Chiedere a Francia e GermaniaIl governo ha 209 miliardi per far ripartire l’Italia, ma manca la strategia per non disperderli

Palazzo Chigi ha oltre 500 piccoli e grandi progetti da sostenere, ma aspetta i paletti di Bruxelles per non scontentare sindacati, associazioni di categoria e imprese venuti a chiedere la loro parte. Parigi e Berlino hanno immaginato pochi ma sostanziosi interventi puntando sulle tre parole d’ordine della Commissione: digitale, green e occupazione

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Il governo Conte ha una lista della spesa di oltre 500 piccoli e grandi progetti che potrebbero essere finanziati con i 209 miliardi del Next Generation Eu ma non ha ancora una visione organica per capire quali interventi scegliere affinché l’Italia del 2030 sia più verde, digitale e competitiva.

Non sono bastate le innumerevoli task force, le centinaia di esperti, i dieci giorni di Stati generali a Villa Pamphili o il Piano Colao per capire su quali progetti concreti puntare. Di quelle settimane di riflessione restano delle parole chiave riassunte domenica dal ministro dell’economia Roberto Gualtieri al forum Ambrosetti di Cernobbio: infrastrutture, digitalizzazione, innovazione, formazione, decarbonizzazione, salute e ricerca. Categorie talmente ampie da inghiottire e disperdere in mille finanziamenti a pioggia i 209 miliardi di euro dei fondi Ue, di cui 127,4 miliardi saranno prestiti da restituire prima o poi.

La tentazione della politica sembra quella di sempre, accontentare tutti: associazioni di categoria, sindacati, gruppi di interesse, precise aree geografiche ed elettorali. Per non turbare gli animi il Comitato interministeriale per gli affari europei (Ciae) ha ripreso pari pari le parole d’ordine di Gualtieri nella sua bozza di “Linee guida per la definizione del Piano nazionale di ripresa e resilienza”.

Nella bozza di trenta pagine del documento che sarà presentato anche in Parlamento, il Ciae elenca sei macro categorie entro le quali sviluppare i progetti da inviare a Bruxelles. Ripetiamo la filastrocca? Digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica, salute, infrastrutture per la mobilità, istruzione e formazione, equità, inclusione sociale e territoriale.

I progetti concreti? Per ora nessuno: solo qualche accenno. L’alta velocità Torino-Lione, più posti in terapia intensiva. Poi, sempre il “vasto programma” per cui servirebbero il doppio dei miliardi a disposizione: informatizzare la pubblica amministrazione, decarbonizzare i trasporti, digitalizzare l’istruzione, politiche attive del lavoro e l’immancabile sviluppo delle reti 5G. 

Per nostra fortuna a fine mese la Commissione europea chiarirà le idee al governo italiano dando anch’essa delle linee guida, ma che a differenza delle slide del Ciae saranno paletti molti più precisi entro cui muoversi e cercheranno di limitare il più possibile “l’assalto alla diligenza” che avviene ogni anno da parte dei parlamentari che ogni inverno aggiungono emendamenti alla legge di Bilancio per accontentare la propria circoscrizione elettorale.

Il ministro per gli Affari Europei Vincenzo Amendola ha chiarito che il governo non è affatto in ritardo, ed è vero. Gli Stati membri potranno mandare a Bruxelles una bozza del piano fino al 15 ottobre, quando dovranno inviare anche il documento programmatico di bilancio valevole per il 2021. Da quel momento si aprirà un dialogo costante con la Commissione europea che durerà per mesi perché l’invio ufficiale del recovery plan nazionale non potrà avvenire prima del prossimo anno in quanto lo strumento concordato dal Consiglio europeo a luglio ancora non esiste giuridicamente. 

Il tempo c’è: quello che manca è una strategia di fondo per evitare che i vari interventi producano oasi distanti nel deserto al posto di creare canali che da soli potrebbero innaffiare molti campi. Uscendo dalla metafora: meglio pochi, sostanziosi e coerenti investimenti efficaci o cercare di allargare la maglia dei finanziamenti il più possibile? 

Su come rispondere a questa domanda la Francia non ha dubbi. A differenza del governo italiano non ha né referendum né elezioni regionali il 20 e 21 settembre e per questo motivo ha presentato con un mese di anticipo un piano di investimenti da 100 miliardi di euro, di cui 40 saranno finanziati con il Next Generation Eu, per rilanciare la sua economia nei prossimi due anni e creare 160mila posti di lavoro. 

