
Qual è il risultato minimo per poter dire di aver vinto questa scommessa?
Non basterà la crescita dell’economia, perché crescerà in ogni caso. La scommessa sarà vinta se grazie a questo strumento i prossimi tre o quattro anni ci avviano su una traiettoria di crescita diversa e sostenibile basata sulla transizione ecologica Tradotto: se avremo un serio programma di reti elettriche per condividere energia rinnovabile, se ci troveremo con un programma per passare dal trasporto su gomma a quello su ferro. Se le autostrade dei mari saranno avviate e così via, potremo dire che questi soldi ben spesi
Senza la crisi non ci sarebbe stato il NextGenerationEu. L’Unione europea si può solo rinnovare quando in situazioni di caos?
Lo diceva anche Jean Monnet: «L’Europa sarà forgiata dalle sue crisi e sarà la somma delle soluzioni trovate per risolvere tali crisi». Ed è normale che sia così: quando il progetto è messo in pericolo si lancia il cuore oltre l’ostacolo e si diventa meno conservatori e timorosi. Ma in questo caso c’è un elemento in più: l’incapacità di approfittare della crisi greca per rinnovare l’Unione ci è servita per fare un salto in avanti ancora più importante con la crisi del coronavirus.
Perché la Germania ha cambiato la sua filosofia del pareggio di bilancio e ha supportato senza tentennare il NextGenerationEu?
Finora la Germania è stato uno dei grandi vincitori dell’euro per una serie di ragioni. L’allargamento del mercato ha consentito alle imprese tedesche di essere competitive nonostante l’Euro forte perché la loro catena del valore è orientata verso i paesi dell’Est dove il costo del lavoro è molto basso. Il calo dei tassi di interesse ha consentito poi alla Germania di indebitarsi a tasso zero. Per questa e altre ragioni la Germania non aveva grande interesse a cambiare il suo cortile di casa: l’Unione europea. Quando c’è stata la crisi dell’eurozona nel 2010 nell’arco di un paio di anni i tedeschi hanno orientato tutte le loro esportazioni verso Paesi terzi, in particolare Cina e agli Stati Uniti.
Ora la situazione è cambiata.
Già da tempo con l’amministrazione Obama erano iniziate le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina. Con Trump si è tramutata in una vera guerra che non finirà qualunque sia il risultato delle elezioni americane di novembre. Ci sarà un periodo di instabilità geopolitica e per le imprese tedesche sarà più difficile esportare nei mercati extra Ue. Per questo motivo la Germania è tornata a occuparsi del cortile di casa a far sì che l’eurozona si riprenda il prima possibile. Questa è la prima ragione fondamentale. La seconda è che anche i tedeschi stanno mettendo in discussione il modello ordoliberale.
Spieghiamolo ai lettori non economisti.
Secondo il modello ordoliberale lo Stato deve intervenire il meno possibile nell’economia garantendo però il rispetto delle regole e allo stesso tempo deve avere un welfare molto sviluppato. In pratica i mercati hanno molta libertà e lo Stato riequilibra nella società gli squilibri creati dalla finanza. Negli ultimi anni con le riforme liberali del Piano Hartz il modello tedesco è stato snaturato e nel Paese sono aumentate le disuguaglianze. Per la prima volta dagli anni ’30 molti economisti tedeschi stanno cambiando orientamento. Lo staff del ministero delle Finanze tedesco è formato da teorici più aperti alle idee keynesiane, uno di loro ha scritto addirittura un libro con l’ex capo economista del Fondo monetario Internazionale, Oliver Blanchard. Insomma: la Germania è più pronta anche intellettualmente ad abbandonare il dogma del pareggio di bilancio.
Secondo lei saranno ripristinate a breve le regole del Fiscal compact? Parliamo del vincolo europeo sui bilanci dei governi nazionali, sospeso durante la pandemia.
Siamo ancora completamente in mezzo al guado.I consumi dopo un parziale miglioramento stanno peggiorando. Gli aiuti statali per la disoccupazione si stanno riducendo e i governi stanno aumentando i loro debiti per finanziare gli investimenti. La stessa Commissione poche settimane prima del lockdown aveva annunciato un progetto di revisione delle regole fiscali. Secondo me Bruxelles approfitterà della sospensione per presentare nuove regole europee che credo saranno discusse nel giro di un anno. E se sarà una buona proposta il Fiscal compact non tornerà mai più in vigore sarà sostituito da nuove regole