Il piano di ripresa della Francia è semplice: 70 misure (non 600) divise in tre macro aree. Sono 30 miliardi di euro la transizione ecologica, 35 miliardi per competitività delle imprese, di cui 20 per ridurre le tasse sulla produzione e 15 per i fondi che aiutino le aziende francesi nei settori strategici e 35 miliardi di euro destinati a promuovere l’occupazione e la formazione dei giovani.  

Ma l’aspetto più interessante è che il premier Jean Castex ha detto di aspettarsi «un rapido ritorno sugli investimenti» e di riassorbire l’impatto sul rapporto debito pubblico/prodotto interno lordo entro il 2025. Non a casa tra queste misure c’è anche il taglio delle imposte per le attirare le imprese francesi che hanno sede all’estero.  

Anche la Germania che non ha presentato ancora a Bruxelles il suo recovery plan, a giugno ha mostrato una strategia di aiuti coerente varando un maxi piano di stimolo economico da 130 miliardi di euro (oltre ai 750 miliardi già garantiti a inizio della crisi). Il piano tedesco era basato su tre pilastri: ambiente, consumi e trasporti. Oltre 35 miliardi di euro per investimenti green (in particolare il sostegno all’industria dell’idrogeno) e il taglio dell’Iva dal 19 al 16% per sei mesi. Misure che mostrano un’idea di fondo per il futuro Paese concentrato in aiuti su pochi settori chiari su cui fare interventi intensivi. 

Una filosofia che Berlino userà anche per il recovery plan, come conferma a Linkiesta la portavoce del ministro delle Finanze tedesco, Olaf Scholz: «La Germania sta attualmente elaborando il suo piano nazionale di ripresa e resilienza che formerà un pacchetto coerente di investimenti e riforme che si allinea sia con il pacchetto di stimolo globale della Germania sia con le raccomandazioni specifiche per paese individuate nel contesto del semestre europeo. Un focus sarà sui programmi e le riforme che promuovono la trasformazione verde e digitale».

E proprio questa dovrebbe essere la filosofia del governo italiano: fare pochi investimenti coerenti che abbiano il pregio di far fare un salto di qualità all’economia italiana e in modo diretto o indiretto diminuire il nostro pesante rapporto debito pubblico/Pil arrivato al 160%.

Ma quali progetti scegliere? Per esempio: il governo italiano preferisce puntare sull’alta velocità Torino-Lione come ha scritto nella bozza del Ciae o creare e potenziare nuove tratte stradali e ferroviarie nel Mezzogiorno come la Napoli-Bari, la Palermo Catania o la Taranto-Metaponto-Potenza-Battipaglia? Non si potranno finanziare tutte con soli 209 miliardi. Viene da chiederserlo dopo che il ministro per il Sud e la Coesione territoriale, Peppe Provenzano, ha pubblicato una foto mentre regge un cartello con scritto: «Vogliamo anche al sud treni più veloci». Forse non si ricorda di essere anche lui al governo.

Stesso discorso per il potenziamento della rete internet. Il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli ha proposto di usare 6 miliardi del recovery plan per completare il piano banda ultralarga. Ma su quale tecnologia punterebbero gli investimenti italiani? Sulla Fttc, la fibra che arriva fino alla centralina da cui parte un cavo in vecchio rame che raggiunge l’abitazione, sui cui Telecom ha sempre puntato per valorizzare la sua rete in rame, o sulla vera fibra che va dieci volte più veloce lenta diffusa da Open Fiber e al momento presente solo per il 23% del nostro Paese? 

Si potrebbe andare avanti facendo esempi sulle politiche attive del lavoro: finanziare il sistema di formazione per i disoccupati attraverso le regioni come è successo con il fallimentare Garanzia giovani o buttare ancora nuovi soldi in una riforma scellerata dell’Anpal (Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro), visto che il governo non sa fornire i dati su quanti percettori del reddito di cittadinanza hanno trovato lavoro grazie ai navigator? E per quanto riguarda il miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici: il governo vuole mettere a posto tutte le scuole del Paese o rientrare dai soldi già promessi per il bonus casa? Visto che il Next Generation Eu può coprire le misure già adottate dai governi.

Oppure: perché inserire nelle sei macrocategorie anche l’aumento dei posti letto di terapia intensiva quando per la Sanità il governo può già utilizzare da mesi i 36 miliardi del Meccanismo europeo di stabilità che oltretutto hanno anche un interesse leggermente più basso dei prestiti del NextGenerationEu? Un pensierino il governo potrebbe farlo davvero: perché con 36 miliardi in più si potrebbe aggiungere anche un’altra macrocategoria, prima che Bruxelles chiarisca, come ha sempre fatto, che i 209 miliardi serviranno per finanziare tre obiettivi: più occupazione, più ambiente, più digitale. 

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